Se fosse stato fortunato, sarebbe riuscito a far ubriacare questo mercante straniero al tavolo delle trattative. Malenarin aveva costretto più di un mercante a un anno di servizio militare come punizione per aver stipulato accordi che non aveva potuto mantenere. Un anno di addestramento con le forze della regina spesso faceva un gran bene ai grassocci mercanti stranieri.
Mise quel foglio sotto il corno di Trolloc, poi esitò nel vedere l’ultima cosa che meritava la sua attenzione in fondo alla pila. Era un promemoria da parte del suo intendente. Keemlin, suo figlio maggiore, si stava avvicinando al suo quattordicesimo giorno del nome. Come se Malenarin potesse dimenticarsene! Non gli occorreva nessun promemoria.
Sorrise, mettendo il corno di Trolloc sopra la nota, nel caso in cui l’imposta si fosse spalancata di nuovo. Lui stesso aveva ucciso il Trolloc a cui era appartenuto quel corno. Poi si diresse al lato dell’ufficio e aprì la sua malconcia cassapanca di quercia. Tra gli altri effetti personali all’interno c’era una spada avvolta in un panno, il fodero marrone ben tenuto e oliato, ma sbiadito col tempo. La spada di suo padre.
Di li a tre giorni l’avrebbe data a Keemlin. Un ragazzo diventava un uomo nel suo quattordicesimo giorno del nome, il giorno in cui gli veniva data la sua prima spada e diventava responsabile per sé stesso. Keemlin aveva lavorato sodo per imparare le sue forme sotto gli insegnanti più severi che Malenarin aveva potuto fornire. Presto suo figlio sarebbe diventato un uomo. Quanto passavano in fretta gli anni.
Prendendo un respiro orgoglioso, Malenarin chiuse la cassapanca, poi si alzò e lasciò il suo ufficio per i giri quotidiani. La torre ospitava duecentocinquanta soldati, un bastione di difesa per sorvegliare la Macchia.
Avere un compito equivaleva ad avere orgoglio... proprio come portare un fardello equivaleva ad acquistare forza. Sorvegliare la Macchia era il suo compito e la sua forza, e di questi tempi era particolarmente importante, con la strana tempesta a nord e con la regina e buona parte dell’esercito kandori che si erano allontanati in cerca del Drago Rinato. Chiuse la porta dell’ufficio, poi mise il chiavistello segreto che la sbarrava dall’altra parte. Era una di diverse porte nel corridoio; un nemico che avesse assaltato la torre non avrebbe saputo quale si apriva sulle scale per salire. In questo modo, un piccolo ufficio poteva far parte delle difese della torre.
Si diresse al pozzo delle scale. Questi livelli alti non erano accessibili dal pianterreno: tutti i quaranta piedi più bassi della torre erano una trappola. Un nemico che fosse entrato a pianterreno e fosse salito per tre piani di alloggi della guarnigione non avrebbe trovato alcun modo per salire fino al quarto. L’unico modo per arrivare al quarto livello era arrampicarsi su per una scala stretta e pieghevole che conduceva dal secondo piano fino al quarto. Corrervi sopra lasciava gli assalitori completamente esposti alle frecce dall’alto. Allora, quando alcuni di essi vi si fossero trovati sopra ma altri no, i Kandori avrebbero ripiegato la scala, dividendo la forza nemica e lasciando che quelli di sopra venissero uccisi mentre tentavano di trovare le rampe interne.
Malenarin salì a passo svelto. Feritoie a intervalli regolari dai lati dei gradini davano sulle scale lì sotto, e avrebbero permesso agli arcieri di tirare su degli invasori. A metà strada per la cima, udì dei passi affrettati che scendevano. Un secondo più tardi, spuntò Jargen, il sergente della ronda. Come molti Kandori, Jargen portava una barba biforcuta; i suoi capelli neri erano spruzzati di grigio.
Jargen si era unito alla Guardia della Macchia il giorno dopo il suo quattordicesimo giorno del nome. Portava una corda legata ad anello attorno alla spalla della sua uniforme marrone; aveva un nodo per ogni Trolloc che aveva ucciso. A oggi si stava avvicinando ai cinquanta nodi.
Jargen lo salutò col braccio contro il petto, poi abbassò la mano per posarla sulla sua spada, un segno di rispetto per il proprio comandante. In molti paesi, tenere l’arma così sarebbe stato un insulto, ma si sapeva che la gente del Sud era stizzosa e irritabile. Non riuscivano a capire che era un onore impugnare la propria spada e indicare che ritenevi il tuo comandante una degna minaccia?
«Mio signore» disse Jargen con voce roca. «Un lampo dalla Torre Rena.»
«Cosa?» domandò Malenarin. I due proseguirono affiancati, salendo le scale di buon passo.
«Era chiaro, signore» disse Jargen. «L’ho visto io stesso, sì. Solo un lampo, ma era lì.»
«Hanno inviato una correzione?»
«Potrebbero averlo fatto nel frattempo. Io sono venuto a prenderti come prima cosa.»
Se ci fossero state altre notizie, Jargen le avrebbe condivise, così Malenarin non sprecò fiato a incalzarlo. In poco tempo uscirono sulla sommità della torre, che ospitava un enorme meccanismo di specchi e lampade. Con quell’apparato, la torre poteva inviare messaggi a est o a ovest — dove altre torri erano allineate sulla Macchia — oppure verso sud, lungo una linea di torri che correva fino al Palazzo Aesciaishar a Chachin.
Le vaste e ondulate terre montuose dei Kandori si estendevano a partire da questa torre. Alcune delle colline meridionali erano ancora avvolte lievemente nella nebbia mattutina. Quella terra a sud, libera da questa calura innaturale, presto sarebbe diventata verde, e i pastori kandori sarebbero saliti fino agli alti pascoli con le loro pecore.
A nord si trovava la Macchia. Malenarin aveva letto di giorni in cui la Macchia era stata a malapena visibile da questa torre. Adesso arrivava quasi fino alla base della muratura. Anche la Torre Rena era a nordovest. Il suo comandante — lord Niach della Casata Okatomo — era un suo lontano cugino e un buon amico. Non avrebbe mandato un lampo senza motivo, e avrebbe inviato una smentita se fosse stato un incidente.
«Nessun’altra notizia?» chiese Malenarin.
I soldati di ronda scossero il capo. Jargen tamburellò il piede e Malenarin incrociò le braccia in attesa di una rettifica.
Non giunse nulla. La Torre Rena si trovava all’interno della Macchia in questi giorni, dato che stava più a nord della Torre Heeth. La sua posizione nella Macchia di norma non era un problema. Perfino le creature più temibili della Macchia sapevano di non attaccare una torre kandori.
Non giunse nessuna rettifica. Nemmeno un bagliore. «Inviate un messaggio a Rena» disse Malenarin. «Chiedete se il loro lampo è stato un errore. Poi chiedete alla Torre Farmay se hanno notato qualcosa di strano.»
Jargen mise gli uomini al lavoro, ma rivolse a Malenarin un’occhiata piatta, come per chiedere: Non pensi che l’abbia già fatto?
Quello voleva dire che i messaggi erano stati inviati, ma non c’era stata risposta. Il vento soffiò lungo la sommità della torre, facendo cigolare il congegno di specchi mentre i suoi uomini inviavano un’altra serie di lampi. Quel vento era umido. Fin troppo caldo. Malenarin lanciò un’occhiata in alto, verso il punto in cui la stessa tempesta nera ribolliva e si agitava. Sembrava essersi posizionata.
Quel pensiero gli sembrò molto sconfortante.
«Mandate un lampo indietro,» disse Malenarin «verso le torri dell’entroterra. Riferite loro quello che abbiamo visto; dite loro di star pronti in caso di guai.»
Gli uomini si misero al lavoro.
«Sergente,» disse Malenarin «chi è il prossimo sul ruolino dei messaggeri?»
Il contingente della torre includeva un gruppetto di ragazzi che erano cavallerizzi eccellenti. Essendo leggeri, potevano viaggiare su cavalli veloci, nel caso in cui un comandante avesse deciso di non utilizzare gli specchi. La luce degli specchi era rapida, ma poteva essere vista dai nemici. Inoltre, se la linea di torri era interrotta — o se l’apparato era danneggiato — avrebbero avuto bisogno di un modo per portare la notizia alla capitale.
«Il prossimo sul ruolino...» disse Jargen, controllando una lista inchiodata all’interno della porta che dava sul tetto. «Sarebbe Keemlin, mio signore.»
Keemlin. Il suo Keemlin.
Malenarin lanciò un’occhiata a nordovest, verso la torre silenziosa che aveva lanciato un lampo così sinistro. «Fatemi sapere se c’è anche solo un cenno di risposta dalle altre torri» disse Malenarin ai soldati. «Jargen, vieni con me.»