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Ciascuna parola pronunciata lo faceva rilassare di più. Faceva quello che il pasto — per toccante che fosse stato — non era riuscito a fare. Nel parlarle delle sue lotte interiori, Perrin avvertì parte del suo fardello sollevarsi.

Terminò parlando di Hopper. Non era certo del perché avesse tenuto il lupo per ultimo; Hopper aveva fatto parte di molto di cui Perrin aveva parlato prima: i Manti Bianchi, il sogno del lupo. Ma gli sembrava giusto conservare Hopper fino alla fine, così lo fece.

Mentre terminava, fissò la fiammella di una delle candele. Due di esse si erano spente, lasciando altre a tremolare ancora. Quella luce non era fioca ai suoi occhi. Aveva problemi a ricordare com’erano stati i suoi giorni quando i suoi sensi erano stati deboli quanto quelli di un uomo normale.

Faile si appoggiò contro di lui, avvolgendogli il braccio attorno a sé stessa. «Grazie» disse.

Lui esalò un profondo sospiro, reclinandosi contro il ceppo alle sue spalle, percependo il calore di Faile.

«Voglio parlarti di Malden» disse lei.

«Non devi» replicò Perrin. «Solo perché io...»

«Zitto. Io sono stata in silenzio mentre parlavi. È il mio turno.»

«D’accordo.»

Per lui sarebbe dovuto essere preoccupante sentir sparlare di Malden. Giacque con la schiena contro il ceppo, il cielo sopra di loro che crepitava di energia, il Disegno stesso a rischio di sfilacciarsi, mentre sua moglie raccontava di com’era stata catturata e picchiata. Eppure fu una delle cose più stranamente rilassanti che lui avesse mai sperimentato.

Gli avvenimenti in quella città erano stati importanti per lei, forse le avevano perfino fatto bene. Anche se lui si adirò nel sentire di come Sevanna aveva legato Faile nuda e l’aveva lasciata lì fuori tutta la notte. Un giorno avrebbe dato la caccia a quella donna.

Non oggi, però. Oggi aveva sua moglie tra le braccia, e la sua voce forte era un sollievo. Avrebbe dovuto rendersi conto che lei avrebbe pianificato la propria fuga. In effetti, ascoltando i suoi attenti preparativi, iniziò a sentirsi uno sciocco. Lei si era preoccupata che lui si facesse uccidere nel cercare di liberarla: non lo disse, ma Perrin riuscì a dedurlo. Quanto lo conosceva bene.

Faile tralasciò alcune cose. A lui non importò. Sarebbe stata come un animale confinato in gabbia senza i suoi segreti. Lui aveva un buona ipotesi su quello che stava nascondendo, però. Aveva qualcosa a che fare con il Senza Fratelli che l’aveva catturata, qualcosa sui piani di Faile di ingannare l’uomo e i suoi amici per aiutarla a scappare. Forse aveva provato affetto per lui e non voleva che Perrin rimpiangesse di averlo ucciso. Quello non era necessario. Quei Senza Fratelli si erano trovati con gli Shaido e avevano attaccato e ucciso uomini sotto la protezione di Perrin. Nessun atto di gentilezza avrebbe compensato questo. Meritavano la morte.

Questo lo fece esitare. Probabilmente i Manti Bianchi dicevano cose molto simili su di lui. Ma i Manti Bianchi avevano attaccato per primi.

Lei terminò. Era molto tardi ora, e Perrin allungò una mano verso un involto che i servitori di Faile avevano portato su, tirando fuori una coperta.

«Ebbene?» chiese Faile nell’accomodarsi, mettendo di nuovo il suo braccio attorno a sé.

«Sono sorpreso che tu non mi abbia fatto una lavata di capo per essermi precipitato dentro come un toro selvaggio e aver calpestato tutti i tuoi piani.»

Questo la fece odorare di soddisfazione. Non era l’emozione che lui si era aspettato, ma aveva smesso molto tempo prima di cercare di decifrare il modo in cui pensavano le donne.

«Ho quasi tirato fuori la faccenda stasera» disse Faile «in modo da poter litigare come si deve e poi riconciliarci in maniera adeguata.»

«Perché non l’hai fatto?»

«Ho deciso che questa notte doveva essere fatta nei modi dei Fiumi Gemelli.»

«E tu pensi che mariti e mogli non litighino nei Fiumi Gemelli?» chiese lui divertito.

«Be’, forse lo fanno. Ma tu, marito, sei sempre a disagio quando urliamo. Sono molto lieta che tu abbia cominciato a farti valere da te, come è giusto. Ma la mia richiesta di adattarti alle mie usanze è stata esagerata. Ho pensato che stanotte avrei cercato di adattarmi io alle tue.»

Quelle erano parole che lui non si era mai aspettato di udire da Faile. Parevano la cosa più personale che lei avesse mai potuto dargli. Cosa imbarazzante, si sentiva le lacrime agli occhi, e la strinse forte.

«Ora,» disse lei «non sono un docile agnellino, bada bene.»

«Non penserei mai una cosa del genere» disse lui. «Mai.»

Lei odorò di soddisfazione.

«Sono spiacente di non aver pensato molto alla possibilità che tu fuggissi per conto tuo.»

«Ti perdono.»

Perrin abbassò lo sguardo verso di lei mentre quei bellissimi occhi scuri riflettevano la luce delle candele. «Questo significa che possiamo riconciliarci senza aver litigato?»

Lei sorrise. «Lo permetterò, per stavolta. E, naturalmente, i servitori hanno ordini rigorosi di far rispettare la nostra intimità.»

Lui la baciò. Gli pareva così giusto e sapeva che le preoccupazioni che aveva avuto — l’imbarazzo che c’era stato tra loro fin da Malden — erano sparite. Che fosse stato qualcosa di reale o qualcosa che si era immaginato, adesso era passato.

Aveva di nuovo Faile, davvero e completamente.

17

Separazioni e un incontro

Il mattino dopo l’attacco del gholam, Mat si svegliò da sogni marci come uova del mese precedente, sentendosi rigido e dolorante. Aveva passato la notte dormendo in una concavità che aveva trovato sotto il carro delle scorte di Aludra. Aveva scelto quel posto a caso, tirando i suoi dadi.

Si arrampicò fuori da sotto il carro, alzandosi in piedi e ruotando la spalla, sentendola schioccare. Dannate ceneri. Una delle cose migliori dell’avere soldi era non dover dormire nei fossi. C’erano mendicanti che passavano notti migliori di questa.

Questo carro odorava di zolfo e polveri. Mat era tentato di sbirciare sotto il telone oliato steso sopra il retro, ma non ci sarebbe stato motivo. Aludra e le sue polveri erano incomprensibili. Fintantoché i draghi avessero svolto il loro compito, a Mat non importava sapere come funzionavano. Be’, non gli importava molto. Non abbastanza da rischiare di irritarla.

Lei non era lì al carro, per fortuna per Mat. Si sarebbe lamentata ancora con lui perché non le aveva procurato un campanaro. Pareva reputarlo il suo messaggero personale. E perfino indisciplinato, che rifiutava di fare il suo lavoro nel modo giusto. Parecchie donne avevano momenti del genere.

Mat attraversò il campo, togliendosi pezzi di paglia dai capelli. Per poco non andò a cercare Lopin per farsi preparare un bagno, finché non si ricordò che Lopin era morto. Dannate ceneri! Pover’uomo.

Pensare al povero Lopin fece piombare Mat in un umore ancora più cupo mentre si dirigeva dove avrebbe trovato un po’ di colazione. Fu Juilin a trovarlo prima. Il basso cacciatore di ladri tarenese indossava il suo cappello conico dalla cima piatta e una giacca blu scuro. «Mat,» disse «è vero? Hai dato il permesso alle Aes Sedai di tornare alla Torre?»

«Non avevano bisogno del mio permesso» disse Mat trasalendo. Se le donne l’avessero sentito dire a quel modo, avrebbero conciato la sua pelle e ne avrebbero fatto del cuoio per selle. «Ho intenzione di dar loro dei cavalli, però.»

«Li hanno già» disse Juilin, guardando in direzione delle linee di picchetti. «Hanno detto che tu gli hai dato il permesso.»

Mat sospirò. Il suo stomaco brontolava, ma il cibo avrebbe dovuto attendere. Si diresse verso i picchetti; si sarebbe dovuto assicurare che le Aes Sedai non partissero con i suoi animali migliori.

«Pensavo che potrei andare con loro» disse Juilin, unendosi a Mat. «Portare Thera a Tar Valon.»