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Quello gli fruttò un calcio nel fianco, poi un altro e un altro ancora. Si raggomitolò grugnendo. Ma i colpi continuarono a piovere.

Finalmente l’oscurità lo accolse.

La creatura che un tempo era stata Padan Fain camminava giù per il fianco di una collina. Le erbacce brune crescevano in chiazze spezzate, come la barba incolta sul mento di un mendicante.

Il cielo era nero. Una tempesta. Gli piaceva, anche se odiava quello che la causava.

Odio. Era la prova che era ancora vivo, l’emozione che gli era rimasta. L’unica emozione. Era tutto quello che poteva esserci.

Divorante. Eccitante. Bellissimo. Confortante. Violento. Odio. Stupendo. Era la tempesta che gli dava forza, il proposito che lo guidava. Al’Thor sarebbe morto. Per mano sua. E forse, dopo di quello, il Tenebroso. Stupendo...

La creatura che era stata Padan Fain tastò il suo bellissimo pugnale, sentendo le increspature dei disegni in sottile filo d’oro che avvolgevano l’elsa. Un grosso rubino sormontava l’estremità di quell’elsa, e lui portava l’arma sfoderata nella mano destra in modo che la lama si protendesse tra indice e medio. I lati di quelle dita erano stati tagliati dozzine di volte.

Sangue colava dalla punta del coltello giù sulle erbacce. Macchie cremisi per rallegrarlo. Rosso sotto, nero sopra. Perfetto. Era il suo odio a causare la tempesta? Doveva essere così. Sì.

Le gocce di sangue caddero accanto a macchie di oscurità che comparivano su foglie e steli morti mentre procedeva a nord nella Macchia.

Era pazzo. Questo era un bene. Quando accettavi la pazzia dentro di te — la abbracciavi e la assorbivi in te come se fosse luce solare, acqua o l’aria stessa — diventava un’altra parte di te. Come una mano o un occhio. Potevi vedere grazie alla pazzia. Potevi tenere cose con la pazzia. Era stupendo. Liberatorio.

Finalmente era libero.

La creatura che era stata Mordeth raggiunse il fondo della collina e non si guardò indietro verso la vasta massa violacea che aveva lasciato lì in cima. Uccidere i Vermi nel modo giusto era molto confusionario, ma certe cose andavano fatte nel modo giusto. Era un principio basilare.

La nebbia aveva iniziato a seguirlo, strisciando su dal terreno. Quella nebbia era la sua pazzia oppure era il suo odio? Era così familiare. Si contorse attorno alle sue caviglie e gli lambì i calcagni.

Qualcosa fece capolino attorno a una collina nelle vicinanze, poi ritrasse la testa. I Vermi morivano rumorosamente. I Vermi facevano tutto rumorosamente. Un branco di Vermi poteva distruggere un’intera legione. Quando li sentivi, giravi i tacchi, in fretta. D’altra parte, poteva essere opportuno mandare degli esploratori per andare a valutare quale fosse la direzione del branco, per non imbattercisi più tardi da qualche altra parte.

Così la creatura che era stata Padan Fain non fu sorpresa quando aggirò la collinetta e trovò lì un gruppo di Trolloc innervositi con un Myrddraal a guidarli.

Sorrise. Amici miei. Era passato troppo tempo.

Ai loro cervelli primitivi occorse un momento per giungere all’ovvia — ma falsa — conclusione: se un uomo stava vagando lì in giro, i Vermi non potevano essere vicini. Quelli avrebbero fiutato il suo sangue e sarebbero venuti a prenderlo. I Vermi preferivano gli umani ai Trolloc. Aveva senso. La creatura che era stata Mordeth aveva assaggiato entrambi, e la carne di Trolloc non era un granché.

I Trolloc si avventarono su di lui in un branco scompagnato, penne, becchi, artigli, denti, zanne. La creatura che era stata Fain rimase immobile, la nebbia che gli lambiva i piedi scalzi. Davvero stupendo! In fondo al gruppo, il Myrddraal esitò, il suo sguardo senza occhi fisso su di lui. Forse percepiva che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato. E giusto, naturalmente. Non poteva essere l’uno senza l’altro. Quello non avrebbe avuto senso.

La creatura che era stata Mordeth — presto avrebbe avuto bisogno di un nuovo nome — esibì un ampio sorriso.

Il Myrddraal si voltò per fuggire.

La nebbia colpì.

Si avvolse sopra i Trolloc, muovendosi rapida, come i tentacoli di un leviatano nell’Oceano Aryth. Alcune sue parti schioccarono in avanti attraversando i petti dei Trolloc. Una lunga fune sferzò sopra le loro teste, poi schizzò avanti indistinta, colpendo il Fade al collo.

I Trolloc urlarono, crollando in preda agli spasmi. I loro peli caddero a chiazze e la loro pelle iniziò a bollire. Vesciche e cisti. Quando quelle scoppiarono, lasciarono foruncoli simili a crateri sulla pelle della Progenie dell’Ombra, come bolle su una superficie di metallo raffreddata troppo in fretta.

La creatura che era stata Padan Fain aprì la bocca dalla gioia, chiudendo gli occhi al cielo nero in tumulto e sollevando la faccia, le labbra socchiuse, godendosi il suo banchetto. Una volta terminato sospirò, tenendo il suo pugnale più stretto... tagliando la sua carne.

Rosso sotto, nero sopra. Rosso e nero, rosso e nero, così tanto rosso e nero. Stupendo.

Procedette attraverso la Macchia.

I Trolloc corrotti si rialzarono in piedi dietro di lui, muovendosi barcollando, la saliva che colava dalle loro labbra. I loro occhi erano diventati smorti e indolenti, ma quando lui l’avesse desiderato, avrebbero reagito con una frenetica brama di combattere che avrebbe superato quella che avevano conosciuto in vita.

Lasciò il Myrddraal. Non si sarebbe alzato, come affermavano le dicerie. Il suo tocco ora portava morte istantanea a quelli della sua razza. Peccato. Aveva qualche unghia che altrimenti avrebbe potuto mettere a frutto.

Forse avrebbe dovuto procurarsi dei guanti. Ma se l’avesse fatto, non si sarebbe potuto tagliare la mano. Che problema.

Non aveva importanza. Avanti. Era giunto il momento di uccidere al’Thor.

Lo rattristava che la caccia dovesse finire. Ma quella caccia non aveva più una ragione. Non cacciavi qualcosa quando sapevi con esattezza dove si sarebbe trovato. Semplicemente ti presentavi a incontrarlo.

Come un vecchio amico. Un caro, amato vecchio amico che avresti pugnalato in un occhio, a cui avresti squarciato le viscere e poi avresti consumato una manciata dopo l’altra mentre ne bevevi il sangue. Questo era il modo appropriato per trattare gli amici.

Era un onore.

Malenarin Rai sfogliava i rapporti sugli approvvigionamenti. Quella dannata imposta alla finestra dietro la sua scrivania venne riaperta da una folata di vento, lasciando entrare il caldo afoso della Macchia.

Malgrado dieci anni di servizio come comandante della Torre Heeth, non si era abituato al clima torrido nelle terre alte. Umido. Afoso, l’aria spesso carica di odori di putrefazione.

Il vento fischiante sbatacchiò l’imposta di legno. Lui si alzò, dirigendosi a chiuderla, poi avvolse un pezzo di spago attorno alla maniglia per tenerla bloccata.

Tornò alla scrivania, esaminando il ruolino dei soldati appena arrivati. Ciascun uomo aveva una specialità accanto a esso: quassù ogni soldato doveva ricoprire due o più compiti. Capacità nel fasciare ferite. Piedi rapidi per consegnare messaggi. Un occhio acuto con l’arco. L’abilità di far sembrare che il rancio vecchio avesse il sapore di rancio nuovo. Malenarin richiedeva sempre specificatamente uomini di quest’ultimo gruppo. Qualunque cuoco capace di rendere i soldati impazienti di andare alla mensa valeva il suo peso in oro.

Malenarin mise da parte il suo rapporto attuale, bloccandolo con il corno di Trolloc riempito di piombo che teneva per quello scopo. Il foglio successivo nella sua pila era una lettera da parte di un uomo di nome Barriga, un mercante che stava portando la sua carovana alla torre per commerciare. Malenarin sorrise; lui era innanzitutto un soldato, ma portava sul petto le tre catene d’argento che lo contraddistinguevano come maestro mercante. Nonostante la sua torre ricevesse molti dei suoi approvvigionamenti direttamente dalla regina, a nessun comandante kandori veniva negata l’opportunità di trattare con i mercanti.