— Entrate, Avri, entrate. Accomodatevi.
Gev ignorò l’invito e attraversò la stanza a lunghi passi, come per una parata militare; poi si fermò davanti ad Arnie, torreggiandogli sopra, come se il professore fosse un subalterno sorpreso con la divisa in disordine.
— Sono venuto per riportarvi a casa, Arnie. Siete uno dei nostri maggiori scienziati e il paese ha bisogno di voi.
Nessuna incertezza, nessun appello ai sentimenti di Klein, ai suoi parenti o amici. Il generale Gev aveva impartito un ordine, nello stesso tono con cui aveva comandato ai carri armati, ai reattori, ai soldati di lanciarsi all’assalto. Doveva essere ubbidito. Per poco Arnie non si alzò dalla sedia e lo seguì, tanto era imperioso quel comando; ma ormai aveva preso la sua decisione, e non ci sarebbe tornato sopra mai più.
— Mi spiace Avri, ma qui sono e qui ho intenzione di restare.
Gev se ne stava eretto, con lo sguardo fiammeggiante e le braccia penzoloni lungo i fianchi; ma le dita erano contratte come se stessero per protendersi, afferrare Arnie materialmente e tirarlo in piedi. Poi, con immediata decisione, si voltò, sedette sulla sedia che l’aspettava e accavallò le gambe. Il suo assalto frontale era stato respinto; voltò il fianco e si accinse ad attaccare un settore più vulnerabile. Senza mai staccare lo sguardo dal professore, prese di tasca un portasigarette d’oro tanto grande da apparire volgare, e lo aprì con uno scatto. Dentro era raffigurata, in smalto, la bandiera della Repubblica Araba Unita, con le due stelle verdi ricavate da smeraldi. Un foro di proiettile attraversava, senza slabbrature, l’astuccio.
— C’è stata un’esplosione nel vostro laboratorio — disse Gev. — Eravamo molto preoccupati. Dapprima abbiamo pensato che foste morto, poi ferito, poi… che vi avessero rapito. I vostri amici sono stati molto in pena…
— Non era nelle mie intenzioni.
— …e non solo gli amici, anche il governo. Voi siete israeliano e lavoravate per Israele. Manca una cartelletta. Il frutto del vostro lavoro è stato sottratto al vostro paese.
Gev accese una sigaretta e aspirò profondamente, proteggendone l’estremità accesa con le mani unite a coppa, col gesto caratteristico dei militari. Il suo sguardo non abbandonava mai la faccia di Arnie, e il viso era impassibile come una maschera; gli occhi però, erano accusatori, penetranti. Arnie allargò le mani in un gesto goffo, poi le strinse di nuovo, sul piano della scrivania.
— Non è stato sottratto. Si tratta di roba mia, e io me la sono portata dietro quando sono partito. Quando sono partito di mia spontanea volontà per venire qui! Sono spiacente che voi… abbiate una cattiva opinione di me. Ma ho fatto quello che dovevo fare.
— Di che appunti si trattava? — La domanda risuonò fredda e dura, penetrando in profondità.
— Erano… il mio lavoro. — Arnie si sentiva aggirato, sconfitto e non poteva rifugiarsi nel silenzio.
— Suvvia, Arnie. Non è una risposta esauriente. Voi siete un fisico, e il vostro lavoro è attinente alla fisica. Non possedevate esplosivi, eppure siete riuscito a far saltare in aria un’attrezzatura del valore di parecchie migliaia di sterline. Che cosa avete inventato?
Il silenzio si protrasse, e il professore non poté far altro che fissare desolato le proprie mani contratte, con le nocche che impallidivano sempre più. La parole di Gev incalzavano, spietate.
— Perché questo silenzio? Avete paura? Non avete nulla da temere da parte di Israele, che è la vostra patria. I vostri amici, il vostro lavoro, la vostra vita sono là. Avete sepolto là vostra moglie. Diteci che cosa non va, e vi aiuteremo. Venite da noi, e vi aiuteremo.
Le parole di Arnie caddero come pietre fredde nel silenzio pesante.
— Io… non posso.
— Dovete. Non avete possibilità di scelta. Siete un israeliano e il frutto del vostro lavoro è israeliano. Siamo circondati da un mare di nemici… e ogni uomo, ogni pezzo di materiale, ha un’importanza vitale per la nostra esistenza. Avete scoperto qualcosa di possente, qualcosa che ci aiuterà a sopravvivere. Volete sottrarcelo e vederci perire tutti? Città e sinagoghe rase al suolo, trasformate in deserto? È questo che volete?
— Sapete che non è vero! Gev, lasciatemi in pace, uscite di qui e tornatevene…
— No, non lo farò! Non vi lascio in pace. Sono la voce della coscienza. Tornate a casa. Vi accoglieremo con gioia. Aiutate noi, ora, come noi vi abbiamo aiutato!
— No!!! È proprio questo che non posso fare! — Le parole gli uscirono faticosamente dalla bocca, in un ansito di pena. Poi Arnie continuò rapidamente, come se la diga che arginava i suoi sentimenti avesse ceduto e non potesse più fermarli.
— Ho scoperto qualcosa… ma non vi dirò come, né perché, né che cosa… Una forza. Chiamatela una forza, qualcosa che forse è, o che potrebbe diventare, più potente di tutto ciò che oggi conosciamo; e che, data la sua natura, potrà essere impiegata in bene o in male, se riuscirò a dominarla. E credo che questo mi sarà possibile. Voglio che sia usata per il bene…
— Dunque Israele sarebbe il male! Come osate insinuarlo?
— No, ascoltatemi fino in fondo. Non ho detto questo. Voglio dire soltanto che Israele… Nessuno sta dalla sua parte! Pensate al petrolio. Gli arabi hanno il petrolio. Russi e americani lo vogliono e sono pronti a tutto pur di ottenerlo. Nessuno si preoccupa di Israele, tranne gli arabi, che vorrebbero vederla distrutta, e le grandi potenze mondiali, che desiderano trovare il modo di estrarsi senza far rumore quella spina nel fianco. Il petrolio! Scoppierà la guerra, accadrà qualcosa, e se voi aveste… «quella»… quella cosa di cui stiamo parlando, la usereste per distruggere. Magari con le lagrime agli occhi, ma la usereste… E sarebbe un male terribile!
— Allora — mormorò il generale in un soffio — per il vostro orgoglio, per la vostra ambizione personale, voi ci sottraete questa forza e starete a vedere il vostro paese perire? Nel vostro supremo egocentrismo vi ritenete più qualificato a prendere decisioni politiche che non i rappresentanti eletti dal popolo? Vi ponete sopra un piedestallo. Siete unico e vi ritenete in grado di decidere cose importanti meglio di tutti gli altri comuni mortali. Certo dovete credere nella tirannia assoluta, nella vostra tirannia. La vostra arroganza, vi ha trasformato in un piccolo Hitler…
— Tacete! — gridò Arnie, rauco, alzandosi a metà dalla sedia. Cadde il silenzio. Poi lo scienziato tornò a sedersi, lentamente, con la faccia in fiamme e le tempie che gli martellavano come una mitragliatrice. Dovette fare un grande sforzo su se stesso per parlare con calma.
— E va bene. Avete detto alcune cose giuste. Se intendete affermare che io non credo più nella democrazia, ditelo pure. È proprio così, almeno in questo settore. Ho preso da solo una decisione, e la responsabilità è tutta mia e mia soltanto. Forse si tratta di una scusa, ma preferisco considerare ciò che ho fatto un atto di umanità…
— Anche l’eutanasia è un atto umanitario — replicò Gev, con voce incolore.
— Certo, avete ragione. Non ho proprio attenuanti. Ho agito di mia spontanea volontà e assumo ogni responsabilità del mio operato.
— Anche se Israele verrà distrutto per la vostra imprudenza?
Arnie aprì la bocca per rispondere, ma non uscirono parole. Che cosa c’era da dire? Gev l’aveva accerchiato da ogni parte: la ritirata era impossibile; le difese, distrutte. Che altro poteva fare, se non arrendersi? Gli restava soltanto la convinzione di aver agito bene, guardando al futuro. Una convinzione, però, che aveva il terrore di analizzare meglio, per paura di scoprirla falsa. Il silenzio si faceva sempre più fondo, e un’immensa tristezza avvolse Arnie, che si abbandonò sulla sedia.