Perrin non se la stava cavando bene col suo senso di colpa. Be’, Faile avrebbe parlato con lui a breve. Continuò attraverso l’accampamento, superando la zona dei Mayenesi alla sua sinistra, con gli stendardi che sventolavano alti.
Anch’io dovrò fare presto i conti con quello, pensò Faile, alzando lo sguardo sulla bandiera di Berelain. Le voci su lei e Perrin erano problematiche. Aveva sospettato che Berelain avrebbe potuto tentare qualcosa in sua assenza, ma portarlo nella sua tenda di notte sembrava particolarmente sfacciato.
Faile avrebbe dovuto scegliere i propri passi successivi con estrema attenzione. Suo marito, il suo popolo e i suoi alleati erano tutti in un equilibrio precario. Faile si ritrovò a desiderare di poter chiedere consiglio a sua madre.
Questo la sconcertò, e lei esitò, fermandosi sul tragitto consumato di erba gialla calpestata e fango. Luce, pensò Faile. Guarda cosa mi è successo.
Due anni prima, Faile — allora chiamata Zarine — era fuggita da casa sua in Saldea per diventare una Cacciatrice del Corno. Si era ribellata contro i suoi doveri di figlia maggiore e contro l’addestramento a cui sua madre aveva insistito che si sottoponesse.
Non era scappata perché aveva odiato i suoi compiti; in effetti, si era rivelata abile in tutte le cose che le venivano richieste. Allora perché se n’era andata? In parte in cerca di avventura. Ma in parte — ammise a sé stessa solo ora — per via di tutte le presupposizioni. Nessuno si domandava se tu avresti fatto il tuo dovere, in particolare se eri imparentato con la regina in persona.
E così... se n’era andata. Non perché avesse odiato quello che sarebbe diventata, ma perché aveva odiato il fatto che era sembrato così inevitabile. E ora eccola qui, ad avvalersi di tutte le cose che sua madre aveva insistito che imparasse.
Era quasi sufficiente a far ridere Faile. Poteva capire parecchie cose sul campo da una semplice occhiata. Presto avrebbero avuto bisogno di trovare del buon cuoio per i ciabattini. L’acqua non era un problema, dal momento che aveva piovuto spesso, leggeri spruzzi nel corso degli ultimi giorni, ma legna secca per i fuochi da campo lo era. Un gruppo di profughi — un insieme di ex gai’shain delle terre bagnate che osservavano gli Aiel di Perrin con aperta ostilità — avrebbe avuto bisogno di attenzioni. Mentre camminava, osservò per accertarsi che l’accampamento avesse le adeguate misure igieniche e che i soldati si stessero prendendo cura di sé. Alcuni uomini mostravano estrema preoccupazione per i loro cavalli, poi dimenticavano di mangiare in modo corretto, o perlomeno sano. Per non parlare della loro abitudine di trascorrere metà della notte a chiacchierare presso i fuochi da campo.
Faile scosse il capo e continuò a camminare, entrando nell’anello delle provviste, dove carri di cibo erano stati scaricati per l’orda di cuochi e servitrici. L’anello delle provviste era quasi un villaggio a sé, con centinaia di persone che tracciavano rapidamente sentieri nell’erba fangosa. Superò un gruppo di giovani dalle facce sporche che scavavano fosse nel terreno, poi un capannello di donne che chiacchieravano e canticchiavano mentre pelavano patate, bambini che raccoglievano le bucce e le gettavano nelle fosse. Non c’erano molti di quei bambini, ma l’armata di Perrin aveva attirato un certo numero di famiglie dalla campagna circostante che, morendo di fame, avevano implorato di aggregarsi.
Dei servitori portavano canestri di patate sbucciate alle pentole per cucinare, che venivano lentamente riempite d’acqua da giovani donne che effettuavano viaggi fino al torrente. Cuochi esperti preparavano le braci per arrostire, mentre cuochi più anziani mescolavano spezie in salse che potevano essere versate su altri cibi, cosa che era realmente l’unico modo per dare sapore a tali massicce quantità.
Donne anziane — le poche nel campo — si muovevano a passi strascicati, con la schiena curva e leggeri canestri di vimini contenenti erbe premuti contro braccia esili, i loro scialli che si increspavano mentre chiacchieravano con voci gracchianti. Dei soldati si affrettavano dentro e fuori, portando selvaggina. Ragazzi tra l’adolescenza e la maturità raccoglievano ramoscelli come esche per il fuoco; Faile superò un piccolo capannello di questi che si era lasciato distrarre dal catturare ragni.
Era un trambusto di confusione e ordine che coesistevano, come due facce di una medaglia. Strano quanto Faile si sentisse a suo agio qui. Ripensando a sé stessa solo pochi anni prima, rimase stupita nel rendersi conto che vedeva una bambina viziata ed egocentrica. Lasciare le Marche di Confine per diventare una Cacciatrice del Corno? Aveva abbandonato doveri, casa e famiglia. Cosa le era venuto in mente?
Superò alcune donne che macinavano grano, poi girò attorno a un fascio di scalogno selvatico su una coperta accanto a loro, in attesa di essere trasformato in zuppa. Era lieta di essersene andata e avere incontrato Perrin, ma quella non era una scusa per le sue azioni. Con una smorfia, si ricordò di aver costretto Perrin a percorrere le Vie al buio, da solo. Non si ricordava nemmeno cosa avesse fatto per farla arrabbiare, anche se non l’avrebbe mai ammesso con lui.
Sua madre una volta l’aveva chiamata viziata e aveva avuto ragione. Aveva anche insistito che Faile imparasse a gestire i possedimenti, e per tutto quel tempo Faile aveva sognato di sposare un Cacciatore del Corno e trascorrere la sua vita lontano dagli eserciti e dai noiosi compiti dei nobili.
Che la Luce ti benedica, madre, pensò Faile. Cosa avrebbero fatto lei o Perrin senza quell’addestramento? Senza gli insegnamenti di sua madre, Faile sarebbe stata inutile. L’amministrazione dell’intero campo avrebbe gravato sulle spalle di Aravine. Per capace che fosse la donna come intendente di Perrin per l’accampamento, non sarebbe riuscita a fare tutto questo da sola. Né avrebbero potuto aspettarselo da lei.
Faile raggiunse la postazione del furiere, un piccolo padiglione proprio nel cuore delle buche per cucinare. La brezza portò un amalgama di odori: grasso bruciato dalle fiamme, patate che bollivano, salse piccanti speziate con aglio, l’odore umido e appiccicoso di bucce di patata date al piccolo branco di suini che erano riusciti a portare via da Malden.
Il furiere, Bavin Rockshaw, era un Cairhienese dal volto pallido, con del biondo che punteggiava i suoi capelli che andavano ingrigendo, come la pelliccia di un cane di razza mista. Era affusolato di braccia, gambe e petto, eppure aveva una pancia quasi perfettamente tonda. A quanto pareva aveva lavorato come furiere fin dal tempo della Guerra Aiel ed era un esperto: un maestro pratico nel sovrintendere a operazioni di rifornimento quanto un maestro carpentiere lo era per la lavorazione del legno.
Questo, ovviamente, significava che era anche un esperto nell’accettare denaro per farsi corrompere. Quando vide Faile, sorrise e si inchinò in modo abbastanza rigido da essere formale, ma senza fronzoli. «Sono un semplice soldato che esegue il suo compito» diceva quell’inchino.
«Lady Faile!» esclamò, facendo cenno ad alcuni dei suoi servitori. «Sei qui per esaminare i registri, suppongo?»
«Sì, Bavin» disse lei, anche se sapeva che in essi non ci sarebbe stato nulla di sospetto. Lui era fin troppo cauto.
Tuttavia, diede l’impressione di controllarli rapidamente. Uno degli uomini le portò uno sgabello, un altro un tavolo su cui posare i registri e un altro ancora una tazza di tè. Faile rimase impressionata del modo ordinato in cui i conti delle colonne tornavano. Sua madre aveva spiegato che spesso un furiere prendeva molte note confusionarie, facendo riferimento ad altre pagine o altri registri, separando diversi tipi di provviste in libri differenti, tutto per rendere più difficile rintracciare cosa stava succedendo. Un governante che veniva confuso dalle annotazioni avrebbe presunto che il furiere doveva star facendo il suo lavoro.