— Santo cielo… — disse.
— Vedi? Non è un sogno? Mai visto niente di simile, dall’inizio del mondo. Potremmo portarci dietro il povero piccolo Blaeksprutten come scialuppa, te lo garantisco io! E la cosa più splendida è che non si tratta di un veicolo adattato alla bell’e meglio, ma di una nave appositamente progettata per essere usata con la propulsione Daleth. Il ponte di comando è sistemato in modo da favorire gli spostamenti laterali, come in un aereo, ma permette piena visibilità anche sopra e sotto, per l’accelerazione e la decelerazione. Vieni, che ti mostro tutto. Tutto, tranne la sala macchine, che è chiusa a chiave mentre i visitatori sono a bordo. E se ne avremo il tempo, vorrei mostrarti la mia camera da letto e la mia cabina. — La cinse con un braccio, mentre camminavano. — Martha, dopo aver pilotato questa meraviglia, tutto è cambiato. Adesso mi sembra che guidare il più grande degli aerei sarebbe… non so, come pedalare su un’auto da bambini. Vieni!
Mentre attraversavano la camera stagna aperta, Martha sfiorò col dito la voluta dorata della spilla. Sentendola cedere leggermente, detestò se stessa.
22
— Ma non sono ancora tutti a bordo? — domandò Arnie, guardando la banchina dal punto d’osservazione del ponte di comando. Due uomini uscirono dall’edificio della dogana; camminavano curvi, tenendo fermo con una mano il cappello floscio che il vento del Baltico minacciava di far volar via. Dietro a loro venivano i facchini con le valigie.
— Non ancora, ma dovremmo essere a buon punto — rispose Nils. — Ora m’informo dal commissario di bordo. — Formò il numero dell’ufficio che stava nel corridoio d’ingresso, e il piccolo schermo del telefono si illuminò con l’immagine a colori della persona desiderata.
— Signore?
— A che punto siamo?
Il commissario consultò i suoi elenchi, spuntando i nomi con una matita. — Mancano ancora sei passeggeri — disse. — Poi siamo al completo.
— Grazie. — Riappese. — Non c’è male. Tenuto conto che a quei disgraziati fanno proprio di tutto, tranne una radiografia e l’esame delle otturazioni dei denti. Suppongo che riceverò una quantità di lamentele. I capitani delle navi compaiono in mezzo ai passeggeri solo il secondo giorno dalla partenza. Credo che farò anch’io così.
— Col nuovo sistema di calcolatori penso che non dobbiate preoccuparvi se il decollo non avverrà all’ora esatta.
— Per questo, non importa. — Nils diede un colpetto affettuoso con la mano all’armadietto grigio accanto al posto del pilota. — Dico a questo dispositivo quando voglio partire, e lui mi rimanda la risposta prima ancora che io abbia finito di battere. Mentre siamo attraccati, è in collegamento diretto via terra con Mosca. Dopo il decollo, sarà il nostro computer a parlare con il loro e verranno eseguiti costanti controlli di rotta e di velocità.
Osservarono un altro ritardatario che attraversava di corsa la banchina.
— Gli americani si sono scocciati perché ci siamo serviti del computer sovietico? — chiese Arnie.
— Credo di sì, ma non potevano protestare perché non avevamo collegamenti diretti con loro. Comunque, usiamo soltanto tute spaziali statunitensi, e così pareggiamo il conto. L’abbiamo fatto di proposito, ne sono certo. Come stava Ove, quando l’avete salutato?
Arnie si strinse nelle spalle. — Ancora a letto. Tossiva come una foca, e aveva la febbre. L’ho salutato sulla porta, perché non mi ha lasciato entrare. Ci ha fatto un mucchio di auguri. L’influenza l’ha colpito ai bronchi.
— Sono contento che siate potuto venire voi al suo posto, anche se mi spiace di avervi disturbato… Quando tutti i dispositivi saranno a punto, non avremo più bisogno di fisici in sala macchine.
— Per me va bene. Anzi, è un diversivo. La ricerca e l’insegnamento mi sembreranno molto monotoni, dopo alcuni di questi voli. Ricordate quello sulla Luna, col Blaeksprutten…?
— E la cassetta del telefono saldata sullo scafo! Perbacco, quelli erano bei tempi! Guardate un po’ dove siamo già arrivati. — E indicò con un gesto della mano il ponte spazioso e gli uomini in uniforme impeccabile: il radiotelegrafista che parlava col controllo a terra, il navigatore, il secondo pilota, l’ufficiale addetto al computer, l’operatore addetto alla strumentazione. Una vista esaltante. Il telefono suonò e lui rispose.
— Tutti i passeggeri a bordo, capitano.
— Bene. Prepararsi al decollo, che avverrà fra dieci minuti.
Arnie era in sala macchine al momento del decollo, ma, per essere sinceri, trovò ben poco da fare. I tecnici erano rispettosi, ma conoscevano bene il loro lavoro. La propulsione Daleth era stata completamente automatizzata e veniva controllata dal computer, tanto che le attenzioni dell’uomo erano ormai superflue. E lo stesso poteva dirsi del generatore a fusione.
Quando ebbe fame, Arnie si fece mandare giù il cibo. Era stato invitato al primo banchetto di bordo, ma aveva fatto il possibile per non andarci, perché detestava quel genere di cose. Era contentissimo di avere fatto un favore a Ove prendendo il suo posto, ma non si poteva dire che fosse entusiasta di quel viaggio. Il laboratorio della Månebasen, le nuove ricerche appena iniziate e le lezioni tecniche sulla propulsione Daleth che teneva ai tecnici, lo interessavano assai di più.
E poi c’erano i passeggeri… Ne aveva un lungo elenco, e in coscienza doveva ammettere che quella era la vera ragione per cui se ne stava lì dentro rinchiuso. Non aveva trovato amici o colleghi, tra gli scienziati: erano quasi tutti studiosi di secondo piano, provenienti da ogni parte del mondo. Be’, forse dire di «secondo piano» non era molto cortese, ma si trattava comunque solo di assistenti di professori famosi. Sembrava che le università non avessero voluto rischiare i loro uomini più preziosi in quell’esperimento così poco ortodosso. Be’, non importava. Anche i giovani potevano prendere appunti; e i dati, le cifre non cui sarebbero tornati avrebbero indotto i capi a fare fuoco e fiamme per ottenere un posto nella prossima missione. L’importante era cominciare.
Quanto agli uomini politici, Arnie non sapeva niente su di loro. Erano pochissimi i nomi che non gli tornassero completamente nuovi. Però lui non si interessava certo di politica. Probabilmente quelle erano controfigure mandate avanti a misurare la temperatura dell’acqua in quella prima escursione; i pezzi grossi si sarebbero tuffati in seguito.
Ne conosceva uno, tuttavia… Ed era soprattutto per causa sua che se ne stava alla larga dalla sezione riservata ai passeggeri. Ma… a che sarebbe servito? Se il generale Avri Gev era a bordo, avrebbe dovuto incontrarlo, prima o poi. Arnie lanciò un’occhiata all’orologio. E perché non adesso? Ormai gli ospiti sarebbero stati pieni di ottimo cibo e di liquori. E forse… avrebbe sorpreso Avri di buon umore! No, questo era impossibile, lo sapeva. Però ci avrebbero impiegato due giorni ad arrivare su Marte… e lui non poteva starsene lì rinchiuso tutto quel tempo.
Controllò il lavoro dei tecnici. Tutto andava bene per il momento, e se fossero sorte difficoltà lo avrebbero chiamato. Poi andò nella sua cabina a prendere la giacca e si avviò verso la porta a tenuta stagna che dava nella sezione passeggeri.
— Bel volo, signore — disse il commissario di bordo, salutando. Era un vecchio soldato, un sergente, evidentemente trasferito dall’esercito, con relative decorazioni. L’uomo guardò lo schermo televisivo che Arnie gli mostrava, poi premette il pulsante che apriva il battente. C’erano porte a tenuta stagna in tutta la Holger Danske, ma quella era l’unica che poteva essere aperta da un solo lato. Arnie annuì, passò e trovò il generale Gev ad aspettarlo dietro la prima curva del corridoio.
— Speravo che usciste da solo — disse Gev. — Altrimenti vi avrei telefonato.