Pareva molto nervoso. Almeno non aveva mentito sulla sua provenienza. «E qual era il nome di questo mercante?» chiese Galad.
«Be’, Falin Deborsha, mio signore» disse Gill. «Hai familiarità con Ebou Dar?»
«Sono stato lì» disse Galad con calma. «È una carovana bella grossa che hai qui. Un’interessante collezione di mercanzie.»
«Abbiamo sentito che ci sono eserciti che si muovono qui a sud, mio signore. Ho comprato molte di queste mercanzie da una truppa di mercenari che si stava sciogliendo e ho pensato di poterle vendere quaggiù. Forse il tuo stesso esercito ha bisogno di mobili da campo? Abbiamo tende, equipaggiamento mobile da fabbro, tutto ciò che può servire a dei soldati.»
Scaltro, pensò Galad.
Galad avrebbe potuto accettare quella bugia, ma il "mercante" aveva troppi cuochi, lavandaie e maniscalchi con lui, e non abbastanza guardie per un convoglio così prezioso.
«Vedo» disse Galad. «Be’, capita proprio che io abbia bisogno di rifornimenti. In particolare di cibo.»
«Ahimè, mio signore» disse l’uomo. «Non abbiamo cibo di cui privarci. Venderò qualunque altra cosa, ma ho promesso il cibo via messaggero a qualcuno a Lugard.»
«Pagherò di più.»
«Ho fatto una promessa, mio buon signore» disse l’uomo. «Non potrei infrangerla, qualunque fosse il prezzo.»
«Capisco.» Galad fece un cenno a Bornhald. Il soldato diede degli ordini e dei Figli in tabarri bianchi vennero avanti, le armi spianate.
«Cosa... cosa state facendo?» chiese Gill.
«Vi separiamo» disse Galad. «Parleremo a ciascuno di loro da solo per vedere se le loro storie combaciano. Temo che tu possa essere stato... reticente con noi. Dopotutto, quello che a me sembra è che voi siate i civili al seguito di un esercito numeroso. Se è questo il caso, vorrei proprio sapere di chi è quell’esercito, e soprattutto dove si trova.»
La fronte di Gill iniziò a sudare mentre i soldati di Galad separavano con efficienza i prigionieri. Galad attese per un po’, osservando Gill. Alla fine, Bornhald e Byar giunsero di buon passo da lui, le mani sulle loro spade.
«Mio lord Capitano Comandante» disse Bornhald con urgenza.
Galad si voltò da Gill. «Sì?»
«Potremmo avere un problema qui» disse Bornhald. Il suo volto era rosso di rabbia. Accanto a lui, gli occhi di Byar erano sgranati, quasi frenetici. «Alcuni dei prigionieri hanno parlato. E come temevi. C’è un grosso esercito nelle vicinanze. Hanno avuto una scaramuccia con gli Aiel; quei tizi laggiù con le vesti bianche sono in realtà Aiel loro stessi.»
«E?»
Byar sputò da un lato. «Hai mai sentito di un uomo chiamato Perrin Occhidoro?»
«No. Avrei dovuto?»
«Sì» disse Bornhald. «Ha ucciso mio padre.»
5
Scritti
Gawyn si affrettò per i corridoi della Torre Bianca, i tonfi dei suoi stivali che risuonavano su un tappeto blu intenso sopra un pavimento a piastrelle cremisi e bianche. Lampade su sostegni con specchi riflettevano la luce, ciascuna una sentinella lungo quella strada.
Sleete camminava rapido accanto a lui. Malgrado l’illuminazione delle lampade, la faccia dell’uomo sembrava parzialmente avvolta dalle ombre. Forse era la barba di due giorni sulla sua mascella — una stranezza per un Custode — oppure i capelli lunghi, puliti ma non spuntati. O forse erano le sue fattezze. Irregolari, come un disegno non finito, con linee brusche, una fossetta nel mento, il naso rotto a uncino, zigomi sporgenti.
Aveva i movimenti fluidi di un Custode, ma rispetto a molti altri, i suoi davano una sensazione più primitiva. Invece del cacciatore che si muoveva tra i boschi, lui era il silenzioso predatore in agguato nelle ombre che la preda non vedeva finché non scintillavano i denti.
Raggiunsero un’intersezione dove diverse delle guardie di Chubain erano di piantone lungo uno dei corridoi. Avevano spade al loro fianco e indossavano tabarri bianchi decorati con la Fiamma di Tar Valon. Uno di loro alzò una mano.
«Ho il permesso di entrare» disse Gawyn. «L’Amyrlin...»
«Le Sorelle non hanno ancora terminato» replicò la guardia in tono ostile.
Gawyn digrignò i denti, ma non c’era nulla da fare al riguardo. Lui e Sleete indietreggiarono e attesero finché — finalmente — tre Aes Sedai uscirono da una stanza sorvegliata. Parevano turbate. Si allontanarono, seguite da un paio di soldati che portavano qualcosa avvolto in una stoffa bianca. Il corpo.
Alla fine, le due guardie si fecero da parte con riluttanza e lasciarono passare Gawyn e Sleete. Si affrettarono lungo il corridoio ed entrarono in una piccola stanza di lettura. Gawyn esitò accanto alla porta, lanciando di nuovo un’occhiata lungo il corridoio. Poté vedere alcune Ammesse fare capolino attorno a un angolo, sussurrando.
Con questo omicidio le Sorelle uccise diventavano quattro. Egwene era impegnatissima a cercare di impedire che le Ajah tornassero al clima di sfiducia le une verso le altre. Aveva avvertito tutti di stare in allerta e aveva detto alle Sorelle di non andare in giro da sole. L’Ajah Nera conosceva bene la Torre Bianca, dato che i loro membri avevano vissuto lì per anni. Con dei passaggi, potevano insinuarsi nei corridoi e commettere omicidi.
Almeno, quella era la spiegazione ufficiale per quelle morti. Gawyn non ne era così sicuro. Si infilò nella stanza, seguito da Sleete.
Chubain stesso era lì. Quell’uomo piacente lanciò un’occhiata a Gawyn e le sue labbra si incurvarono all’ingiù. «Lord Trakand.»
«Capitano» rispose Gawyn, esaminando la stanza. Era circa tre passi quadrati, con un’unica scrivania addossata alla parete opposta e un braciere a carbone spento. Una lampada in bronzo su un sostegno ardeva nell’angolo e un tappeto circolare riempiva quasi l’intero pavimento. Quel tappeto era macchiato con un liquido scuro sotto la scrivania.
«Pensi davvero che troverai qualcosa che le Sorelle non hanno trovato, Trakand?» chiese Chubain, incrociando le braccia.
«Sto cercando cose diverse» disse Gawyn, venendo avanti. Si inginocchiò per ispezionare il tappeto.
Chubain tirò su col naso, poi usci in corridoio. La Guardia della Torre avrebbe sorvegliato la zona finché i servitori non fossero venuti a ripulire. Gawyn aveva pochi minuti.
Sleete si diresse da una delle guardie appena all’interno della soglia. Erano ostili verso di lui come tendevano a esserlo verso Gawyn. Ancora non aveva capito perché avevano quell’atteggiamento con lui.
«Lei era sola?» chiese Sleete all’uomo con la sua voce roca.
«Sì» disse la guardia, scuotendo il capo. «Non avrebbe dovuto ignorare il consiglio dell’Amyrlin.»
«Chi era?»
«Kateri Nepvue, dell’Ajah Bianca. Una Sorella da vent’anni.»
Gawyn grugnì mentre continuava a strisciare per il pavimento, esaminando il tappeto. Quattro Sorelle da quattro Ajah differenti. Due avevano sostenuto Egwene, una aveva sostenuto Elaida e una era stata neutrale ed era tornata solo di recente. Tutte erano state uccise su piani diversi della Torre a diverse ore del giorno.
Di certo sembrava opera dell’Ajah Nera. Non stavano cercando bersagli specifici, solo comodi. Ma Gawyn provava una sensazione sbagliata. Perché non Viaggiare negli alloggi delle Sorelle di notte e ucciderle nel sonno? Perché nessuno aveva percepito incanalare dai posti dove le donne erano state uccise?
Sleete ispezionò la porta e la serratura con occhio attento. Quando Egwene aveva detto a Gawyn che poteva visitare le scene dei delitti, se voleva, lui aveva chiesto se poteva portare Sleete con sé. Nelle precedenti interazioni che Gawyn aveva avuto con il Custode, Sleete si era rivelato non solo meticoloso, ma anche discreto.