Rand si fermò sui gradini e Min poté percepire la sua riluttanza, la sua vergogna, il suo terrore. Pareva così strano. Rand — che aveva affrontato Reietti senza un fremito — aveva paura di suo padre.
Superò gli ultimi gradini con due falcate improvvise e strinse Tam in un abbraccio. Era uno scalino più in basso, cosa che li metteva alla stessa altezza. In effetti, in quella posizione Tam sembrava quasi un gigante e Rand solo un bambino che si stava aggrappando a lui.
Lì, stretto a suo padre, il Drago Rinato cominciò a piangere.
Le Aes Sedai, i Tarenesi e gli Aiel riuniti osservarono con solennità. Nessuno si mosse o si voltò. Rand chiuse forte gli occhi. «Mi dispiace, padre» sussurrò. Min riusciva a malapena a sentire. «Mi dispiace così tanto.»
«Va tutto bene, figliolo. Va tutto bene.»
«Ho fatto cose tanto terribili.»
«Nessuno percorre un sentiero difficoltoso senza inciampare ogni tanto. Quando sei caduto, questo non ti ha spezzato. E questo che conta.»
Rand annuì. Rimasero abbracciati per un po’. Alla fine Rand si tirò indietro, poi fece un gesto a Min, in piedi alla base degli scalini.
«Vieni, padre» disse Rand. «C’è qualcuno che voglio presentarti.»
Tam ridacchiò. «Sono passati tre giorni, Rand. L’ho già incontrata.»
«Sì, ma io non vi ho presentati. Ne ho bisogno.» Fece cenno a Min e lei sollevò un sopracciglio, incrociando le braccia. Lui la guardò con aria di supplica, così lei sospirò e salì i gradini.
«Padre,» disse Rand, posando la mano sulla schiena di Min «questa è Min Farshaw. Ed è molto speciale per me.»
14
Un voto
Egwene camminava su per il fianco di un gentile pendio, l’erba verde ai suoi piedi, l’aria fresca e piacevole. Farfalle indolenti svolazzavano da bocciolo a bocciolo, come bambini curiosi che sbirciavano dentro degli armadi. Egwene fece scomparire le proprie scarpe in modo da sentire i fili d’erba sotto i piedi.
Trasse un profondo respiro, sorridendo, poi alzò lo sguardo verso le nubi nere ribollenti. Arrabbiate, violente, silenziose nonostante lampi di fulmini color ametista. Una tempesta terribile sopra, un prato placido e quieto sotto. Una dicotomia del Mondo dei Sogni.
Stranamente, il Tel’aran’rhiod le sembrava più innaturale ora di quanto non le era parso durante le sue prime, poche visite usando il ter’angreal di Verin. Aveva trattato questo posto come un parco giochi, cambiandosi i vestiti per capriccio, supponendo di essere al sicuro. Non aveva capito. Tel’aran’rhiod era sicuro quanto una tagliola dipinta con un colore grazioso. Se le Sapienti non l’avessero raddrizzata, sarebbe potuta non vivere abbastanza per diventare Amyrlin.
Sì, penso che sia questo. Quelle ondulate colline verdi, le macchie di alberi. Era il primo posto in cui era venuta, ben oltre un anno prima. C’era qualcosa di significativo nello stare qui, nell’essere arrivata così lontano. Eppure sembrava che avrebbe dovuto percorrere un’uguale distanza prima che tutto questo terminasse, e in un tempo molto più breve.
Quando era stata prigioniera nella Torre, aveva ricordato a sé stessa — ripetutamente — che poteva concentrarsi su un solo problema alla volta. La riunificazione della Torre Bianca doveva venire per prima. Ora, però, sia i problemi che le possibili soluzioni sembravano innumerevoli. La sopraffacevano, sommergendola in tutte le cose che avrebbe dovuto fare.
Per fortuna, durante gli ultimi giorni, nella città erano state scoperte diverse inattese riserve di grano. In un caso un magazzino dimenticato, posseduto da un uomo che era morto durante l’inverno. Gli altri erano più piccoli, qualche sacco qua e là. Cosa sorprendente, in nessuno di essi c’era alcun segno di marciume.
Aveva due riunioni quella sera, per occuparsi di altri problemi. La sua difficoltà maggiore consisteva in come l’avrebbe percepita la gente con cui si sarebbe incontrata. Nessuno dei due gruppi l’avrebbe vista come ciò che era diventata.
Chiuse gli occhi, desiderando andar via. Quando li riaprì, si trovava in una grande stanza, con ombre profonde agli angoli, le sue colonne che si elevavano come torri spesse. Il Cuore della Pietra di Tear.
Due Sapienti sedevano sul pavimento al centro della stanza, in mezzo a una foresta di colonne. Sopra le loro gonne marrone chiaro e le bluse bianche, le loro facce erano nettamente diverse. Quella di Bair era rugosa per l’età, come cuoio lasciato a essiccare al sole. Nonostante la sua occasionale severità, rughe di sorriso si intrecciavano a partire dai suoi occhi e dalla sua bocca.
Il volto di Amys era liscio come seta, un effetto della capacità di incanalare. Il suo viso non era senza età, ma per tutta l’emozione che mostrava avrebbe potuto essere Aes Sedai.
Le due avevano i loro scialli in vita, le bluse slacciate. Egwene sedette davanti a loro ma rimase con indosso abiti da abitante delle terre bagnate. Amys sollevò un sopracciglio; stava forse pensando che Egwene avrebbe dovuto cambiarsi? Oppure apprezzava che Egwene non imitasse qualcosa che non era? Era difficile da capire.
«La battaglia all’interno della Torre Bianca è finita» disse Egwene.
«La donna Elaida a’Roihan?» chiese Amys.
«Presa dai Seanchan» disse Egwene. «Io sono stata accettata come Amyrlin da coloro che la seguivano. La mia posizione è lungi dall’essere sicura: a volte mi sento come in equilibrio in cima a una pietra che sta in equilibrio in cima a un’altra pietra. Ma la Torre Bianca è di nuovo una.»
Amys schioccò piano la lingua. Sollevò la mano e una stola a strisce — la stola dell’Amyrlin — comparve in essa. «Suppongo che dovresti indossare questa, allora.»
Egwene esalò un respiro basso e lento. A volte per lei era notevole quanta stima riponesse nelle opinioni di queste donne. Prese la stola, mettendosela attorno alle spalle.
«A Sorilea non piacerà questa notizia» disse Bair, scuotendo il capo. «Nutriva ancora una speranza che avresti lasciato quelle sciocche nella Torre Bianca e saresti tornata da noi.»
«Ti prego di badare bene» disse Egwene, evocando una tazza di tè per sé stessa. «Non sono solo una di quelle sciocche, amica mia, ma colei che le guida. Regina delle sciocche, potresti dire.»
Bair esitò. «Io ho toh.»
«Non per aver detto il vero» la rassicurò Egwene. «Molte di loro sono sciocche, ma non siamo tutti sciocchi per certi versi? Voi non mi avete abbandonato ai miei fallimenti quando mi avete trovato a percorrere il Tel’aran’rhiod. Allo stesso modo, io non posso abbandonare quelle alla Torre Bianca.»
Amys strinse gli occhi. «Sei cresciuta molto dall’ultima volta che ci siamo incontrate, Egwene al’Vere.»
Quelle parole fecero scorrere un brivido attraverso Egwene. «È stato necessario che crescessi. La mia vita è stata difficile di recente.»
«Quando ci si trova di fronte un tetto crollato,» disse Bair «alcuni cominciano gettando via le macerie, diventando più forti nel farlo. Altri vanno a visitare la fortezza del loro fratello e bevono la sua acqua.»
«Avete visto Rand di recente?» chiese Egwene.
«Il Car’a’carn ha abbracciato la morte» disse Amys. «Ha smesso di cercare di essere forte come le pietre e invece ha ottenuto la forza del vento.»
Bair annui. «Fra poco dovremo quasi smettere di chiamarlo bambino.» Sorrise. «Quasi.»
Egwene non lasciò trasparire alcuna traccia del suo sconcerto. Si aspettava che fossero scontente di Rand. «Voglio che sappiate quanto rispetto ho per voi. Avete molto onore per avermi accolto come avete fatto. Penso che l’unica ragione per cui vedo più lontano rispetto alle mie Sorelle è perché voi mi avete insegnato a camminare a schiena dritta e a testa alta.»