«Vorrei indossare l’hadori di mio padre» gli urlò Bulen con voce sempre più forte. «Ma non ho nessuno a cui chiedere se posso. È questa la tradizione, giusto? Qualcuno deve darmi il diritto di indossarlo. Bene, io combatterei l’Ombra per tutti i giorni della mia vita.» Abbassò lo sguardo verso l’hadori, poi lo alzò di nuovo e urlò: «Mi ergerei contro l’ombra, al’Lan Mandragoran! Tu mi dirai che non posso?»
«Va’ dal Drago Rinato» gli gridò Lari. «O dall’esercito della tua regina. Uno di essi ti accoglierà.»
«E tu? Cavalcherai fino alle Sette Torri senza provviste?»
«Andrò in cerca di cibo.»
«Perdonami, mio signore, ma hai visto la terra in questi giorni? La Macchia striscia sempre più a sud. Non cresce nulla, nemmeno in terreni un tempo fertili. La selvaggina scarseggia.»
Lan esitò. Tirò le redini e arrestò Mandarb.
«A quel tempo,» gli gridò Bulen, venendo avanti col cavallo da soma che procedeva dietro di lui «sapevo a malapena chi fossi, anche se avevi perso qualcuno che ti era caro tra noi. Ho passato anni a maledirmi per non averti servito meglio. Ho giurato che sarei stato al tuo fianco un giorno.» Si accostò a Lan. «Te lo chiedo perché non ho un padre. Posso indossare l’hadori e combattere al tuo fianco, al’Lan Mandragoran? Mio re?»
Lan espirò lentamente, placando le proprie emozioni. Nynaeve, la prossima volta che ti vedo... Ma lui non l’avrebbe vista di nuovo. Cercò di non indugiare su quel pensiero.
Lui aveva fatto un giuramento. Le Aes Sedai aggiravano le loro promesse con degli espedienti, ma questo gli dava forse lo stesso diritto? No. Un uomo era il suo onore. Lui non poteva rifiutare Bulen.
«Cavalcheremo in anonimato» disse Lan. «Non innalzeremo la Gru Dorata. Tu non dirai a nessuno chi sono io.»
«Sì, mio signore» disse Bulen.
«Allora indossa quell’hadori con orgoglio» disse Lan. «Troppo pochi si attengono alle vecchie usanze. E sì, puoi unirti a me.»
Lan diede di talloni a Mandarb e Bulen lo seguì a piedi. E uno divenne due.
Perrin calò il suo martello contro il pezzo di ferro incandescente. Delle scintille schizzarono in aria come insetti luccicanti. Il sudore gli imperlava la fronte.
Alcune persone trovavano aspro il clangore di metallo contro metallo. Non Perrin. Quel suono era confortante. Sollevò il martello e lo calò di nuovo.
Scintille. Svolazzanti frammenti di luce che gli rimbalzavano contro il farsetto di cuoio e il grembiule. Con ogni colpo, le pareti della stanza — robusto legno di ericacea — si increspavano, reagendo ai battiti di metallo su metallo. Stava sognando, anche se non era nel sogno del lupo. Lo sapeva, anche se non gli era chiaro come lo sapeva.
Le finestre erano buie, l’unica luce quella del fuoco rosso intenso che ardeva alla sua destra. Due barre di ferro se ne stavano calde tra le braci, in attesa del loro turno alla forgia. Perrin calò di nuovo il martello.
Questa era pace. Questa era casa.
Stava costruendo qualcosa di importante. Di molto importante. Era un pezzo di qualcosa di più grande. Il primo passo per creare qualcosa era comprenderne le parti. Mastro Luhhan lo aveva insegnato a Perrin il suo primo giorno alla forgia. Non potevi fare un badile senza capire come il manico si inseriva nella lama. Non potevi fare un cardine senza sapere come le due bandelle si muovevano con il perno. Non potevi nemmeno fare un chiodo senza conoscerne le parti: testa, fusto, punta.
Comprendi i pezzi, Perrin.
Un lupo era steso nell’angolo della stanza. Era grosso e brizzolato, la pelliccia del colore di una pietra di fiume grigio pallido, e sfregiato da una vita di battaglie e cacce. Il lupo aveva la testa appoggiata sulle zampe e osservava Perrin. Quello era naturale. Ma certo che c’era un lupo nell’angolo. Perché non ci sarebbe dovuto essere? Era Hopper.
Perrin lavorava, godendosi l’intenso calore ardente della forgia, la sensazione del sudore che gli colava lungo le braccia, l’odore del fuoco. Diede forma al pezzo di ferro, un colpo ogni due battiti del suo cuore. Il metallo non si raffreddava mai, bensì manteneva il suo malleabile color giallo-rosso.
Cosa sto facendo? Perrin sollevò il pezzo di ferro lucente con le pinze. L’aria si increspò attorno a esso.
Batti, batti, batti, gli trasmise Hopper, comunicando per odori e immagini. Come un cucciolo che salta per prendere le farfalle.
Hopper non vedeva lo scopo nel dare un’altra forma al metallo e trovava divertente che gli uomini facessero cose del genere. Per un lupo, una cosa era quello che era. Perché sforzarsi così tanto per cambiarla in qualcos’altro?
Perrin mise da parte il pezzo di ferro. Si raffreddò immediatamente, sbiadendo da giallo ad arancione a cremisi, fino a uno smorto nero. Perrin l’aveva martellato fino a ridurlo a un grumo informe, forse delle dimensioni di due pugni. Mastro Luhhan si sarebbe vergognato per un lavoro così scadente. A Perrin occorreva scoprire al più presto cosa stava facendo, prima che il suo maestro tornasse.
No. Questo era sbagliato. Il sogno tremolò e le pareti divennero sfocate.
Non sono un apprendista. Perrin si portò alla testa una mano avvolta da uno spesso guanto. Non sono più ai Fiumi Gemelli. Sono un uomo, un uomo sposato.
Perrin afferrò il grumo di ferro informe con le pinze, spingendolo giù sull’incudine. Avvampò a nuova vita con calore. Tutto è ancora sbagliato. Perrin calò il suo martello. Tutto dovrebbe andar meglio ora. Ma non è così. In qualche modo sembra peggio.
Continuò a battere. Odiava le dicerie che si sussurravano nell’accampamento su di lui. Perrin era stato malato e Berelain si era presa cura di lui. Tutto era finito lì. Eppure quei sussurri continuavano.
Calò il martello più e più volte. Scintille volarono in aria come schizzi d’acqua, fin troppe per provenire da un solo pezzo di ferro. Assestò un ultimo colpo, poi inspirò ed espirò.
Il grumo non era cambiato. Perrin ringhiò e afferrò le pinze, mettendolo da parte e prendendo una barra nuova dalle braci. Lui doveva terminare questo pezzo. Era così importante. Ma cosa stava facendo?
Iniziò a martellare. Mi occorre trascorrere del tempo con Faile, mettere in chiaro le cose, fugare l’imbarazzo fra noi. Ma non c’è tempo! Quegli sciocchi accecati dalla Luce che lo circondavano non riuscivano a prendersi cura di sé stessi. A nessuno nei Fiumi Gemelli era mai servito un lord prima.
Lavorò per un po’, quindi sollevò il secondo pezzo di ferro. Si raffreddò, diventando una barra appiattita e informe lunga più o meno quanto il suo avambraccio. Un altro pezzo scadente. Lo mise da parte.
Se sei infelice, trasmise Hopper, prendi la tua lei e vattene. Se non desideri guidare il branco, un altro lo farà. Il messaggio del lupo giunse come immagini di corse per campi aperti, con steli di grano che gli sfioravano il muso. Un cielo limpido, una brezza fresca, un’euforia e una brama di avventura. Gli odori di pioggia recente, di pascoli selvaggi.
Perrin protese le pinze nelle braci per prendere l’ultima barra di ferro. Bruciò di un giallo pericoloso e distante. «Non posso andarmene.» Tenne la barra in alto verso il lupo. «Vorrebbe dire arrendermi a essere un lupo. Vorrebbe dire perdere me stesso. Io non lo farò.»
Tenne la barra di ferro quasi fuso tra loro, e Hopper la guardò, puntini di luce gialla che si riflettevano negli occhi del lupo. Questo sogno era così strano. In passato, i normali sogni di Perrin e il sogno del lupo erano stati distinti. Cosa voleva dire questo miscuglio?
Perrin era spaventato. Era giunto a una tregua precaria con il lupo dentro di lui. Avvicinarsi troppo ai lupi era pericoloso, ma questo non gli aveva impedito di rivolgersi a loro quando stava cercando Faile. Qualunque cosa per Faile. Nel farlo, Perrin era quasi impazzito e aveva perfino tentato di uccidere Hopper.