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Patricia A. McKillip

L’erede del mare e del fuoco

CAPITOLO PRIMO

La primavera portava invariabilmente tre cose alla dimora del Re di An: il primo carico via mare del vino di Herun, i nobili delle Tre Terre per il conclave primaverile, e una disputa.

Nella primavera dell’anno successivo alla misteriosa scomparsa del Principe di Hed, che con l’arpista del Supremo era svanito come nebbia sul Passo di Isig, la grande magione coi suoi sette portali e le sue sette candide torri sembrò aprirsi come un baccello maturo dopo un lungo ed aspro inverno di silenzio e di tristezza. La stagione dei fiori sparse toni smeraldini sul panorama, gettò disegni simili a intarsi di luce sui freddi pavimenti di pietra, e fluì inarrestabile come una linfa sino nel più profondo cuore di An, finché a Raederle, seduta nel giardino di Cyone dove nessun altro era entrato a sei mesi dalla morte di lei, parve che perfino i defunti di An, raggiunti dalle radici che s’infiltravano fra le loro ossa, dovessero vibrare al contatto di quella vita che esplodeva ovunque.

Dopo un poco si rialzò, attraversò l’intrico d’erbe e piante avvizzite che non erano sopravvissute all’inverno, e fece ritorno nella Sala del Trono, le cui porte erano state spalancate per far entrare la luce. Sotto lo sguardo attento del maestro di palazzo di Mathom i servi stavano togliendo la polvere e le pieghe agli stendardi dei nobili, che penzolavano dai loro supporti presso il soffitto. I nobili erano attesi da un giorno all’altro, e nel prepararsi a riceverli il palazzo era in subbuglio. Alcuni dei loro doni erano già stati recapitati alla fanciulla: un falco candido, allevato sui selvaggi picchi di Osterland, dal Nobile di Hel; una spilla d’oro sottile come un’ostia da Map Hwillion, che era troppo povero per permettersi quel genere di spese; e un flauto di legno lucido con intarsi d’argento, giunto però senza il nome del mittente, cosa questa che aveva rattristato Raederle, dal momento che chiunque lo avesse mandato era qualcuno che conosceva bene i suoi gusti. Si fermò a fissare l’immobile stendardo di Heclass="underline" una testa di verro con zanne simili a nere mezzelune in campo verde. L’animale sembrava far la guardia al vasto salone coi suoi piccoli occhi feroci. Lei gli restituì lo sguardo, a braccia conserte, poi improvvisamente si volse e andò a cercare suo padre.

Lo trovò nelle sue stanze, che discuteva col suo Erede. Stavano parlando a voce bassa, e quando lei entrò tacquero, ma la fanciulla notò il rossore che imporporava gli zigomi di Duac. Nel chiaro arco delle sue sopracciglia e negli occhi color del mare egli portava il marchio del selvaggio sangue di Ylon, ma la sua pazienza con Mathom quando tutti gli altri avevano esaurito la loro era considerata fenomenale. Lei si domandò cosa Mathom gli avesse detto, per farlo irritare tanto.

Il Re le girò addosso i suoi occhi severi da vecchio corvo, e la ragazza, poiché al mattino gli umori di lui erano imprevedibili, gli si rivolse con voce mielata: — Padre, desidero recarmi in Aum a far visita a Mara Croeg per un paio di settimane, col vostro permesso. Potrei far preparare i bagagli e partire entro domani. Sono rimasta qui ad Anuin tutto l’inverno, e mi sento… e ho bisogno di cambiare aria.

Gli occhi di lui non mutarono minimamente espressione. — No — si limitò a dire. E si volse a prendere il suo boccale di vino.

Irritata lei fissò le sue spalle, e rinunciò al tono garbato scartandolo come una scarpa vecchia. — Benissimo! Io non ho intenzione di starmene qui mentre la gente chiacchiera di me come se valutassero una mucca di razza di Aum. Sapete chi mi ha mandato un regalo? Map Hwillion. Mi sembra ieri quando sghignazzava alle mie spalle perché ero caduta da un pero. Adesso ha l’età di farsi la sua prima barba, ha avuto quella catapecchia vecchia di ottocento anni col tetto che fa acqua, e si è convinto di volermi sposare. Voi siete quello che mi ha promessa al Principe di Hed; non potreste dare un taglio a tutto questo? Preferirei ascoltare i guardiani di porci di Hel durante una bufera, piuttosto che un altro concilio primaverile dove v’interrogano su quello che volete farne di me.

— E io anche — mormorò Duac. Mathom li fissò entrambi. I suoi capelli erano diventati grigi quasi nello spazio di una notte; la sofferenza per la morte di Cyone gli aveva scavato il volto, ma non aveva peggiorato né migliorato il suo carattere.

— E cos’altro vorresti che dicessi loro — sbottò, — se non quello che ripeto da diciannove anni a questa parte? Io ho fatto un voto, legandomi ad esso per la vita, di maritarti all’uomo che avrebbe vinto la gara di enigmi contro Peven. Se vuoi abbandonare la tua casa e andare a vivere con Map Hwillion sotto il suo tetto sfondato, non posso fermarti… e loro lo sanno.

— Io non voglio affatto sposare Map Hwillion — ribatté lei, esasperata. — Preferirei sposare il Principe di Hed… se non fosse per il fatto che non sono più certa di sapere chi sia, e che nessuno sa dove si trovi. Sono stanca di aspettare; sono stanca di questa casa; sono stanca d’ascoltare il Nobile di Hel che mi dice che sono stata ignorata e insultata dal Principe di Hed. Voglio andare per qualche giorno in Aum da Mara Croeg, e non capisco come voi possiate rifiutare una richiesta così semplice e ragionevole!

Ci fu una pausa di silenzio, durante la quale Mathom osservò il vino nel fondo del suo boccale. La sua faccia aveva assunto un’espressione imperscrutabile. Poi appoggiò il boccale sul tavolo e disse: — Se ne hai voglia, ti consento di andare a Caithnard.

La bocca di lei si aprì per lo stupore. — Posso andare? A far visita a Rood? Se c’è una nave che… — Ma Duac la interruppe abbattendo le mani sul tavolo con un tonfo che fece oscillare i boccali.

— No!

Lei lo fissò attonita, e il giovane strinse i pugni. I suoi occhi si volsero a Mathom, sottili come due fessure. — Nostro padre ha appena chiesto anche a me di andare là. Vuole Rood a casa. Ma ho rifiutato.

— Rood? Io non capisco.

Con un brusco movimento che fece oscillare le sue larghe maniche Mathom si scostò dalla finestra. — Fra voi e i membri del concilio, attorno non ho che gente buona soltanto a borbottare e starnazzare. Voglio che Rood si prenda una vacanza dai suoi studi, e rientri ad Anuin per qualche tempo. Prenderà meglio la notizia se a dirglielo sei tu o Duac.

— Diglielo tu! — replicò Duac, testardo. Sotto lo sguardo del Re chinò il capo, ma si aggrappò ai braccioli della sedia come per impedirsi di perdere la pazienza. — E poi, vuoi essere così gentile da farmi capire il perché? Rood ha appena preso il Rosso dell’Apprendistato; se continua prenderà il Nero a un’età inferiore di qualunque altro Maestro. Sta facendo un buon lavoro là; rifiuterà l’idea d’interrompersi.

— Nel mondo esistono più enigmi di quanti ce ne siano fra le mura della Scuola di Caithnard, in quei libri chiusi da serrature di ferro.

— Sì. Io non ho studiato coi Maestri degli Enigmi, però so che neppure tu puoi rispondere a tutti gli enigmi conosciuti. Lui sta soltanto facendo del suo meglio. Cosa pretenderesti da Rood? Che andasse a perdersi anche lui verso il Monte Erlenstar, come il Principe di Hed?

— No. Lo voglio qui.

— Perché, in nome di Hel? Hai in programma di morire o qualcosa del genere?

— Duac! — ansimò Raederle, ma lui fissava cocciutamente il Re in attesa di una risposta. La fanciulla captò, al di là dell’ira e dell’ostinazione di entrambi, il legame che li univa in modo sottile e indefinibile. Il silenzio di Mathom finì per far balzare in piedi Duac, che si volse e uscì dalla stanza. Dietro di lui la porta sbatté così forte che gli stipiti parvero vibrare. — Per le ossa di Madir! Mi piacerebbe leggere in quella miniera di carbone che chiami un cervello! — lo sentirono esclamare.

Raederle sospirò. Si volse al padre, che malgrado la veste sgargiante e inondata di sole appariva oscuro e impenetrabile come l’ombra di un mago nella notte. — Sto già cominciando a odiare la primavera. Io non vi chiedo di spiegarmi tutti gli enigmi del mondo, soltanto il motivo per cui non posso far visita a Mara Croeg mentre Cyn Croeg è qui al concilio.