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«Allora dovresti gioire,» disse Galad «poiché la via è chiara. Dobbiamo combattere all’Ultima Battaglia. La nostra guida lì potrebbe mostrare la via della Luce a molti che ci hanno disprezzato. Ma anche in caso contrario, noi combatteremo comunque, poiché è nostro dovere. Neghi questo, lord Capitano?»

«Di nuovo, no. Ma le streghe, mio lord Capitano Comandante?»

Galad scosse il capo. «Non riesco a pensare a nessun altro modo per evitarlo. Ci servono alleati. Guardati attorno, lord Hamesh. Quanti Figli abbiamo? Perfino con le recenti reclute, siamo sotto i ventimila. La nostra fortezza è stata presa. Siamo senza rinforzi o fedeltà e le grandi nazioni del mondo ci vituperano. No, non negarlo! Sai che è vero.»

Galad incontrò gli occhi di quelli attorno a lui, e uno a uno quelli annuirono.

«La colpa è degli Inquisitori» borbottò Hamesh.

«Parte della colpa è loro» convenne Galad. «Ma è anche perché quelli che farebbero il male guardano con disgusto e risentimento coloro che si battono per ciò che è giusto.»

Gli altri annuirono.

«Dobbiamo procedere con cautela» disse Galad. «In passato, l’audacia — e forse l’eccesso di zelo — dei Figli ha alienato quelli che sarebbero dovuti essere nostri alleati. Mia madre diceva sempre che una vittoria diplomatica non era quando tutti ottenevano ciò che volevano: quello faceva credere a tutti che avessero ottenuto la meglio su di lei, il che incoraggiava richieste ancor più stravaganti. Il trucco sta nel non accontentare tutti quanti, ma nel lasciare che ognuno abbia la sensazione di aver ottenuto il miglior risultato possibile. Devono essere soddisfatti abbastanza da fare come vuoi tu, eppure insoddisfatti abbastanza da sapere che tu hai avuto la meglio su di loro.»

«E questo cosa ha a che fare con noi?» disse Golever da dietro. «Noi non seguiamo nessun re o regina.»

«Sì,» disse Galad «e questo spaventa i monarchi. Io sono cresciuto nella corte dell’Andor. So come mia madre considerava i Figli. In ogni trattativa con loro, o si innervosiva, oppure decideva che doveva metterli a tacere del tutto. Noi non possiamo permetterci nessuna delle due reazioni! I monarchi di queste terre devono rispettarci, non odiarci.»

«Amici delle Tenebre» borbottò Hamesh.

«Ma madre non era un Amico delle Tenebre» disse Galad piano.

Hamesh arrossì. «Tranne lei, naturalmente.»

«Parli come un Inquisitore» disse Galad. «Sospettare che chiunque si oppone a noi sia un Amico delle Tenebre. Molti di loro sono influenzati dall’Ombra, ma dubito che ne siano consapevoli. Questo è dove la Mano della Luce ha sbagliato. Gli Inquisitori spesso non riescono a capire la differenza tra un Amico delle Tenebre incallito, una persona che è influenzata dagli Amici delle Tenebre e una persona che è semplicemente in disaccordo con i Figli.»

«Allora cosa facciamo?» chiese Vordarian. «Ci inchiniamo ai capricci dei monarchi?»

«Non so ancora cosa fare» confessò Galad. «Ci penserò su. Il giusto corso mi verrà in mente. Non possiamo diventare i cagnolini di re e regine. Tuttavia, pensate a cosa potremmo ottenere all’interno dei confini di una nazione se potessimo agire senza il bisogno di un’intera legione a intimidire il governante di quel paese.»

Gli altri annuirono a questo, pensierosi.

«Mio lord Capitano Comandante!» chiamò una voce.

Galad si voltò e vide Byar sul suo stallone bianco che arrivava da loro al piccolo galoppo. Il cavallo era appartenuto ad Asunawa; Galad l’aveva rifiutato, preferendo il proprio baio. Galad fece fermare il suo gruppo mentre Byar dal volto scavato si avvicinava, il suo tabarro bianco immacolato. Byar non era il più simpatico degli uomini nel campo, ma si era dimostrato leale.

Ma Byar non si sarebbe dovuto trovare nell’accampamento.

«Ti avevo mandato a sorvegliare la strada di Jehannah, Figlio Byar» disse Galad con fermezza. «Quel compito non doveva terminare prima di altre quattro ore buone.»

Byar gli rivolse il saluto e fermò il suo cavallo. «Mio lord Capitano Comandante. Abbiamo catturato un gruppo sospetto di viaggiatori sulla strada. Cosa vuoi che facciamo con loro?»

«Li avete catturati?» chiese Galad. «Vi ho mandato a sorvegliare la strada, non a prendere prigionieri.»

«Mio lord Capitano Comandante» disse Byar. «Come facciamo a sapere che tipi sono quelli che passano se non parliamo con loro? Volevi che sorvegliassimo la strada in cerca di Amici delle Tenebre.»

Galad sospirò. «Volevo che steste all’erta per truppe in movimento o mercanti che potevamo avvicinare, Figlio Byar.»

«Questi Amici delle Tenebre hanno provviste» disse Byar. «Penso che possano essere mercanti.»

Galad sospirò. Nessuno poteva negare la dedizione di Byar: aveva cavalcato con Galad per affrontare Valda quando avrebbe potuto significare la fine della sua carriera. Eppure non c’era nulla come essere troppo zelanti.

Il magro ufficiale pareva turbato. Be’, le istruzioni di Galad non erano state abbastanza precise. Se ne sarebbe dovuto ricordare in futuro, in particolare con Byar. «Pace,» disse Galad «non hai fatto nulla di sbagliato, Figlio Byar. Quanti di questi prigionieri ci sono?»

«Dozzine, mio lord Capitano Comandante.» Byar parve sollevato. «Vieni.»

Voltò il suo destriero per fare strada. I fuochi da campo stavano già venendo accesi nelle fosse, l’odore di legna ardente che si sollevava nell’aria. Galad colse frammenti di conversazione mentre passava accanto ai soldati. Cosa avrebbero fatto i Seanchan con quei Figli che erano rimasti indietro? Era stato davvero il Drago Rinato a conquistare Illian e Tear, oppure si era trattato di un falso Drago? C’erano voci di una pietra gigantesca caduta dal cielo che aveva colpito la terra lontano a nord, nell’Andor, distruggendo un’intera città e lasciando un cratere.

Le conversazioni tra gli uomini rivelavano le loro preoccupazioni. Avrebbero dovuto capire che preoccuparsi non serviva a nulla. Nessuno poteva sapere come intesseva la Ruota.

I prigionieri di Byar si rivelarono essere un gruppo di persone con un numero sorprendentemente vasto di carretti stracarichi, forse un centinaio o più. La gente era assiepata assieme attorno ai loro carretti, e osservava i Figli con ostilità. Galad si accigliò, effettuando una rapida ispezione.

«È un convoglio bello grosso» disse Bornhald piano al suo fianco. «Mercanti?»

«No» disse Galad piano. «Quelli sono mobili da viaggio: nota i perni sui lati, in modo che possano essere trasportati a pezzi. Sacchi di orzo per cavalli. Quelli avvolti nella tela in fondo a quel carro sulla destra sono attrezzi da maniscalco. Vedi i martelli che spuntano?»

«Luce!» mormorò Bornhald. Lo capì anche lui. Questi erano i civili al seguito di un esercito di dimensioni considerevoli. Ma dov’erano i soldati?

«Sta’ pronto a separarli» disse Galad a Bornhald, smontando. Camminò fino al carro di testa. L’uomo che lo guidava aveva una corporatura grossa e un volto rubizzo, con capelli che erano stati disposti in un misero tentativo di nascondere la sua incipiente calvizie. Si torceva un cappello di feltro marrone tra le mani e aveva un paio di guanti infilati nella cintura della sua giacca robusta. Galad non riusciva a vedere nessuna arma su di lui.

Accanto al carro c’erano altri due, molto più giovani. Uno era un tipo massiccio e muscoloso con l’aria da lottatore — ma non un soldato — che poteva causare qualche problema. Una donna graziosa era stretta al suo braccio, e si mordeva il labbro inferiore.

L’uomo sul carretto trasalì al vedere Galad. Ah, pensò Galad, dunque sa abbastanza da riconoscere il figliastro di Morgase.

«Dunque, viaggiatori» disse Galad con cautela. «Il mio uomo mi ha riferito che gli avete detto di essere mercanti?»

«Sì, mio buon signore» disse il carrettiere.

«So poco di questa zona. Avete familiarità con essa?»

«Non molta, signore» disse il carrettiere, torcendosi il cappello tra le mani. «In realtà noi stessi siamo lontani da casa. Io sono Basel Gill, di Caemlyn. Sono venuto a sud a cercare affari con un mercante a Ebou Dar. Ma questi invasori seanchan mi hanno impedito di portare a termine il mio commercio.»