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— Signor Baxter! Non vi avevo riconosciuto… — Senza gli occhiali cerchiati di scuro, l’americano sembrava una persona completamente diversa.

— Mica posso starmene qui sull’uscio, così! — rispose Baxter, stizzito. — Fatemi entrare!

La urtò perché lo lasciasse passare; lei si tirò in disparte e richiuse la porta.

— Ho cercato molte volte di mettermi in contatto con voi — disse Baxter lottando per districarsi da! groviglio di scopini, piumini, spazzolini e lasciarli cadere per terra. — Avete ricevuto le lettere, i messaggi?

— Non voglio più vedervi! Ho fatto quello che volevate, e vi ho mandato la pellicola. Dunque smettetela di scocciarmi. — Si voltò e posò la mano sulla maniglia.

— No! — gridò Baxter, mandando l’ultima spazzola a sbattere contro il muro. Cercò affannosamente in una tasca interna e trovò gli occhiali. Quando se li fu infilati, si sentì più calmo. — Le negative non servono a niente.

— Volete dire che non sono riuscite? Sono sicura di avere fatto tutto come si deve.

— Dal punto di vista tecnico, sì. Ma non intendevo questo. Il taccuino… le equazioni… non avevano niente a che fare con l’effetto Daleth! Riguardano tutte il generatore a fusione del professor Rasmussen e non ciò che serve a noi.

Martha si trattenne dal sorridere, ma in fondo si rallegrò. Aveva fatto quello che le avevano detto di fare, e il colpo era andato a vuoto. Non era colpa sua.

— Non potreste rubare il generatore a fusione? Non è di valore anche quello?

— Non si tratta di valore commerciale — replicò Baxter freddamente, riprendendo il suo solito modo di fare. — Comunque, per il generatore stanno chiedendo il brevetto, e noi potremmo anche acquistarlo. Ciò che ci interessa… riguarda la sicurezza nazionale.

Le lanciò un’occhiata di fuoco e lei si strinse addosso la vestaglia.

— Non posso fare altro per voi. Ora è tutto sulla Luna, lo sapete. Anche Arnie se n’è andato…

— Ve lo dirò io che cosa potete fare… e non c’è tempo da perdere! Credete che me ne andrei in giro conciato così e con tutta questa mercanzia addosso, se le cose non fossero d’importanza vitale?

— Mi sembrate un po’ matto — disse lei, cercando di non scoppiare a ridere.

Baxter le lanciò uno sguardo carico d’odio, e gli ci volle un mo: mento perché riuscisse a dominarsi. — Adesso ascoltatemi — disse, infine. — Oggi andrete alla cerimonia, e girerete per tutta la nave. Noi abbiamo bisogno di conoscere alcuni particolari su di essa. Voglio che voi…

— Io non farò più niente. Andatevene.

Martha allungò la mano verso il pomo della porta, ma Baxter le afferrò il braccio, stringendolo con dita d’acciaio. Lei trattenne il respiro per il dolore, mentre l’uomo la strappava via dall’uscio e le si avvicinava sempre più. Ha il fiato che puzza d’alcol pensò Martha sul punto di mettersi a piangere, tanto il braccio le doleva.

— E adesso ascoltatemi — sibilò Baxter. — Voi farete quello che voglio io. E se avete bisogno di un motivo diverso dall’amor di patria, ricordatevi che io ho una pellicola che viene dalla vostra macchina fotografica, con le vostre impronte digitali sparse dappertutto e le istantanee del vostro pavimento. Ai danesi piacerebbe molto vedere tutto questo, no?

Il suo sorriso ricordò a Martha la smorfia di un individuo che muore tra sofferenze atroci. Si svincolò dalla stretta e fece un passo indietro. Sarebbe stata una perdita di tempo dire a quell’uomo che cosa pensava di lui.

— Che cosa volete che faccia? — domandò infine, fissando il pavimento.

— Così va meglio. Voi siete un’esperta fotografa, dunque prendete questa spilla. Appuntatela sulla borsa prima di uscire.

Lei la tenne nel palmo della mano. Non era brutta e non avrebbe stonato con la borsetta di coccodrillo nera. Era formata da una grossa pietra centrale, circondata da un cerchio di schegge di diamante e di altre pietre che avevano l’aria di piccoli rubini. E il bordo era in oro sbalzato, ornato di volute complicate.

— Appuntatela con quella sulla borsetta — ripeté Baxter, indicando la voluta più lunga. — È a obiettivo grandangolare, e l’apertura è prestabilita. Lavora quasi con qualsiasi luce. Ci sono più di cento scatti: dunque non fate economia. Voglio foto del ponte e della sala macchine, se ci andate; e i primi piani dei comandi, istantanee dei corridoi, scale, compartimenti, camere stagne. Tutto. Poi io vi mostrerò le foto stampate e dovrete dirmi di che si tratta; perciò fate molta attenzione a tutto, anche all’ordine in cui si svolge la visita attraverso la nave.

— Non sono pratica di questo lavoro. Non potete incaricare qualcun altro? Vi prego. Ci saranno centinaia di persone là…

— Se avessimo qualcun altro, credete che verremmo a cercare proprio voi? — L’ultima parola, pronunciata con freddo disprezzo, gliela gettò in faccia mentre si chinava a raccogliere le spazzole. Poi Baxter, agitando minacciosamente una spugnetta lavapiatti, aggiunse: — E che non succedano incidenti… come la macchina che cade e si rompe, oppure la pellicola esposta alla luce per dare poi la colpa a noi! Conosco tutti i trucchi. Non avete scelta. Scatterete le foto come vi ho ordinato. Ecco, questo è per voi. — E le porse uno scopino, ridendo freddamente, sicuro di sé. Poi aprì la porta e scomparve.

Martha guardò l’oggetto che teneva in mano e lo gettò lontano. Ecco che cosa pensava di lei… Uno scopino da gabinetto! E, tremando di rabbia, se ne andò in camera sua per terminare di vestirsi.

— Guardate che folla! — disse Ove, sterzando bruscamente per evitare un torpedone carico di studenti che applaudivano e agitavano bandierine dai finestrini.

— Naturale — disse Ulla, seduta in fondo all’auto con Martha. — È una giornata eccezionale.

— Anche il tempo è splendido. — Ove guardò il cielo. — Molte nubi, ma niente pioggia. Il sole non c’è… ma non si può avere tutto.

Martha rimase in silenzio, le dita contratte sulla borsetta con la grossa spilla d’oro che sporgeva dal risvolto. Ulla l’aveva subito notata e lei aveva dovuto inventare in fretta una bugia.

Sarebbe stato impossibile avvicinarsi alla banchina, senza invito ufficiale. Così passarono attraverso le barriere e si diressero al castello Amalienborg, il cui immenso cortile era stato adibito a parcheggio alle macchine. Di là dal bordo dell’acqua, c’era solo una breve camminata attraverso Larsens Plads. C’era aria di vacanza anche lì, e una banda suonava allegramente, mentre le bandiere sventolavano sui palchi eretti lungo la banchina e gli invitati prendevano posto, chiacchierando.

— Dieci minuti — disse Ove, lanciando un’occhiata al suo orologio. — Meglio affrettarsi. A meno che Martha pensi che suo marito sarà in ritardo…

— Nils!

Ove e sua moglie scoppiarono a ridere a quell’idea, e Martha con loro. Per alcuni secondi si sentì a suo agio in quel posto, a pochi passi dal Re e dalla famiglia reale e in allegra compagnia. Poi il ricordo di Baxter le si riaffacciò alla mente, causandole una stretta al cuore, e lei afferrò con le dita contratte la borsetta, sicura che tutti stessero guardandola. La banda attaccò Re Cristian, l’inno nazionale, e si sentì un immenso scalpiccio mentre tutti si alzavano in piedi. Dopo l’inno nazionale venne C’è un paese delizioso, che terminò con gran rullare di tamburi. Quando le ultime note si spensero, tutti sedettero e, quasi nel medesimo istante, si udì una specie di fischio lontano. La gente guardò in su, riparandosi gli occhi con la mano, per cercare di vedere. Il suono si fece più profondo, si trasformò in un rombo, e un punto scuro uscì dallo strato di nubi che si stendeva alto nel cielo.