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E non molto dopo feci per Messer Anibale Caro, secondo che mi aveva richiesto molto innanzi per una sua lettera che è stampata, in un quadro Adone che muore in grembo a Venere, secondo l'invenzione di Teocrito, la quale opera fu poi, e quasi contra mia voglia, condotta in Francia e data a Messer Albizo del Bene, insieme con una Psiche che sta mirando con una lucerna Amore che dorme, e si sveglia avendolo cotto una favilla di essa lucerna. Le quali tutte figure ignude e grandi quanto il vivo furono cagione che Alfonso di Tommaso Cambi giovanetto allora bellissimo, letterato, virtuoso e molto cortese e gentile, si fece ritrarre ignudo, e tutto intero, in persona d'uno Endimione cacciatore amato dalla Luna, la cui candidezza, et un paese all'intorno capriccioso, hanno il lume dalla chiarezza della luna, che fa nell'oscuro della notte una veduta assai propria e naturale, perciò che io m'ingegnai con ogni diligenza di contrafare i colori proprii che suol dare il lume di quella bianca giallezza della luna alle cose che percuote.

Dopo questo, dipinsi due quadri per mandare a Raugia: in uno la Nostra Donna e nell'altro una Pietà; et appresso a Francesco Botti in un gran quadro la Nostra Donna col Figliuolo in braccio e Giuseppo, il quale quadro, che io certo feci con quella diligenza che seppi maggiore, si portò seco in Ispagna. Forniti questi lavori andai l'anno medesimo a vedere il cardinale de' Monti a Bologna, dove era legato, e con esso dimorando alcuni giorni, oltre a molti altri ragionamenti, seppe così ben dire, e ciò con tante buone ragioni persuadermi, che io mi risolvei, stretto da lui, a far quello che insino allora non avea voluto fare, cioè a pigliare moglie, e così tolsi, come egli volle, una figliuola di Francesco Bacci nobile cittadino aretino. Tornato a Fiorenza feci un gran quadro di Nostra Donna, secondo un mio nuovo capriccio e con più figure, il quale ebbe Messer Bindo Altoviti, che perciò mi donò cento scudi d'oro, e lo condusse a Roma, dove è oggi nelle sue case. Feci oltre ciò nel medesimo tempo molti altri quadri, come a Messer Bernardetto de' Medici, a Messer Bartolomeo Strada fisico eccellente, et a altri miei amici, che non accade ragionarne.

Di que' giorni, essendo morto Gismondo Martelli in Fiorenza, et avendo lasciato per testamento che in S. Lorenzo alla cappella di quella nobile famiglia si facesse una tavola con la Nostra Donna et alcuni Santi, Luigi e Pandolfo Martelli, insieme con Messer Cosimo Bartoli, miei amicissimi, mi ricercarono che io facessi la detta tavola. Et avutone licenza dal signor duca Cosimo patrone e primo Operaio di quella chiesa, fui contento di farla, ma con facultà di potervi fare a mio capriccio alcuna cosa di S. Gismondo, alludendo al nome di detto testatore. La quale convenzione fatta, mi ricordai avere inteso che Filippo di ser Brunellesco architetto di quella chiesa avea data quella forma a tutte le cappelle, acciò in ciascuna fusse fatta, non una piccola tavola, ma alcuna storia o pittura grande, che empiesse tutto quel vano. Per che, disposto a volere in questa parte seguire la volontà et ordine del Brunellesco, più guardando all'onore che al picciol guadagno che di quell'opera destinata a far una tavola piccola e con poche figure potea trarre, feci in una tavola larga braccia dieci et alta tredici la storia, o vero martirio di San Gismondo re, cioè quando egli, la moglie e due figliuoli furono gettati in un pozzo da un altro re, o vero tiranno, e feci che l'ornamento di quella cappella, il quale è mezzo tondo, mi servisse per vano della porta d'un gran palazzo, rustica, per la quale si avesse la veduta del cortile quadro, sostenuto da pilastri e colonne doriche, e finsi che per lo straforo di quella si vedesse nel mezzo un pozzo a otto facce, con salita intorno di gradi, per i quali salendo i ministri, portassono a gettare detti due figliuoli nudi nel pozzo; et intorno nelle logge dipinsi popoli che stanno da una parte a vedere quell'orrendo spettacolo, e nell'altra, che è la sinistra, feci alcuni masnadieri, i quali avendo presa con fierezza la moglie del re, la portano verso il pozzo per farla morire. Et in sulla porta principale feci un gruppo di soldati che legano San Gismondo, il quale con attitudine relassata e paziente mostra patir ben volentieri quella morte e martirio, e sta mirando in aria quattro Angeli che gli mostrano le palme e corone del martirio, sue, della moglie e de' figliuoli, la qual cosa pare che tutto il riconforti e consoli. Mi sforzai similmente di mostrare la crudeltà e fierezza dell'empio tiranno, che sta in sul pian del cortile di sopra a vedere quella sua vendetta e la morte di San Gismondo. Insomma, quanto in me fu, feci ogni opera che in tutte le figure fussero più che si può i proprii affetti e convenienti attitudini e fierezze, e tutto quello si richiedeva; il che quanto mi riuscisse, lascerò ad altri farne giudizio. Dirò bene che io vi misi quanto potei e seppi di studio, fatica e diligenza. Intanto disiderando il signor duca Cosimo che il libro delle vite, già condotto quasi al fine, con quella maggior diligenza che a me era stato possibile e con l'aiuto d'alcuni miei amici, si desse fuori et alle stampe, lo diedi a Lorenzo Torrentino impressor ducale, e così fu cominciato a stamparsi. Ma non erano anche finite le teoriche, quando, essendo morto papa Paulo Terzo, cominciai a dubitare d'avermi a partire di Fiorenza, prima che detto libro fusse finito di stampare. Perciò che andando io fuor di Fiorenza ad incontrare il cardinal di Monte, che passava per andare al Conclavi, non gli ebbi sì tosto fatto riverenza et alquanto ragionato, che mi disse: "Io vo a Roma, et al sicuro sarò papa. Spedisciti, se hai che fare, e subito, avuto la nuova, vientene a Roma sanza aspettare altri avvisi o d'essere chiamato". Né fu vano cotal pronostico, però che essendo quel carnovale in Arezzo, e dandosi ordine a certe feste e mascherate, venne nuova che il detto cardinale era diventato Giulio Terzo, per che montato subito a cavallo venni a Fiorenza, donde, sollecitato dal Duca, andai a Roma per esservi alla coronazione di detto nuovo Pontefice et al fare dell'apparato.

E così giunto in Roma e scavalcato a casa Messer Bindo, andai a far reverenza e baciare il piè a Sua Santità il che fatto, le prime parole che mi disse furono il ricordarmi che quello che mi aveva di sé pronosticato non era stato vano. Poi dunque che fu coronato e quietato alquanto, la prima cosa che volle si facesse si fu sodisfare a un obligo, che aveva alla memoria di Messer Antonio vecchio e primo cardinal di Monte, d'una sepoltura da farsi a S. Piero a Montorio. Della quale fatti i modelli e disegni, fu condotta di marmo, come in altro luogo s'è detto pienamente, et in tanto io feci la tavola di quella cappella, dove dipinsi la conversione di S. Paulo: ma per variare da quello che avea fatto il Buonarruoto nella Paulina, feci S. Paulo, come egli scrive, giovane che già cascato da cavallo è condotto dai soldati ad Anania cieco, dal quale per imposizione delle mani riceve il lume degl'occhi perduto et è battezzato. Nella quale opera, o per la strettezza del luogo, o altro che ne fusse cagione, non sodisfeci interamente a me stesso, se bene forse ad altri non dispiacque, et in particolare a Michelagnolo.

Feci similmente a quel Pontefice un'altra tavola per una cappella del palazzo, ma questa, per le cagioni dette altra volta, fu poi da me condotta in Arezzo e posta in Pieve all'altar maggiore. Ma quando né in questa, né in quella già detta di S. Piero a Montorio, io non avessi pienamente sodisfatto né a me, né ad altri, non sarebbe gran fatto, imperò che, bisognandomi essere continuamente alla voglia di quel Pontefice, era sempre in moto, o vero occupato in far disegni d'architettura, e massimamente essendo io stato il primo che disegnasse e facesse tutta l'invenzione della vigna Iulia, che egli fece fare con spesa incredibile, la quale se bene fu poi da altri essequita, io fui nondimeno quegli che misi sempre in disegno i capricci del Papa, che poi si diedero a rivedere e correggere a Michelagnolo; et Iacopo Barozzi da Vignuola finì con molti suoi disegni le stanze, sale et altri molti ornamenti di quel luogo. Ma la fonte bassa fu d'ordine mio e dell'Amannato, che poi vi restò e fece la loggia che è sopra la fonte. Ma in quell'opera non si poteva mostrare quello che altri sapesse, né far alcuna cosa pel verso, perciò che venivano di mano in mano a quel Papa nuovi capricci, i quali bisognava metter in essecuzione, secondo che ordinava giornalmente Messer Piergiovanni Aliotti, vescovo di Forlì.