«Tu sei senza parole?» disse Hahn. Il fratello di Adim aveva un colorito più scuro, come sua madre, ed era alto per i suoi quindici anni. «Zio, di solito tu hai tanto da dire quanto un menestrello che ha tracannato acquavite per metà della serata!» Hahn preferiva mantenere una facciata forte per suo fratello, ora che era lui l’uomo della famiglia. Ma a volte era un bene essere preoccupati.
E Almen era preoccupato. Molto preoccupato.
«Ci rimane a stento grano per una settimana» disse piano Adim. «E quello che abbiamo è perché abbiamo fatto promesse sul raccolto. Nessuno ci darà nulla, ora. Nessuno ha nulla.»
Il frutteto era uno dei maggiori produttori della regione; molti degli uomini del villaggio vi lavoravano in uno stadio o un altro. Dipendevano da esso. Ne avevano bisogno. Con così tanto cibo che stava andando a male, con le loro riserve esaurite durante quell’inverno innaturale...
E poi c’era l’incidente che aveva ucciso Graeger. L’uomo aveva svoltato un angolo a Negirt Bridge ed era svanito. Quando la gente era andata a cercarlo, tutto quello che aveva trovato era stato un albero contorto e privo di foglie, con un tronco grigiobianco che puzzava di zolfo.
La Zanna del Drago era stata scarabocchiata su alcune porte quella notte. La gente era sempre più nervosa. Una volta, Almen li avrebbe definiti tutti degli sciocchi, che avevano paura della propria ombra e vedevano dannati Trolloc sotto ogni pietra del selciato. Adesso... be’, adesso non ne era così sicuro. Lanciò un’occhiata a est, verso Tar Valon. La colpa del mancato raccolto poteva essere delle streghe? Odiava essere così vicino al loro covo, ma Alysa aveva bisogno del suo aiuto.
Avevano abbattuto quell’albero e l’avevano bruciato. Si poteva ancora sentire odore di zolfo nella piazza.
«Zio?» disse Hahn, a disagio. «Cosa... cosa facciamo?»
«Io...» Cosa dovevano fare? «Che io sia folgorato, ma dovremmo andarcene tutti a Caemlyn. Sono certo che la nuova regina avrà messo a posto tutto quanto lì a quest’ora. Possiamo aggiustare la mia situazione con la legge. Chi ha mai sentito di una cosa del genere, vedersi mettere una taglia sulla testa per aver parlato in favore della regina?» Si rese conto che stava farneticando.
I ragazzi continuavano a guardarlo.
«No» continuò Almen. «Che io sia folgorato, ragazzi, ma questo è sbagliato. Non possiamo andare. Dobbiamo continuare a lavorare. Questo non è peggio di quando ho perso il mio intero campo di miglio per una gelata tardiva vent’anni fa. Lo supereremo, com’è vera la Luce.»
Gli alberi stessi parevano star bene. Non c’era un morso di insetto su di essi, e le foglie erano ingiallite ma ancora buone. Certo, i germogli primaverili erano giunti tardi e le mele erano cresciute lentamente. Ma erano cresciute.
«Hahn» si ritrovò a dire Almen. «Sai che la scure di tuo padre ha quelle intaccature? Perché non vai a farla affilare? Adim, vai a prendere Uso e Moor e i loro carretti. Passeremo in rassegna quelle mele cadute e vedremo se qualcuna non è marcita troppo. Forse i maiali le mangeranno.» Almeno ne avevano ancora due. Ma non ci sarebbero stati maialini questa primavera.
I giovani esitarono.
«Andate ora» disse Almen. «Non serve a niente oziare perché abbiamo subito un contrattempo.»
I ragazzi si precipitarono via, obbedienti. Mani pigre facevano menti pigre. Un po’ di lavoro avrebbe impedito che pensassero a quello che li aspettava.
Questo per lui era impossibile. Si sporse in basso sul recinto, tastando i solchi scabri delle assi non levigate sotto le sue braccia. Quel vento strattonò di nuovo i lembi della sua camicia; Adrinne lo aveva sempre costretto a rimboccarli dentro, ma ora che lei non c’era più... Be’, non gli era mai piaciuto indossarla a quel modo.
Se la rimboccò comunque.
L’aria in qualche modo aveva un odore sbagliato. Stantio, come l’aria dentro una città. Delle mosche stavano cominciando a ronzare attorno ai pezzi raggrinziti che una volta erano stati mele.
Almen aveva vissuto parecchio tempo. Non aveva mai tenuto il conto; Adrinne l’aveva fatto per lui. Non era importante. Sapeva di aver visto parecchi anni, e basta.
Aveva visto insetti attaccare un raccolto; aveva visto piante perdute per inondazioni, siccità o negligenza. Ma in tutti i suoi anni non aveva mai visto qualcosa del genere. Questo era qualcosa di malvagio. Il villaggio era già alla fame. Non ne parlavano, non quando i bambini o i giovani erano nei paraggi. Gli adulti davano con calma quello che avevano ai giovani e alle donne che stavano allattando. Ma le mucche non avevano più latte, le scorte si stavano guastando, i raccolti stavano morendo.
La lettera nella sua tasca diceva che la sua stessa fattoria era stata assalita da mercenari di passaggio. Non avevano fatto del male a nessuno, ma avevano preso ogni scampolo di cibo. I suoi figli erano sopravvissuti soltanto scavando patate mezze mature dal raccolto e bollendole. Ne avevano trovate diciannove su venti marcite nel terreno, inspiegabilmente piene di vermi malgrado sopra crescesse il verde.
Dozzine di villaggi vicini stavano soffrendo allo stesso modo. Non c’era cibo. Tar Valon stessa aveva problemi a nutrire la sua gente.
Fissando quei filari perfetti e ordinati di meli inutili, Almen avvertì il peso schiacciante. Di cercare di restare ottimista. Di vedere tutto quello per cui sua sorella aveva lavorato guastarsi e marcire. Queste mele... avrebbero dovuto salvare il villaggio, e i suoi figli.
Il suo stomaco brontolò. Lo faceva spesso, di recente.
Ci siamo, dunque?, pensò, gli occhi bassi verso l’erba troppo gialla. La lotta è appena terminata.
Almen si afflosciò, sentendosi un peso sulle spalle. Adrinne, pensò. C’era stato un tempo in cui era stato lesto al riso, dalla parola facile. Ora si sentiva consumato, come un palo che fosse stato scartavetrato più e più volte fino a lasciare solo una scheggia. Forse era tempo di lasciar andare.
Avvertì qualcosa sul collo. Calore.
Esitò, poi alzò gli occhi stanchi verso il cielo. La luce del sole gli inondò il viso. Rimase a bocca aperta: era passato così tanto tempo da quando aveva visto la pura luce solare. Splendeva giù attraverso un grosso varco tra le nubi, confortante come il calore di un forno che cuocesse una pagnotta del denso pane lievitato naturalmente di Adrinne.
Almen si rimise dritto, sollevando una mano per schermarsi gli occhi. Prese un respiro lungo e profondo e odorò... infiorescenze di mele? Si girò con un sussulto.
I meli erano in fiore.
Questo era decisamente ridicolo. Si sfregò gli occhi, ma questo non scacciò l’immagine. Stavano sbocciando, tutti quanti, fiori bianchi che spuntavano tra le foglie. Le mosche ronzarono nell’aria e schizzarono via col vento. I pezzi scuri di mele a terra si sciolsero, come cera davanti a una fiamma. In pochi secondi, di essi non rimase nulla, nemmeno il succo. La terra li aveva assorbiti.
Cosa stava succedendo? I meli non fiorivano due volte. Stava impazzendo?
Dei passi risuonarono piano sul sentiero che correva oltre il frutteto. Almen si girò e trovò un giovane alto che scendeva lungo le pendici della collina. Aveva capelli di un rosso intenso e indossava abiti laceri: un mantello marrone con maniche ampie e sotto una semplice camicia di lino bianco. I pantaloni erano di miglior fattura, neri con un delicato ricamo dorato sull’orlo.
«Ehi, straniero» disse Almen, sollevando una mano, non sapendo cos’altro dire, nemmeno certo di aver visto quello che pensava di aver visto. «Ti sei... ti sei perso tra le colline?»
L’uomo si fermò, voltandosi di colpo. Parve sorpreso di trovare Almen lì. Con un sussulto, Almen si rese conto che il braccio sinistro dell’uomo terminava in un moncherino.
Lo sconosciuto si guardò attorno, poi inspirò a fondo. «No, non mi sono perso. Finalmente. Sembra passato parecchio tempo da quando ho compreso il sentiero davanti a me.»