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Almen si grattò la guancia. Che fosse folgorato, c’era un’altra chiazza che non si era rasato. La mano gli aveva talmente tremato che pareva non avesse usato proprio il rasoio. «Non ti sei perso? Figliolo, quel sentiero conduce soltanto lungo le pendici di Montedrago. Se speravi di trovare della selvaggina, è stata cacciata tutta. Non c’è nulla di utile lassù.»

«Io non direi» replicò l’uomo, lanciando un’occhiata sopra la sua spalla. «Ci sono sempre cose utili in giro, se guardi con sufficiente attenzione. Non puoi fissarle troppo a lungo. Imparare senza essere sopraffatti, questo è l’equilibrio.»

Almen incrociò le braccia. Le parole dell’uomo... sembrava come se stessero conducendo due conversazioni diverse. Forse il ragazzo non stava del tutto bene con la testa. C’era qualcosa in quell’uomo, però. Il suo portamento, il modo in cui quei suoi occhi fissavano con tale calma intensità. Almen ebbe la sensazione di doversi mettere in piedi e darsi una ripulita alla camicia per rendersi più presentabile.

«Ti conosco?» chiese Almen. Qualcosa in quel giovane uomo gli era familiare.

«Sì» disse il ragazzo. Poi fece un cenno col capo verso il frutteto. «Raduna la tua gente e raccogliete quelle mele. Vi serviranno nei giorni a venire.»

«Le mele?» disse Almen voltandosi. «Ma...» Rimase di sasso. Gli alberi erano fioriti con nuove mele rosse e mature. I boccioli che aveva visto prima erano caduti e ricoprivano il suolo di bianco, come neve.

Quelle mele sembravano risplendere. Non solo dozzine di esse su ciascun albero, ma centinaia. Più di quante un albero avrebbe potuto tenerne, ciascuna perfettamente matura.

«Sto davvero impazzendo» disse Almen, voltandosi di nuovo verso l’uomo.

«Non sei tu quello che sta impazzendo, amico» disse lo sconosciuto. «Ma il mondo intero. Raccogli quelle mele in fretta. La mia presenza lo terrà a bada per qualche tempo, penso, e qualunque cosa prendiate ora dovrebbe essere al sicuro dal suo tocco.»

Quella voce... quegli occhi, come gemme grigie tagliate e poste nella sua faccia. «Io ti conosco» disse Almen, ricordando una strana coppia di giovani a cui aveva dato un passaggio sul suo carretto anni prima. «Luce! Tu sei lui, non è vero? Quello di cui parlano?»

L’uomo tornò a guardare Almen. Incontrando quegli occhi, Almen provò uno strano senso di pace. «È probabile» disse l’uomo. «La gente parla spesso di me.» Sorrise, poi si voltò e continuò a procedere giù lungo il sentiero.

«Aspetta» disse Almen, alzando una mano verso l’uomo che poteva solo essere il Drago Rinato. «Dove stai andando?»

L’uomo si guardò indietro con una lieve smorfia. «A fare qualcosa che ho rimandato. Dubito che lei sarà lieta di quello che le dirò.»

Almen abbassò la mano, osservando mentre lo straniero si allontanava, lungo un sentiero tra due frutteti recintati, con alberi carichi di mele rosso sangue. Almen pensò — per un momento — di poter percepire qualcosa attorno all’uomo. Una luminosità nell’aria, deformata e piegata.

Almen osservò l’uomo finché non scomparve, poi corse verso casa di Alysa. Il suo vecchio dolore all’anca era scomparso e si sentiva come se potesse correre per una dozzina di leghe. A metà strada per la casa, incontrò Adim e i due braccianti diretti al frutteto. Lo osservarono con occhi preoccupati mentre lui si fermava di colpo.

Incapace di parlare, Almen si voltò e indicò verso i frutteti. Le mele erano macchioline rosse che punteggiavano il verde come lentiggini.

«Questo cos’è?» chiese Uso, sfregandosi la faccia lunga. Moor sbatté le palpebre, poi cominciò a correre verso il frutteto.

«Radunate tutti» disse Almen, senza fiato. «Tutti dal villaggio, dai villaggi vicini, gente di passaggio sulla strada di Shyman. Tutti quanti. Portateli qui a raccogliere.»

«Raccogliere cosa?» chiese Adim accigliato.

«Mele» disse Almen. «Cos’altro cresce sui meli! Ascoltate, ci occorre che tutte quelle mele vengano raccolte prima della fine della giornata. Mi avete sentito? Andate! Spargete la voce! Ci sarà un raccolto, dopotutto!»

Quelli corsero a vedere, naturalmente. Era difficile biasimarli per quello. Almen proseguì e, mentre lo faceva, notò per la prima volta che l’erba attorno a lui pareva più verde, più sana.

Guardò a est. Avvertì dentro di sé qualcosa che lo tirava. Qualcosa lo stava strattonando piano nella direzione in cui era andato lo straniero.

Prima le mele, pensò. Poi... be’, poi ci avrebbe pensato.

2

Questioni di comando

Il tuono rimbombava sopra, basso e minaccioso come il ringhio di una bestia lontana. Perrin alzò gli occhi verso il cielo. Pochi giorni prima, quella dilagante coltre di nubi era diventata nera, oscurandosi come l’avvento di un’orribile tempesta. Ma la pioggia era giunta solo a sprazzi.

Un altro rombo scosse l’aria. Non ci fu alcun fulmine. Perrin diede una pacca sul collo a Resistenza; il cavallo odorava ombroso... irritabile, sudato. E non era l’unico. Quell’odore era sospeso sulla sua enorme forza di truppe e rifugiati mentre arrancavano per il terreno fangoso. Quella forza creava un proprio tuono, suoni di passi e zoccoli, ruote di carri che giravano, uomini e donne che chiamavano.

Avevano quasi raggiunto la strada di Jehannah. In origine, Perrin aveva progettato di attraversarla e continuare a nord, verso l’Andor. Ma aveva perso parecchio tempo per la malattia che aveva colpito il suo accampamento... Entrambi gli Asha’man erano quasi morti. Poi questo fango denso li aveva rallentati ancora di più. Tra tutto quanto, era passato oltre un mese da quando avevano lasciato Malden, e avevano viaggiato solo fin dove Perrin aveva sperato inizialmente di arrivare in una settimana.

Perrin aveva la mano nella tasca della giacca, e tastava il piccolo rompicapo del fabbro lì dentro. L’avevano trovato a Malden, e lui aveva preso a giocherellarci. Finora non era riuscito a capire come staccare i pezzi. Era il rompicapo più complesso che avesse mai visto.

Non c’era alcun segno di mastro Gill o delle persone che aveva mandato avanti con le provviste. Grady era riuscito a creare qualche piccolo passaggio più avanti per mandare degli esploratori a trovarli, ma erano tornati senza nessuna notizia. Perrin cominciava a essere preoccupato per loro.

«Mio signore?» chiese un uomo. Era in piedi accanto al cavallo di Perrin. Turne era un tipo smilzo con ricciuti capelli rossi e una barba che teneva legata con corde di cuoio. Portava un’ascia da guerriero in un anello alla cintura, un’arma dall’aria terribile con uno spuntone sulla parte posteriore.

«Non possiamo pagarti molto» disse Perrin. «I tuoi uomini non hanno cavalli?»

«No, mio signore» disse Turne, lanciando un’occhiata alla sua dozzina di compagni. «Jarr ne aveva uno. Lo abbiamo mangiato qualche settimana fa.» Turne puzzava di sporco, e sopra a quegli odori c’era uno strano lezzo stantio. Le emozioni dell’uomo si erano forse intorpidite? «Se non vi dispiace, mio signore. Le paghe possono aspettare. Se avete cibo... be’, quello sarà sufficiente per ora.»

Dovrei cacciarli via, pensò Perrin. Abbiamo già troppe bocche da sfamare.

Per la Luce, avrebbe dovuto sbarazzarsi delle persone. Ma questi tizi parevano saperci fare con le loro armi e se li avesse cacciati senza dubbio si sarebbero dati al saccheggio.

«Procedi lungo la fila» disse Perrin. «Trova un uomo di nome Tam al’Thor: è un tizio robusto, vestito come un contadino. Chiunque dovrebbe essere in grado di indicartelo. Digli che hai parlato con Perrin e io ho detto di prendervi con noi in cambio di pasti.»

Gli uomini sporchi si rilassarono, e il loro smilzo capo parve davvero odorare grato. Grato! Mercenari — forse banditi — grati di essere arruolati solo per dei pasti. Il mondo era arrivato fino a questo punto.