Sputò su un pezzo nuovo, poi intrise la stoffa con quello sputo. La ferita alla testa, lo sporco che aveva in faccia... queste cose erano segni di vittoria per gli Inquisitori. Lui non li avrebbe lasciati. Si sarebbe sottoposto alle loro torture col volto pulito.
Udì delle urla di fuori. Uomini che si preparavano a smontare il campo. Questo avrebbe ritardato il loro interrogatorio? Ne dubitava. Smontare il campo poteva richiedere ore. Galad continuò a pulirsi, insozzando entrambi i legacci in tutta la loro lunghezza, usando quel lavoro come una sorta di rituale, uno schema ritmico che gli desse qualcosa per concentrarsi e meditare. Il suo mal di testa diminuì, i dolori nel suo corpo divennero meno significativi.
Lui non sarebbe fuggito. Perfino se fosse riuscito a scappare, la fuga avrebbe invalidato il suo accordo con Asunawa. Ma lui avrebbe affrontato i suoi nemici con rispetto per sé stesso.
Mentre terminava, udì voci fuori dalla tenda. Stavano venendo per lui. Arrancò in silenzio di nuovo fino al chiodo nel terreno. Prendendo un respiro profondo nonostante il dolore, rotolò in ginocchio. Poi prese la testa dello spuntone di ferro nella sua mano sinistra e spinse, issandosi in piedi.
Barcollò, poi si stabilizzò, mettendosi completamente dritto. I suoi dolori non erano nulla adesso. Aveva subito morsi di insetto che erano stati peggiori. Divaricò i piedi in una posa da guerriero, le mani tenute davanti a sé con i polsi incrociati. Aprì gli occhi, la schiena dritta, fissando i lembi delle tende. Non era il mantello, l’uniforme, il blasone o la spada a fare un uomo. Era il modo in cui si comportava.
I lembi frusciarono, poi si aprirono. La luce esterna era brillante agli occhi di Galad, ma lui non sbatté le palpebre. Non sussultò.
Delle sagome si mossero contro un cielo coperto. Esitarono, in controluce. Poteva capire che erano sorpresi di vederlo lì in piedi.
«Luce!» esclamò uno. «Damodred, come fai a essere sveglio?» Inaspettatamente, quella voce era familiare.
«Trom?» chiese Galad, la sua voce roca.
Degli uomini si riversarono nella stanza. Mentre i suoi occhi si adattavano, Galad distinse il tarchiato Trom, assieme a Bornhald e Byar. Trom armeggiò con un mazzo di chiavi.
«Fermatevi!» disse Galad. «Ho dato degli ordini a voi tre. Bornhald, c’è del sangue sul tuo mantello! Vi avevo ordinato di non cercare di liberarmi!»
«I tuoi uomini hanno obbedito ai tuoi ordini, Damodred» disse una nuova voce. Galad alzò lo sguardo e vide tre uomini entrare nella stanza: Berab Golever, alto e barbuto; Alaabar Hamesh, alla cui testa calva e in ombra mancava l’orecchio sinistro; Brandel Vordarian, un omone biondo proveniente dall’Andor come Galad. Tutti e tre erano lord Capitani, tutti e tre si erano schierati con Asunawa.
«Che significa questo?» chiese loro Galad.
Hamesh aprì un sacco e lasciò cadere qualcosa di bitorzoluto sul terreno di fronte a Galad. Una testa.
Quella di Asunawa.
Tutti e tre gli uomini estrassero le spade e si inginocchiarono davanti a lui, le punte delle loro armi che penetravano la tela. Trom sbloccò i ceppi ai piedi di Galad.
«Capisco» disse Galad. «Avete rivolto le vostre spade sui vostri compagni Figli.»
«Cosa avresti voluto che facessimo?» chiese Brandel, alzando lo sguardo dalla sua posizione inginocchiata.
Galad scosse il capo. «Non lo so. Forse hai ragione; non dovrei rimproverarvi per questa scelta. Potrebbe essere l’unica che avreste potuto prendere. Ma perché avete cambiato idea?»
«Abbiamo perso due lord Capitani Comandanti in meno di mezzo anno» disse Hamesh con voce burbera. «La Fortezza della Luce è diventata un campo giochi per i Seanchan. Il mondo è nel caos.»
«Eppure» disse Golever «Asunawa ci ha fatto marciare fino a qui per combattere i nostri compagni Figli. Non era giusto, Damodred. Abbiamo visto tutti come ti sei presentato, abbiamo visto come tu ci hai impedito di ucciderci a vicenda. Posti di fronte a questo, e con l’Alto Inquisitore che ha definito Amico delle Tenebre un uomo che tutti sappiamo essere onorevole... Be’, come potevamo non rivoltarci contro di lui?»
Galad annuì. «Voi mi accettate come lord Capitano Comandante?»
I tre uomini chinarono il capo. «Tutti i lord Capitani sono in tuo favore» disse Golever. «Siamo stati costretti a uccidere un terzo di quelli che indossavano il pastorale rosso della Mano della Luce. Qualche altro si è unito a noi; alcuni hanno tentato di fuggire. Gli Amadiciani non hanno interferito, e molti hanno detto che avrebbero preferito unirsi a noi piuttosto che tornare dai Seanchan. Teniamo gli altri Amadiciani — e gli Inquisitori che hanno tentato di fuggire — in punta di spada.»
«Lasciate liberi quelli che desiderano andarsene» disse Galad. «Possono tornare dalle loro famiglie e dai loro padroni. Per quando avranno raggiunto i Seanchan, noi saremo fuori dalla loro portata.»
Gli uomini annuirono.
«Accetto la vostra lealtà» disse Galad. «Radunate gli altri lord Capitani e portatemi i rapporti sulle vettovaglie. Smontate il campo. Marciamo verso l’Andor.»
Nessuno di loro chiese se a lui occorresse riposarsi, anche se Trom parve davvero preoccupato. Galad accettò la veste bianca che un Figlio gli portò, poi si sedette su una sedia che si affrettarono a portargli mentre un altro — Figlio Candeiar, un uomo esperto nelle ferite — entrava per esaminare le sue lesioni.
Galad non si sentiva abbastanza saggio o forte per portare quel titolo. Ma i Figli avevano preso la loro decisione.
La Luce li avrebbe protetti per questo.
3
La rabbia dell’Amyrlin
Egwene galleggiava nell’oscurità. Era senza forma, priva di consistenza o corpo. I pensieri, le fantasie, le preoccupazioni, le speranze e le idee di tutto il mondo si estendevano all’infinito attorno a lei.
Questo era il luogo tra i sogni e il mondo della veglia, un’oscurità punteggiata da migliaia e migliaia di luci distinte, ciascuna più concentrata e intensa delle stelle dei cieli. Erano sogni, e lei poteva guardare dentro di essi, ma non lo fece. Quelli che voleva vedere erano sorvegliati, e molti degli altri erano misteri per lei.
C’era un sogno in cui bramava scivolare dentro. Si trattenne. Anche se i suoi sentimenti per Gawyn erano ancora forti, la sua opinione su di lui di recente era confusa. Perdersi nei suoi sogni non avrebbe aiutato.
Si voltò, guardando per la distesa. Negli ultimi tempi aveva iniziato a venir qui a galleggiare e pensare. I sogni di tutte le persone qui — alcuni dal suo mondo, altri da ombre di esso — le ricordavano perché lottava. Non doveva mai dimenticare che c’era un intero mondo fuori dalle mura della Torre Bianca. Lo scopo delle Aes Sedai era servire quel mondo.
Il tempo passava mentre lei giaceva inondata dalla luce dei sogni. Alla fine si decise a muoversi e individuò un sogno che lei conosceva, anche se non era certa di come facesse. Il sogno si diresse rapido verso di lei, riempiendo la sua visuale.
Egwene premette la sua volontà contro il sogno e inviò un ordine dentro di esso. Nynaeve. È ora di smetterla di evitarmi. C’è tanto lavoro da fare, e io ho delle notizie per te. Incontrati con me tra due notti nella sala del Consiglio della Torre. Se non verrai, sarò costretta a prendere provvedimenti. La tua esitazione ci minaccia tutti.
Il sogno parve tremolare ed Egwene si tirò indietro mentre scompariva. Aveva già parlato con Elayne. Quelle due erano fili sciolti; era necessario che venissero innalzate per davvero allo scialle e che contraessero i giuramenti.
Oltre a quello, Egwene aveva bisogno di informazioni da Nynaeve. Sperava che la minaccia mista a una promessa di notizie l’avrebbe attirata. E quelle notizie erano importanti. La Torre Bianca finalmente unificata, il seggio dell’Amyrlin al sicuro, Elaida catturata dai Seanchan.