— Puntualissimo, al secondo! — esclamò Ove, eccitato.
Il punto si ingrandì, velocissimo, assunse proporzioni gigantesche e sembrò scendere direttamente sulla folla, che trattenne il respiro lasciandosi sfuggire qualche grido soffocato.
Poi la velocità cominciò a diminuire, e la grande forma scese dolcemente come una foglia che cade dall’albero, abbassandosi verso le acque tranquille dell’Yderhavn. Molti trattennero il respiro, mentre il veicolo si mostrava ora nelle sue reali dimensioni. Lo scafo bianco e nero era grande come quello delle navi oceaniche; migliaia di tonnellate di metallo. Era un immenso disco con la base e la sommità appiattite e la protuberanza sporgente del ponte di comando, tutta a vetri. E se ne stava lì, assurdamente sospesa, senza mezzi di propulsione visibili: non si udivano altri rumori, tranne il fruscìo dell’aria contro i fianchi.
Un silenzio assoluto calò sugli astanti: un gabbiano gridò. La grande nave si fermò completamente, a pochi metri dalla superficie dell’acqua. Poi, con infinita precisione, scese ancora, posandosi con tale delicatezza che solo una piccola onda andò a frangersi contro la banchina. Poi, mentre la nave si avvicinava, si aprirono i boccaporti sui ponti superiori, e gli uomini uscirono con le gomene per l’ormeggio.
Un applauso spontaneo esplose dalla folla, e tutti i presenti balzarono in piedi, gridando con quanto fiato avevano in gola, battendo le mani, soffocando il fracasso gioioso della banda con il loro rumoroso entusiasmo. Anche Martha appaludiva con gli altri, dimenticando tutto nell’esaltazione sfrenata di quel momento.
Sullo scafo si leggeva un nome, scritto in lettere nere su fondo bianco. Holger Danske. Il nome più fiero della Danimarca.
Prima ancora che le gomene fossero assicurate, una rampa fu spinta fuori dal portello aperto. Un gruppetto di funzionari si avvicinò per dare il benvenuto agli ufficiali che scendevano dalla scaletta. Anche da quella distanza la gigantesca figura di Nils spiccava distintamente tra le altre. Gli ufficiali salutarono, ricambiarono la stretta di mano e si diressero verso il palco reale. Nils passò poco lontano da Martha e le sorrise quando lei agitò una mano.
Poi ci furono onori, ricompense, un breve discorso del Re, alcuni discorsi più lunghi tenuti da uomini politici. Fu il primo ministro a tenere il discorso ufficiale. Rimase eretto per un istante, col vento che gli scompigliava i capelli, a guardare la nave che gli stava davanti. Quando parlò, c’era una commozione sincera nella sua voce.
— Secondo l’antica leggenda, Holger Danske giace addormentato, pronto a svegliarsi e a correre in aiuto della Danimarca, quando questa si trovi in difficoltà. Durante la guerra, il movimento partigiano di resistenza scelse per sé appunto il nome di Holger Danske, e lo portò con onore. Ora abbiamo una nave che si chiama allo stesso modo, la prima di molte altre che seguiranno, ed essa sarà di aiuto alla nostra patria in modo impensato. Stiamo per aprire le porte del sistema solare all’umanità. È un’impresa tanto grande da sorpassare i limiti dell’immaginazione… Le distese dello spazio mi sembrano un immenso oceano che aspetti di essere attraversato da noi, come nel diciannovesimo secolo fu attraversato l’Atlantico dai navigatori danesi in cerca di terre nuove e fantastiche sull’altra sponda. La scienza trarrà vantaggio dall’osservazione e dai laboratori che si stanno costruendo sulla Luna; 1’ industria trarrà vantaggio dalle nuove fonti di materie prime che attendono lassù; l’umanità pure sarà avvantaggiata, perché questa è un’impresa collettiva di tutte le nazioni del mondo. Noi speriamo con tutto il cuore che la causa della pace ne risulterà rafforzata, perché lassù, nello spazio, il nostro mondo appare piccolo, velato, lontano. La Danimarca è un paese troppo piccolo anche solo per tentare di sfruttare un intero sistema solare… se pur desiderassimo farlo. Ma non è questo che vogliamo. Noi cerchiamo con tutte le forze la collaborazione mondiale. Fra due giorni la Holger Danske partirà per il suo primo viaggio su Marte, con a bordo rappresentanti di molte nazioni. Là si stanno costruendo laboratori per ricerche scientifiche, e scienziati di moltissimi paesi resteranno sul pianeta rosso per iniziare i loro lavori. I rappresentanti politici, invece, torneranno per raccontare ai rispettivi concittadini che cosa riserva loro l’avvenire. Un futuro certamente lieto. E noi, come danesi, siamo orgogliosi di poterne causare l’avvento.
Sedette tra il fragore degli applausi, e la banda riattaccò. Le telecamere ripresero la scena, mentre veniva annunciato che gli invitati potevano ora visitare la nave.
— Vedrete — disse Ove. — La prima unità costruita appositamente per questo… e senza risparmio di spese. È fondamentalmente una nave mercantile, ma la cosa è stata abilmente mascherata. L’intera sezione interna è costituita di stive per le merci, e i compartimenti riservati ai servizi sono soltanto nella parte anteriore. Resta dunque tutta la fascia esterna per le cabine, ciascuna col suo oblò. Lussuose, vi assicuro. Venite, prima che arrivino troppi giornalisti.
Per salire sulla nave bisognava attraversare la sala della dogana che serviva per gli arrivi del traghetto di Oslo, che attraccava normalmente a quel pontile. E i funzionari della dogana se ne stavano lì, svolgendo il solito lavoro. Non era permesso salire a bordo portando pacchi; cartelle e borse venivano accuratamente ispezionate. Con estrema cortesia veniva chiesto agli uomini di rovesciare le tasche, alle donne di aprire la borsetta. In caso di rimostranze, c’erano lì pronti funzionari di polizia e alti ufficiali dell’esercito, che avrebbero sistemato la faccenda con calma. In una stanzetta laterale c’erano perfino un ammiraglio e un generale, che chiacchieravano con un ministro e un ambasciatore. Evidentemente si voleva aver sottomano persone di grado uguale o superiore a quello degli invitati, per risolvere ogni eventuale controversia.
Ma non ce ne furono. Qualche paio di sopracciglia inarcate e qualche sguardo freddo, da principio… Poi il primo ministro diede l’esempio, vuotando le tasche e mostrando che cosa conteneva il portafoglio. Certamente era una messinscena, ma aveva la sua ragione d’essere. Non bisognava compromettere la sicurezza della Holger Danske.
Mentre la fila avanzava lentamente, Martha Hansen si sentiva paralizzare dalla paura. Sarebbe stata scoperta e svergognata… Se avesse potuto scappare via, lontano, chissà dove, l’avrebbe subito fatto. Ma poteva solo seguire gli altri, inciampando. Ulla le disse qualcosa e lei si limitò ad annuire, senza capire. Quando arrivò davanti al banco, si trovò di fronte un funzionario della dogana dall’ aria severa, che lentamente allungò una mano.
— Un gran giorno per vostro marito, signora Hansen — disse. — Permettete? — E indicò la borsetta.
Lei gliela porse.
— Vi dispiace aprirla? — disse l’uomo.
Martha l’accontentò, e lui vi frugò dentro.
— Il portacipria, prego.
Martha glielo diede. L’altro lo aprì, lo richiuse e glielo restituì.
L’occhio luccicante della spilla-macchina-fotografica era puntato direttamente su di lui. Per un istante il funzionario lo guardò sorridendo.
— Basta così, grazie — dichiarò poi. E si voltò verso un altro invitato.
I Rasmussen aspettavano, e Nils salutava con la mano dal ponte soprastante. Martha rispose al saluto. Poi tutti salirono a bordo.
Martha teneva stretta la borsetta, un dito sulla spilla, domandandosi che cosa avrebbe detto a Nils, se l’avesse notata. Normalmente lui era il più calmo degli uomini, in servizio, ma quel giorno non era così. Le mani che teneva dietro la schiena apparivano contratte, e gli occhi brillavano di eccitazione.
— Martha, questo è il gran giorno! — esclamò, abbracciandola, e sollevandola completamente da terra per un attimo, mentre la baciava appassionatamente. Quando la mise giù, lei aveva le vertigini.