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Una piccola collezione di monete era sparpagliata sul pavimento di fronte a Thom. La locanda permetteva di suonare per le mance. Mat si fermò vicino alla soglia e si appoggiò all’indietro per ascoltare. Nessuno parlava nella sala comune, anche se era così affollata che Mat avrebbe potuto formare mezza compagnia di soldati solo con gli uomini lì dentro. Ogni occhio era su Thom.

Mat era stato in giro per tutto il mondo ormai, percorrendone gran parte con i suoi stessi piedi. Ci aveva quasi rimesso la pelle in una dozzina di città diverse ed era stato in locande dappertutto. Aveva sentito menestrelli, intrattenitori e bardi. Thom faceva sembrare tutti quanti dei bambini che sbattevano i bastoni contro delle pentole.

Il flauto era uno strumento semplice. Parecchi nobili avrebbero preferito sentire l’arpa; un uomo a Ebou Dar aveva detto a Mat che l’arpa era più "elevata". Mat immaginava che quell’uomo avrebbe spalancato la mascella e sgranato gli occhi se avesse sentito Thom suonare. Il menestrello faceva sembrare il flauto un’estensione della sua stessa anima. Morbidi trilli, scale minori e note tenute potentemente audaci. Una melodia tanto lamentosa. Per chi stava soffrendo Thom?

La folla osservava. Caemlyn era una delle città più grandi al mondo, tuttavia quella varietà sembrava incredibile. Scontrosi Illianesi sedevano accanto a melliflui Domanesi, astuti Cairhienesi, robusti Tarenesi e una manciata di uomini delle Marche di Confine. Caemlyn veniva vista come uno dei pochi posti in cui una persona poteva essere al sicuro sia dai Seanchan che dal Drago. C’era anche un po’ di cibo.

Thom terminò il pezzo e proseguì con un altro senza aprire gli occhi. Mat sospirò, detestando interrompere l’esibizione di Thom. Purtroppo era tempo di tornare al campo. Dovevano parlare del gholam, e Mat aveva bisogno di trovare un modo per arrivare a Elayne. Forse Thom sarebbe andato a parlarle per lui.

Mat rivolse un cenno col capo alla locandiera, una donna imponente e dai capelli scuri di nome Bromas. Lei annuì a Mat, i suoi orecchini ad anello che intercettavano la luce. Era un po’ più vecchia di come piacevano a lui... d’altra parte, Tylin aveva avuto la sua età. Se la sarebbe tenuta in mente. Per uno dei suoi uomini, ovvio. Forse Vanin.

Mat raggiunse il palco, poi iniziò a raccogliere le monete. Avrebbe lasciato terminare Thom e...

La mano di Mat sussultò. Tutt’a un tratto il suo braccio era bloccato al palco per il polsino, con un coltello che spuntava attraverso la stoffa. Quel sottile pezzo di metallo tremolava. Mat alzò lo sguardo e trovò che Thom stava ancora suonando, anche se il menestrello aveva socchiuso un occhio prima di tirare il coltello.

Thom sollevò di nuovo la sua mano e continuò a suonare, mostrando un sorriso sulle sue labbra increspate. Mat borbottò e strattonò via il polsino, attendendo mentre Thom finiva la melodia, che non era così triste come l’altra. Quando l’allampanato menestrello abbassò il flauto, la sala esplose in un applauso.

Mat riservò al menestrello un’occhiataccia. «Che tu sia folgorato, Thom. Questa è una delle mie giacche preferite!»

«Sii lieto che non abbia mirato alla mano» osservò Thom, strofinando il flauto e annuendo all’esultanza e agli applausi degli avventori della locanda. Gli urlarono di continuare, ma lui scosse il capo pieno di rammarico e rimise il flauto nella sua custodia.

«Vorrei quasi che l’avessi fatto» disse Mat, sollevando il polsino e infilando un dito attraverso i buchi. «Il sangue non si sarebbe notato molto sul nero, ma il rammendo sarà evidente. Solo perché tu indossi più toppe che mantello, non significa che io voglia imitarti.»

«E tu che ti lamenti di non essere un lord» disse Thom, chinandosi per raccogliere i suoi guadagni.

«Non lo sono!» disse Mat. «E non importa cosa dice Tuon, che tu sia folgorato. Non sono un maledetto nobile.»

«Mai sentito di un contadino che si lamentasse che il rammendo sulla sua giacca si sarebbe notato?»

«Non devi essere un lord per volerti vestire con un po’ di buonsenso» borbottò Mat.

Thom rise, dandogli una pacca sulla spalla e balzando giù. «Sono spiacente, Mat. Mi sono mosso d’istinto: non mi sono reso conto che fossi tu finché non ho visto la faccia attaccata al braccio. Allora il coltello aveva già lasciato le mie dita.»

Mat sospirò. «Thom,» disse in tono cupo «c’è un vecchio amico in città. Uno che lascia la gente morta con la gola squarciata e prosciugata.»

Thom annuì, assumendo un’aria turbata. «L’ho sentito da alcune guardie quando ho fatto una pausa. E siamo bloccati qui in città a meno che tu non decida...»

«Io non aprirò la lettera» disse Mat. «Verin potrebbe averci lasciato istruzioni che strisciassi fino a Falme sulle mani, e io dovrei dannatamente farlo! So che odi il ritardo, ma quella lettera potrebbe essere un ritardo ancora peggiore.»

Thom annuì con riluttanza.

«Torniamo all’accampamento» disse Mat.

L’accampamento della Banda era a una lega fuori da Caemlyn. Thom e Mat non vi erano andati a cavallo: la gente a piedi dava meno nell’occhio e Mat non avrebbe portato dei cavalli in città finché non avesse trovato delle scuderie di cui fidarsi. Il prezzo di buoni cavalli stava diventando esorbitante. Aveva sperato di lasciarsi indietro tutto ciò una volta fuori dalle terre dei Seanchan, ma gli eserciti di Elayne stavano comprando qualunque buon cavallo riuscissero a trovare, e anche molti di quelli meno buoni. Oltre a quello, aveva sentito che i cavalli avevano l’abitudine di scomparire, di questi tempi. La carne era carne, e la gente era prossima a morire di fame, perfino a Caemlyn. Faceva accapponare la pelle a Mat, ma era la verità.

Lui e Thom trascorsero il tragitto di ritorno a parlare del gholam, decidendo molto poco tranne mettere in allerta tutti e far iniziare a dormire Mat in una tenda diversa ogni notte.

Mat lanciò un’occhiata alle proprie spalle quando loro due sormontarono una collina. Caemlyn risplendeva della luce di torce e lampade. L’illuminazione era sospesa sopra la città come una nebbia, con le maestose guglie e torri rischiarate dal bagliore. I vecchi ricordi dentro di lui rammentavano questa città, ricordavano di averla assaltata prima ancora che l’Andor fosse una nazione. Caemlyn non aveva mai costituito una facile preda. Mat non invidiava le Casate che avevano cercato di conquistarla a Elayne.

Thom gli si accostò. «Pare passata un’eternità da quando siamo stati qui l’ultima volta, vero, Mat?»

«Che io sia folgorato, è davvero così» disse Mat. «Cos’è che ci ha convinto ad andare a caccia di quelle sciocche ragazze? La prossima volta possono salvarsi da sole.»

Thom lo squadrò. «Non stiamo forse per fare la stessa cosa?

«Quando andremo alla Torre di Ghenjei?»

«È diverso. Non possiamo lasciarla là con loro. Quei serpenti e volpi...»

«Non mi sto lamentando, Mat» disse Thom. «Sono solo pensieroso.»

Thom sembrava molto pensieroso, di recente. Era abbattuto e accarezzava quella lettera logora di Moiraine. Era solo una lettera. «Andiamo» disse Mat, voltandosi e avviandosi lungo la strada. «Mi stavi dicendo di come entrare per incontrare la regina?»

Thom si unì a lui sulla strada buia. «Non sono sorpreso che non ti abbia risposto, Mat. Probabilmente è piena di impegni. È giunta la notizia che i Trolloc hanno invaso le Marche di Confine in forze e l’Andor è ancora frammentato a seguito della Successione. Elayne...»

«Hai qualche buona notizia, Thom?» disse Mat. «Dammene qualcuna, se ce l’hai. Ne ho voglia.»

«Vorrei che La Benedizione della Regina fosse ancora aperta. Gill ha sempre avuto dicerie interessanti da condividere.»

«Buone notizie» lo pungolò di nuovo Mat.

«D’accordo. Be’, la Torre di Ghenjei è proprio dove ha detto Domon. Ho la parola di altri tre capitani di nave. Si trova oltre una pianura aperta a diverse centinaia di miglia a nordovest di Whitebridge.»