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— Zitto! — urlò Baxter. — Con chi parlate?

L’operatore, bianco come un panno lavato, tenne stretto il microfono. — Con la nostra base lunare. Hanno inoltrato la nostra chiamata a Copenaghen. Quei diavoli hanno fatto irruzione nella sala macchine, l’hanno occupata.

Baxter rifletté un istante, poi abbassò la pistola e sorrise.

— Avete fatto bene. Continuate il rapporto. Dite che avete trovato aiuto. I comunisti non se la caveranno. E adesso… come posso mettermi in contatto con la sala macchine?

Il radiotelegrafista indicò, in silenzio, lo schermo del telefono, da dove fissava una faccia impassibile. Baxter si avvicinò all’apparecchio con altrettanta freddezza.

— Siete un traditore, Schmidt — disse. — L’ho capito subito, quando ho visto che facevate parte della delegazione della Germania orientale. Non vi siete comportato con saggezza. — Baxter si rivolse a Nils, che, abbandonato su una sedia, stava tornando in sé lentamente. — Conosco quest’uomo, capitano. È un informatore prezzolato. Siete fortunato ad avere qui me.

Il generale Gev se ne stava semidisteso sul pavimento, appoggiato alla parete, e ascoltava in silenzio, senza preoccuparsi della gamba che gli sanguinava abbondantemente. Anche il braccio destro era ferito, e lui teneva la mano infilata nella camicia aperta. Arnie aveva perso gli occhiali, che erano andati in mille pezzi, e si guardava intorno socchiudendo gli occhi miopi, cercando di capire che cosa stesse accadendo.

Baxter guardò con disgusto l’immagine di Schmidt. — Non mi va di trattare con i traditori…

— Tutti dobbiamo fare dei piccoli sacrifici. — Le parole di Schmidt erano piene d’ironia.

Baxter avvampò d’ira, ma continuò, ignorandole.

— Mi sembra che siamo giunti a un punto morto. Noi presidiamo il ponte e abbiamo il quadro dei romandi.

— Mentre io e i miei uomini ci occupiamo della sala macchine e dell’unità della propulsione. Le mie forze non sono come dovrebbero essere, ma siamo bene armati. Credo che vi sarà impossibile sconfiggerci. Di qui non usciremo. Che cosa intendete fare, dunque, signor Baxter?

— Il dottor Nikitin è con voi?

— Naturalmente! E perché mai saremmo qui, altrimenti?

Baxter interruppe il collegamento e si rivolse a Nils: — Una gran brutta faccenda, capitano.

— Che dite? — fece Nils, che cominciava a riprendersi. — Chi è questo Nikitin?

— Uno dei loro migliori fisici — disse Arnie. — Con l’aiuto dei diagrammi e dei collegamenti elettrici, ormai dovrebbe avere già appreso i principii fondamentali della propulsione Daleth.

— Esatto — disse Baxter, riponendo la sua pistola. — Però se presidiano la sala macchine non possono impossessarsi del ponte; dunque, non è tutto perduto. Riferitelo ai vostri superiori — ordinò al radiotelegrafista. — Siamo giunti a un punto morto, per il momento. Ma se noi non fossimo arrivati fin qui, quelli si sarebbero impossessati dell’intera nave. Vedete, capitano, che vi siete sbagliato sul nostro conto?

— Come avete portato a bordo le pistole? — domandò Nils. — E quell’esplosivo?

— Che importa? Canne di pistola che avevano l’aria di stilografiche, munizioni ingerite, esplosivo al plastico in tubetti di dentifricio. La solita storia. Non è importante.

— Per me, sì — disse Nils, con maggiore vivacità. — E cosa proponete di fare, ora, signor Baxter?

— Difficile dirlo. Prima di tutto medicherò i vostri uomini. E poi cercherò di avviare un negoziato con quel doppio agente. Escogiteremo qualcosa. Dobbiamo tornarcene indietro, penso, e impedire altre uccisioni. Ormai sanno tutto sulla propulsione, il segreto è svelato. Niente più reticenza tra alleati, eh? I vostri, a Copenaghen, capiranno. Immagino che l’America sistemerà la cosa attraverso la NATO, ma questo non è il mio settore. Sono un uomo d’azione, io. Ma potete essere certo di una cosa… — Si eresse orgogliosamente. — I russi non potranno mai valersi di ciò che hanno scoperto questi loro sicari.

Nils si alzò lentamente, penosamente, e si trascinò incespicando fino alla sua poltroncina, davanti al quadro dei comandi. — Con chi parlate? — domandò al radiotelegrafista.

— Sono in collegamento con Copenaghen, con uno degli aiutanti del ministro. Là sono in piena notte, e gli altri dormivano quando ho chiamato. Il Re e il primo ministro stanno arrivando.

— Temo che non potremo aspettarli — disse Nils in inglese, perché anche Baxter capisse; poi rivolgendosi all’americano aggiunse: — Vorrei spiegare che cosa è accaduto.

— Ma certo, è indispensabile.

Sempre in inglese, con lentezza e precisione, Nils espose gli avvenimenti recenti. Dopo un lungo intervallo, mentre il segnale inviato alla Terra e la risposta tornavano indietro, l’uomo all’altro capo del filo disse qualcosa in danese, e Nils rispose nella medesima lingua. Quando ebbe finito, ci fu un silenzio teso sul ponte.

— Be’ — fece Baxter. — Che cosa hanno detto?

— Sono d’accordo con me — rispose Nils. — La situazione è disperata.

— Giusto.

— Ci siamo trovati d’accordo anche sui provvedimenti da prendere. Ci ha ringraziato.

— Di che diavolo state parlando?

All’improvviso, Nils si strappò la maschera fatta di pazienza e cortesia. E sputò le parole con una rabbia trattenuta che finalmente si era fatta strada dentro di lui.

— Della decisione di fermare voi, omiciattolo! Violenza, morte, uccisioni… non conoscete altro. Non vedo la minima differenza tra voi, i vostri sicari pagati che sono qui con voi, e quel porco che si è impadronito ora della sala macchine! In nome del bene, voi fate il male. Per un insano patriottismo distruggereste il genere umano. Quando vi deciderete a riconoscere che tutti gli uomini sono fratelli… e a smetterla di accoppare i vostri fratelli? Il vostro paese possiede un numero di bombe atomiche sufficiente a far saltare in aria il mondo quattro volte! Dunque, perché aggiungere a tutto questo l’ulteriore forza distruttiva dell’effetto Daleth?

— I russi…

— Sono proprio come voi. Dal punto in cui mi trovo, qui, nello spazio, vicino a morire, non ci vedo nessuna differenza.

— Vicino a… morire? — Baxter alzò di nuovo la pistola, spaventato.

— Sì. Credevate che vi avremmo semplicemente consegnato la nostra propulsione Daleth? Avevamo tentato di tenervi lontani da essa senza uccidere, ma voi ci avete obbligati a farlo. Ci sono almeno cinque tonnellate di esplosivo distribuite lungo lo scafo della nave. E le faranno esplodere a mezzo di un radio-segnale lanciato dalla Terra…

Una serie di rapide note musicali risuonò dall’altoparlante e Baxter si voltò di scatto, con un urlo selvaggio. Sparò contro i comandi, colpì il radiotelegrafista e vuotò il caricatore sui pannelli degli strumenti.

— Un radiosegnale che non può venire interrotto da qui!

Nils si volse verso Arnie, che se ne stava immobile. Gli prese una mano e cominciò a dire qualcosa. Il generale Gev rideva, divertendosi sinceramente a quella beffa cosmica. La giustezza di quella decisione lo esaltava. Baxter gridò ancora.

In una sola, immensa esplosione fiammeggiante, tutto finì.

24

Per Martha Hansen, gli avvenimenti avevano una certa parvenza di sogno che glieli rendeva sopportabili. Tutto era cominciato quando Ove l’aveva chiamata al telefono quella notte, alle quattro e diciassette. Il ricordo più preciso di quella telefonata era la posizione delle lancette fosforescenti nel buio, mentre la voce di Ove ronzava al suo orecchio.