«Non siate sciocchi» disse Lan, a voce sommessa mentre faceva fermare Mandarb. «Questa strada conduce alla morte.»
«La morte è più lieve di una piuma, Lan Mandragoran» disse Rakim da sopra la spalla. «Se cavalchiamo solo verso la morte, allora il sentiero sarà più facile di quanto avevo pensato!»
Lan digrignò i denti, ma cosa doveva fare? Picchiare tutti e tre fino a far perdere loro i sensi e lasciarli sul ciglio della strada? Spronò Mandarb in avanti.
I due erano diventati cinque.
Galad continuò la sua colazione mattutina, notando che il Figlio Byar era venuto a parlare con lui. Il pasto era cibo semplice: farina d’avena con una manciata di uvetta mischiata dentro. Un pasto semplice per ogni soldato impediva a tutti quanti di provare invidia. Alcuni lord Capitani Comandanti avevano pranzato molto meglio dei loro uomini. Questo non sarebbe andato bene per Galad. Non quando così tante persone al mondo morivano di fame.
Il Figlio Byar attendeva all’interno dei lembi della tenda di Galad, aspettando che lui lo chiamasse. L’uomo scarno e dalle guance infossate indossava il suo mantello bianco e un tabarro sotto la maglia al di sotto.
Galad alla fine mise da parte il suo cucchiaio e annuì a Byar. Il soldato si diresse verso il tavolo e attese, ancora sull’attenti. Non c’erano mobili elaborati nella tenda di Galad. La sua spada — la spada di Valda — era posata sul semplice tavolo dietro la sua scodella di legno, appena sguainata. Gli aironi sulla lama facevano capolino da sotto il fodero, e l’acciaio lucidato rifletteva la forma di Byar.
«Parla» disse Galad.
«Ho altre notizie sull’esercito, mio lord Capitano Comandante» disse Byar. «Sono vicino a dove i prigionieri hanno detto che si sarebbero trovati, a pochi giorni da noi.»
Galad annuì. «Sventolano la bandiera di Ghealdan?»
«Accanto a quella di Mayene.» La fiamma dello zelo scintillò negli occhi di Byar. «E la testa di lupo, anche se i rapporti dicono che l’hanno ammainata ieri. Occhidoro è qui. I nostri esploratori ne sono certi.»
«Ha davvero ucciso il padre di Bornhald?»
«Sì, mio lord Capitano Comandante. Ho una certa familiarità con questa creatura. Lui e le sue truppe provengono da un posto chiamato i Fiumi Gemelli.»
«I Fiumi Gemelli?» disse Galad. «Curioso quanto spesso sento parlare di quel posto, di questi tempi. Non è da lì che viene al’Thor?»
«Così si dice» replicò Byar.
Galad si sfregò il mento. «Coltivano buon tabacco lì, Figlio Byar, ma non ho mai sentito dire che coltivassero anche eserciti.»
«È un posto oscuro, mio lord Capitano Comandante. Il Figlio Bornhald e io abbiamo trascorso un po’ di tempo lì l’anno scorso; pullula di Amici delle Tenebre.»
Galad sospirò. «Suoni proprio come un Inquisitore.»
«Mio lord Capitano Comandante,» continuò Byar con fervore «mio signore, ti prego di credermi. Non sto semplicemente facendo supposizioni. Questo è diverso.»
Galad si accigliò. Poi fece un gesto verso l’altro sgabello accanto al suo tavolo. Byar lo occupò.
«Spiegati» disse Galad. «E dimmi tutto ciò che sai su questo Perrin Occhidoro.»
Perrin riusciva a ricordare un tempo in cui semplici colazioni di pane e formaggio lo avevano soddisfatto. Non era più così. Forse era dovuto alla sua relazione con i lupi, o forse i suoi gusti erano cambiati col tempo. Questi giorni bramava carne, in particolare al mattino. Non poteva sempre averla, e questo andava bene. Ma in generale non doveva chiederla.
Questo era il caso di oggi. Si era alzato, si era lavato la faccia, e aveva trovato una servitrice che era entrata con un grosso taglio di prosciutto, fumante e succulento. Niente fagioli, niente verdure. Niente intingoli. Solo il prosciutto, strofinato col sale e scottato sopra il fuoco, con un paio di uova bollite. La servitrice aveva messo tutto sul tavolo, poi si era ritirata.
Perrin si asciugò le mani, attraversando il tappeto della sua tenda e inalando l’aroma del prosciutto. Parte di lui sentiva che avrebbe dovuto farlo portar via, ma non poteva. Non quando era proprio lì. Si sedette, prese forchetta e coltello e tagliò.
«Non capisco come fai a mangiare quello per colazione» osservò Faile, lasciando la camera per lavarsi della loro tenda e asciugandosi le mani con un panno. La loro grossa tenda era divisa in parecchie parti da delle cortine. Lei indossava uno dei suoi vestiti grigi non appariscenti. Era accentuato da una robusta cintura nera: Faile aveva mandato via tutte le cinture dorate, a prescindere da quanto fossero eleganti. Lui si era proposto di trovargliene una che fosse più di suo gradimento e lei era sembrata avere la nausea.
«È cibo» disse Perrin.
«Questo lo vedo» replicò lei con uno sbuffo, guardandosi allo specchio. «Cosa pensi che credessi che fosse? Una roccia?»
«Volevo dire» rispose Perrin tra un boccone e l’altro «che il cibo è cibo. Perché dovrei preoccuparmi di cosa mangio per colazione e cosa mangio per un pasto diverso?»
«Perché è strano» disse lei, allacciandosi una cordicella con una piccola pietra azzurra. Si osservò allo specchio, poi si voltò, le maniche ampie del suo abito di taglio saldeano che frusciavano. Si soffermò accanto al piatto di Perrin, facendo una smorfia. «Io vado a fare colazione con Alliandre. Mandami a chiamare se ci sono notizie.»
Lui annuì, inghiottendo un boccone. Perché una persona avrebbe dovuto mangiare carne a mezzogiorno, ma rifiutarla per colazione? Non aveva senso.
Perrin aveva deciso di rimanere accampato accanto alla strada di Jehannah. Cos’altro doveva fare, con un esercito di Manti Bianchi proprio davanti, tra lui e Lugard? Ai suoi esploratori occorreva tempo per valutare il pericolo. Aveva passato molto tempo a pensare alle strane visioni che aveva avuto, i lupi che cacciavano delle pecore verso una bestia e Faile che camminava verso un precipizio. Non era stato in grado di trarre un senso da esse, ma potevano avere qualcosa a che fare con i Manti Bianchi? La loro apparizione lo turbava più di quanto volesse ammettere, ma serbava una minuscola speranza che si sarebbero dimostrati insignificanti e non lo avrebbero rallentato troppo.
«Perrin Aybara» chiamò una voce dall’esterno della sua tenda. «Mi dai il permesso di entrare?»
«Entra pure, Gaul» disse lui. «La mia ombra è tua.»
L’alto Aiel entrò. «Grazie, Perrin Aybara» disse, lanciando un’occhiata al prosciutto. «Ha l’aria di un banchetto. Stai festeggiando?»
«Nulla a parte la colazione.»
«Una grande vittoria» disse Gaul, ridendo.
Perrin scosse il capo. Umorismo aiel. Aveva smesso di cercare di capirlo. Gaul si sistemò per terra e Perrin sospirò tra sé prima di raccogliere il suo piatto e spostarsi per sedersi sul tappeto di fronte a Gaul. Perrin mise il pasto in grembo e continuò a mangiare.
«Non devi sederti sul pavimento a causa mia» disse Gaul.
«Non lo sto facendo perché devo, Gaul.»
Gaul annuì.
Perrin staccò un altro morso. Questo sarebbe stato molto più semplice se avesse afferrato quella cosa tutta intera tra le dita e avesse iniziato a strapparne via dei pezzi. Mangiare era più semplice per i lupi. Posate. A che servivano?
Pensieri del genere lo facevano esitare. Lui non era un lupo e non voleva pensare come uno di essi. Forse avrebbe dovuto iniziare a mangiare della frutta come colazione vera e propria, come diceva Faile. Si accigliò, tornando alla sua carne.
«Abbiamo combattuto dei Trolloc nei Fiumi Gemelli» disse Byar, abbassando la voce. La farina d’avena di Galad si raffreddava, dimenticata sul tavolo. «Diverse dozzine di uomini nel nostro accampamento possono confermarlo. Io ho ucciso diverse di quelle bestie con la mia stessa spada.»
«Trolloc nei Fiumi Gemelli?» disse Galad. «Ma sono a centinaia di leghe dalle Marche di Confine!»
«Comunque erano lì» disse Byar. «Il lord Capitano Comandante Niall deve averlo sospettato. Fummo mandati in quel luogo su suo ordine. Sai che Pedron Niall non si sarebbe fatto spaventare per nulla.»