Chubain annuì. «C’erano anche dei segni di colluttazione. Le Sorelle che stavano indagando l’hanno menzionato. I libri spazzati via dal tavolo. Pensavano che fosse stata la donna che si era dibattuta mentre moriva.»
«Curioso» disse Gawyn. «Se io fossi una Sorella Nera, userei l’Unico Potere, a prescindere dal fatto che altri possano percepirlo. Le donne incanalano tutto il tempo nella Torre; questo non sarebbe sospetto. Immobilizzerei la mia vittima con dei flussi, la ucciderei con il Potere, poi fuggirei prima che qualcuno pensasse che sta accadendo qualcosa di strano. Nessuna lotta.»
«Forse» disse Chubain. «Ma l’Amyrlin pare fiduciosa che sia opera di Sorelle Nere.»
«Le parlerò e vedrò perché» disse Gawyn. «Per ora, forse dovresti proporre a quelle che si occupano delle indagini che sarebbe saggio interrogare i servitori della Torre? Fornire questo ragionamento?»
«Sì... penso di poterlo fare.» L’uomo annuì, sembrando meno minacciato.
I due si spostarono, con Chubain che faceva cenno ai servitori di entrare per pulire. Sleete uscì con aria pensierosa. Teneva una mano sollevata, con qualcosa stretto tra le dita. «Seta nera» disse. «Non c’è modo di sapere se provenga dall’assalitore.»
Chubain prese le fibre. «Strano.»
«Non sembra probabile che una Sorella Nera si annunci indossando il nero» disse Gawyn. «Un assassino più ordinario, però, potrebbe aver bisogno di colori scuri per nascondersi.»
Chubain avvolse le fibre in un fazzoletto e se le mise in tasca. «Porterò queste a Seaine Sedai.» Pareva impressionato.
Gawyn annuì a Sleete e i due si allontanarono.
«La Torre Bianca è in fermento in questi giorni con Sorelle che tornano e nuovi Custodi» disse Sleete piano. «In che modo qualcuno — per quanto furtivo — potrebbe arrivare ai piani superiori vestito di nero senza attirare l’attenzione?»
«Si suppone che gli Uomini Grigi siano in grado di passare inosservati» disse Gawyn. «Penso che questa sia una prova ulteriore. Voglio dire, pare strano che nessuno abbia effettivamente visto queste Sorelle Nere. Stiamo facendo parecchie supposizioni.»
Sleete annuì, fissando un terzetto di novizie che si erano radunate per guardare inebetite le guardie. Videro Sleete osservarle e pigolarono tra loro prima di zampettare via.
«Egwene sa più di quello che sta dicendo» disse Gawyn. «Parlerò con lei.»
«Sempre che ti riceva» disse Sleete.
Gawyn grugnì dall’irritazione. Scesero per una serie di rampe fino al livello dello studio dell’Amyrlin. Sleete rimase con lui: la sua Aes Sedai, una Verde di nome Hattori, di rado aveva dei compiti per lui. Aveva ancora gli occhi su Gawyn come Custode; il comportamento di Egwene lo faceva infuriare così tanto che Gawyn aveva una mezza idea di lasciarsi vincolare da Hattori.
No. No, non per davvero. Amava Egwene, anche se era frustrato da lei. Non era stato facile decidere di abbandonare l’Andor — per non parlare dei Cuccioli — per lei. Eppure lei si rifiutava ancora di vincolarlo.
Raggiunse il suo studio e si avvicinò a Silviana. La donna sedeva alla sua scrivania linda e ordinata, nell’anticamera davanti allo studio di Egwene. La donna esaminò Gawyn, i suoi occhi indecifrabili dietro la sua maschera da Aes Sedai. Lui sospettava di non piacerle.
«L’Amyrlin sta redigendo una lettera di una certa importanza» disse Silviana. «Puoi aspettare.»
Gawyn aprì la bocca.
«Ha chiesto di non essere interrotta» disse Silviana, tornando a voltarsi verso il foglio che stava leggendo. «Puoi aspettare.»
Gawyn sospirò, ma annuì. Mentre lo faceva, Sleete intercettò il suo sguardo e fece cenno che se ne stava andando. Perché allora aveva accompagnato Gawyn quaggiù? Era un uomo strano. Gawyn lo salutò con la mano e Sleete scomparve nel corridoio.
L’anticamera era una stanza sontuosa con un tappeto rosso intenso e modanature lignee alle pareti di pietra. Sapeva per esperienza che nessuna delle sedie era comoda, ma c’era un’unica finestra. Gawyn vi si accostò per prendere una boccata d’aria e appoggiò il braccio sulla rientranza della pietra, lasciando spaziare lo sguardo sui terreni della Torre Bianca. Così in alto, l’aria pareva più frizzante, più fresca.
Sotto poteva vedere i nuovi terreni di addestramento dei Custodi. Quelli vecchi si erano trovati dove Elaida aveva cominciato la costruzione del suo palazzo. Nessuno era sicuro di cosa avrebbe finito per fare Egwene con quell’edificio.
I terreni di addestramento erano pieni di attività, con un trambusto di figure che si allenavano combattendo, correndo e tirando di scherma. Con l’afflusso di profughi, soldati e spade prezzolate, c’erano molti che presumevano di avere i requisiti per diventare dei Custodi. Egwene aveva aperto quei terreni a chiunque volesse addestrarsi e cercare di dar prova di sé, dal momento che intendeva spingere per innalzare tutte quelle donne che fossero pronte nel corso delle settimane successive.
Gawyn aveva trascorso alcuni giorni ad allenarsi, ma i fantasmi di uomini che aveva ucciso parevano più presenti laggiù. I terreni erano una parte della sua vita passata, un tempo prima che tutto fosse andato male. Altri Cuccioli erano facilmente — e felicemente — tornati a quella vita. Jisao, Rajar, Durrent e molti degli altri suoi ufficiali erano già stati scelti come Custodi. Non sarebbe passato molto tempo prima che non restasse nulla della sua banda. Tranne per Gawyn stesso.
La porta interna scattò, seguita da voci sommesse. Gawyn si voltò e trovò Egwene, vestita in verde e giallo, che si dirigeva verso Silviana per parlare con lei. La Custode degli Annali gli lanciò un’occhiata e a lui parve di cogliere una traccia di cipiglio sul suo volto.
Egwene lo vide. Mantenne la sua faccia serena come una Aes Sedai — era diventata brava così in fretta in quello — e lui si ritrovò a sentirsi in imbarazzo.
«C’è stata un’altra morte stamane» disse Gawyn piano, dirigendosi verso di lei.
«Tecnicamente,» disse Egwene «è stato la scorsa notte.»
«Ho bisogno di parlare con te» disse Gawyn senza riflettere.
Egwene e Silviana si scambiarono un’occhiata. «Molto bene» disse Egwene, scivolando di nuovo nel suo studio.
Gawyn la seguì, non guardando la Custode degli Annali. Lo studio dell’Amyrlin era una delle stanze più sontuose della Torre. Le pareti avevano pannelli di legno striato, intarsiato per mostrare scene fantastiche, meravigliosamente dettagliate. Il focolare era di marmo, il pavimento fatto di pietra rosso intenso intagliata in blocchi a diamante. La grande scrivania intarsiata di Egwene ospitava due lampade. Avevano la forma di due donne che alzavano le mani in aria, delle fiamme che bruciavano tra ogni paio di palmi.
Una parete aveva delle librerie piene di volumi disposti — pareva — per colore e dimensioni piuttosto che per argomento. Erano ornamentali, portati lì per decorare lo studio dell’Amyrlin finché Egwene non avesse fatto la propria selezione.
«Cos’è che ritieni così necessario discutere?» disse Egwene, sedendosi alla sua scrivania.
«Gli omicidi» disse Gawyn.
«E cosa in particolare?»
Gawyn chiuse la porta. «Che io sia folgorato, Egwene. Devi mostrarmi l’Amyrlin ogni volta che parliamo? Una volta ogni tanto non posso vedere Egwene?»
«Io ti mostro l’Amyrlin» disse Egwene «perché tu rifiuti di accettarla. Una volta che l’avrai fatto, forse potremo passare oltre.»
«Luce! Hai imparato a parlare come una di loro.»
«Questo perché io sono una di loro» disse lei. «La tua scelta di parole ti tradisce. L’Amyrlin non può essere servita da coloro che rifiutano di vedere la sua autorità.»
«Io ti accetto» disse Gawyn. «Io lo faccio, Egwene. Ma non è importante avere persone che ti conoscono per quello che sei e non per il titolo?»
«Finché sanno che c’è un momento per l’obbedienza.» Il suo volto si addolcì. «Non sei ancora pronto, Gawyn. Sono spiacente.»