Lui ci si avventò. Cercò di mantenere le buone maniere, ma il cibo era eccellente ed era stata una giornata lunga. Si ritrovò a lacerare il prosciutto a morsi con ferocia, anche se cercò di stare attento a non far colare nulla sulla coperta elegante.
Faile mangiava più lentamente, l’odore di divertimento che si mischiava a quello del suo sapone.
«Cosa?» domandò Perrin, pulendosi la bocca. Lei era illuminata solo dalle candele, adesso che il sole era tramontato del tutto.
«C’è molto del lupo in te, marito mio.»
Lui rimase immobile, notando che si stava leccando le dita. Borbottò fra sé, pulendole invece con un tovagliolo. Per quanto gli piacessero i lupi, non li avrebbe invitati al tavolo da pranzo con lui. «Troppo del lupo in me» disse.
«Sei quello che sei, marito mio. E, guarda caso, io amo quello che sei, perciò questo è bene.»
Lui continuò a masticare il suo taglio di prosciutto. La notte era tranquilla e i servitori si erano ritirati abbastanza lontano che lui non riusciva a fiutarli o udirli. Probabilmente Faile aveva lasciato ordini che non fossero disturbati, e con gli alberi alla base della collina non avrebbero dovuto preoccuparsi di essere osservati.
«Faile,» disse lui piano «è necessario che tu sappia cos’ho fatto mentre eri prigioniera. Ho fatto cose che temevo mi avrebbero trasformato in qualcuno che tu non avresti più voluto. Non è stato solo il patto con i Seanchan. C’erano delle persone in una città, So Habor, a cui non riesco a smettere di pensare. Persone che forse avrei dovuto aiutare. E c’era uno Shaido, con la sua mano...»
«L’ho sentito. Pare che tu abbia fatto quello che dovevi.»
«Sarei andato molto oltre» ammise Perrin. «Odiando me stesso nel frattempo. Hai detto che un lord dev’essere tanto forte da resistere al lasciarsi manipolare. Be’, io non sarò mai così forte. Non se tu mi venissi portata via.»
«Dovremo assicurarci che nessuno mi porti via.»
«Potrebbe distruggermi, Faile» disse lui piano. «Credo che potrei gestire qualunque altra cosa. Ma se tu fossi usata contro di me, nulla avrebbe importanza. Io farei qualunque cosa per proteggerti, Faile. Qualunque cosa.»
«Forse dovresti avvolgermi in una morbida stoffa, allora,» disse lei in tono asciutto «e ripormi in una stanza sigillata.» Stranamente, il suo odore non era offeso.
«Non farei una cosa del genere» disse Perrin. «Sai che non lo farei. Ma questo significa che ho una debolezza, una debolezza terribile. Del tipo che un capo non può avere.»
Lei sbuffò. «Pensi che altri capi non abbiano debolezze, Perrin? Perfino il re o la regina di Saldea hanno le loro. Nikiol Dianatkhah era un beone, malgrado fosse noto come uno dei nostri più grandi sovrani, e Belairah sposò e mise da parte suo marito quattro volte. Il suo cuore la condusse sempre in mezzo ai guai. Jonasim aveva un figlio dedito al gioco d’azzardo, cosa che portò la sua Casata sull’orlo della rovina, e Lyonford non riusciva a tenere a freno la collera se veniva sfidato. Tutti quanti furono grandi monarchi. E tutti avevano la loro dose di debolezze.»
Perrin continuava a masticare il suo cibo, pensieroso.
«Nelle Marche di Confine» proseguì Faile «abbiamo un detto. "Una spada lucidata riflette la verità". Un uomo può affermare di essere diligente nei suoi compiti, ma se la sua spada non è lucidata, sai che è stato pigro.
«Be’, la tua spada è lucente, marito mio. Durante queste ultime settimane hai continuato a dire di essere stato un pessimo capo durante la mia prigionia. Mi hai fatto credere di aver portato l’intero campo alla rovina e allo sfacelo! Ma questo non è affatto vero. Li hai tenuti concentrati; li hai ispirati, hai mantenuto una forte autorità e hai conservato l’aria di un lord.»
«In parte c’è stata Berelain dietro a quello» disse lui. «Penso quasi che quella donna mi avrebbe fatto il bagno di persona se avessi passato un altro giorno senza lavarmi.»
«Sono certa che questo non avrebbe giovato alle voci» osservò Faile in tono asciutto.
«Faile, io...»
«Mi occuperò io di Berelain» disse Faile. La sua voce suonava pericolosa. «Questo è un compito con cui non hai bisogno di distrarti.»
«Ma...»
«Mi occuperò io di lei» disse Faile, la sua voce più decisa. Non era saggio sfidarla quando odorava a quel modo, a meno che lui non volesse iniziare una lunga discussione. Lei si ammorbidì, prendendo un altro boccone d’orzo. «Quando ho detto che eri come un lupo, marito mio, non stavo parlando del modo in cui mangi. Stavo parlando del modo in cui dai la tua attenzione. Sei motivato. Se ti viene dato un problema da risolvere, non importa quanto enorme, tu provvederai a farlo.
«Non riesci a capire? Questa è una caratteristica meravigliosa in un capo. E esattamente quello di cui i Fiumi Gemelli hanno bisogno. Sempre, naturalmente, che tu abbia una moglie che possa prendersi cura delle questioni più piccole.» Faile si accigliò. «Vorrei che mi avessi parlato dello stendardo prima di bruciarlo. Sarà difficile innalzarlo di nuovo senza sembrare sciocco.»
«Io non voglio innalzarlo di nuovo» disse Perrin. «Ecco perché gliel’ho fatto bruciare.»
«Ma perché?»
Prese un altro boccone del suo prosciutto, non guardandola di proposito. Lei odorava di curiosità, quasi disperatamente.
Non posso guidarli, pensò. Non finché non saprò se riesco a dominare il lupo.
Come poteva spiegare? Spiegare che temeva il modo in cui il lupo prendeva il controllo quando lui combatteva, quando voleva qualcosa con troppa forza?
Non si sarebbe liberato dei lupi: erano diventati parte di lui in modo troppo radicato. Ma dove avrebbe lasciato la sua gente, dove avrebbe lasciato Faile se si fosse perso a causa di quello che c’era dentro di lui?
Ricordò di nuovo una creatura sporca, un tempo un uomo, rinchiusa in una gabbia. Non c’è più nulla in costui che si ricordi di essere stato un uomo...
«Marito mio» disse Faile, appoggiandogli una mano sul braccio. «Per favore.» Odorava di tristezza. Questo gli strinse il cuore.
«Ha a che fare con quei Manti Bianchi» disse Perrin.
«Cosa? Perrin, pensavo di avere detto...»
«Ha a che fare» disse Perrin con fermezza «con quello che mi successe la prima volta che li incontrai. E quello che avevo cominciato a scoprire nei giorni precedenti.»
Faile si accigliò.
«Ti ho detto di aver ucciso due Manti Bianchi» disse lui. «Prima di incontrarti.»
«Sì.»
«Mettiti comoda» disse Perrin. «È necessario che tu sappia l’intera storia.»
E così gliela raccontò. Esitante sulle prime, ma presto le parole gli uscirono più facili. Parlò di Shadar Logoth e di come il loro gruppo si era sparpagliato. Di Egwene che gli aveva lasciato prendere il comando, forse la prima volta che era stato costretto a farlo.
Le aveva già parlato del suo incontro con Elyas. Lei sapeva molto su Perrin, cose che lui non aveva mai detto a nessun altro, cose di cui non aveva mai parlato nemmeno con Elyas. Lei sapeva del lupo. Sapeva che lui temeva di perdere sé stesso.
Ma non sapeva quello che provava in battaglia. Non sapeva che cosa aveva provato nell’uccidere quei Manti Bianchi, nell’assaggiare il loro sangue, sia nella propria bocca che attraverso il suo legame con i lupi. Non sapeva com’era essere consumati da rabbia, paura e disperazione quando lei era stata catturata. Queste erano le cose che lui spiegò a poco a poco.
Le disse della frenesia che si era impadronita di lui quando la stava cercando nel sogno del lupo. Parlò di Noam e di cosa temeva che gli sarebbe successo. E di come era collegato al modo in cui si comportava quando combatteva.
Faile ascoltò, seduta in silenzio in cima alla collina, le braccia avvolte attorno alle gambe, illuminata dalle candele. I suoi odori erano smorzati. Forse Perrin avrebbe dovuto omettere alcune cose. Nessuna donna voleva sapere che bestia diventava suo marito quando uccideva, giusto? Ma ora che stava parlando, voleva sbarazzarsi dei suoi segreti. Ne era stanco.