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— Uno di loro dev’essere il Re — disse, e Tristan la fissò sbigottita.

— Io non posso scendere di qui. Guarda come sono vestita!

— Tristan, tu sei l’Erede di Hed. E una volta che ne siano stati informati potresti essere vestita di frasche oppure d’oro, per quel che importerà loro cos’hai addosso.

— Dovremo portarci dietro le lance? — domandò Imer, confusa. — Lo faremmo, se la Morgol fosse con noi.

Lyra considerò la faccenda blandamente. Ebbe una smorfia. — Io suppongo d’aver disertato. Una lancia in mano a una guardia disonorata non è un simbolo, ma una sfida. Tuttavia, poiché ho la responsabilità di quanto è accaduto, lascio a voi la libertà di decidere il vostro comportamento.

Imer sospirò. — Sai benissimo che avremmo potuto chiuderti in cabina e poi dire a Corbett di riportarci indietro. Abbiamo discusso di questo la prima notte, mentre tu eri di guardia. Tu hai fatto un errore. Di conseguenza ora prenderemo la nostra decisione.

— Imer, per me è diverso! La Morgol potrebbe anche decidere di perdonarmi. Ma tornando a casa voi a cosa andrete incontro?

— Se torneremo a casa portandoti con noi — disse Imer con calma, — la Morgol sarà probabilmente molto più ragionevole di quanto lo sia tu. Voglio dire che preferirebbe sapere che siamo con te, piuttosto che il contrario. — Innervosita accennò oltre le spalle di lei. — Il Re sta venendo a bordo.

Nel girarsi a guardarlo Raederle sentì una mano di Tristan afferrare nervosamente la sua. Al primo impatto la figura del Re appariva formidabile: alto e massiccio, indossava un’armatura finemente intarsiata con disegni a spina di pesce, e sopra di essa portava un pesante mantello azzurro e nero ispessito da ricami in filo d’argento. L’uomo dai capelli bianchi sceso dalla nave da guerra era venuto a bordo con lui. Aveva un occhio solo, con l’iride bianca, e sembrava tener chiuso l’altro quasi per non vedere qualcosa. Raederle sentì che fra loro c’era un legame, simile a quello che avvertiva spesso fra Duac e Mathom, e con un lieve sussulto si rese conto che egli era l’eccentrico Erede del Re di Ymris. Il suo unico occhio buono si puntò sul volto di lei, come se si fosse accorto d’esser stato riconosciuto. Il Re le osservò in silenzio qualche istante, poi disse: — Io sono Hereu Ymris. Questo è il mio Erede, mio fratello Astrin. Il vostro comandante mi ha rivelato la vostra identità, oltre al fatto che state viaggiando in… mmh, circostanze particolari. Mi ha chiesto di darvi una protezione lungo la costa, visto che siamo in guerra e che la sicurezza di passeggeri del vostro rango lo preoccupa molto. Io ho sette navi da guerra che si preparano per salpare, all’alba di domani, verso Meremont. Vi faranno scorta, tornando a sud. Nel frattempo avrò il piacere di accogliervi come gradite ospiti nella mia terra e nella mia casa.

Tacque, in attesa di una risposta. Lyra arrossì un poco, e il suo tono fu brusco: — Bri Corbett vi ha detto che abbiamo sequestrato questa nave? E che noi… che io… che nessuna delle guardie della Morgol agisce col suo permesso? Desidero che sappiate chi sono coloro a cui date ospitalità nella vostra casa.

Negli occhi di lui vi fu un lampo di sorpresa, ma poi annuì e disse cortesemente: — Non avete pensato che quanto state cercando di fare è proprio ciò che, l’anno scorso, molti di noi avrebbero voluto intraprendere? La vostra presenza sarà un onore per la mia casa.

Le ragazze seguirono il Re e il suo Erede giù per la passerella, e vennero presentate all’Alto Nobile di Marcher ed a Tor, l’Alto Nobile di Umber dai capelli ramati, mentre alcuni scudieri portavano altri cavalli. Una volta montate in sella formarono una stanca e poco entusiasta processione alle spalle del Re. Lyra, cavalcando a fianco di Raederle e con gli occhi sulla schiena di Hereu Ymris, sussurrò: — Sette navi da guerra! Non ci lasceranno la minima possibilità. Che succederebbe se tu facessi un intreccio di fili d’oro e lo attaccassi alle loro prue?

— Devo riflettere — mormorò Raederle.

Nella dimora del Re fu assegnata a ciascuna di loro una stanza luminosa e riccamente ammobiliata, dove avrebbero potuto lavarsi e poi riposare. Raederle, preoccupata che Tristan non si sentisse a disagio in quell’ambiente per lei così insolito, restò con la fanciulla e provvide a dare istruzione ai camerieri, finché lei si distese a dormire un po’ grata di avere un letto che non ondeggiasse. Tornata in camera sua si fece il bagno, si lavò la testa dal salmastro, poi sedette davanti alla finestra a pettinarsi e ne approfittò per osservare dall’alto quella città sconosciuta. I quartieri periferici si dissolvevano pian piano verso le case coloniche e i boschi, ed in lontananza i colori vivaci dei frutteti spiccavano malgrado la foschia. Quando però si sporse sul davanzale per guardare verso la costa, ciò che vide la sorprese al punto che il pettine le sfuggì dalle dita finendo nel cortile sottostante.

Era una struttura di pietra, gigantesca e sconcertante, che sorgeva alquanto fuori città a non molta distanza dal mare. Campeggiava laggiù solitaria e imperscrutabile, sulla cima di un colle, quasi a rappresentare con la sua presenza ricordi ormai al di là di ogni ricordo, enigmi di cui non restavano che frammenti illeggibili. Riconobbe le pietre di cui era formata, massicce e dai vividi bellissimi colori. Buona parte di quella costruzione enorme era rovinata, e le pietre apparivano disperse sul colle anche a notevole distanza, quasi che l’avessero scrollata come un albero di mele. La giovane donna deglutì saliva al ricordo delle antiche storie che suo padre le aveva fatto studiare, e le tornò in mente qualcosa che Morgon le aveva accennato in una delle sue lettere. Ricordò la notizia portata da Elieu circa il risveglio, in una profonda caverna del Monte Isig, dei figli dei Signori della Terra. E una sensazione indefinibile fatta di disperata nostalgia, di solitudine e di oscura comprensione scivolò in lei, spaventandola con la sua intensità, al punto che pur non sopportando più la visione di quelle antiche rovine senza nome non fu capace neppure di distoglierne lo sguardo.

Qualcuno bussò alla porta, e si rese improvvisamente conto d’avere gli occhi accecati dalle lacrime, che le erano colate fin sul collo. Strapparsi da quella misteriosa sensazione le costò uno sforzo fisico, e quando il mondo fu tornato solido e reale nelle sue membra restò un tremito di gelo. Il bussare si ripeté. La fanciulla si lavò in fretta il viso, si asciugò e andò ad aprire.

Sulla soglia c’era l’Erede di Ymris, e per qualche ragione imprecisabile il volto strano e l’unico occhio bianco dell’uomo la misero a disagio. Poi s’accorse che non era affatto vecchio, e che le sue rughe erano segni lasciati dal dolore e dalla sopportazione. Astrin esitò. — Sono inopportuno? Vorrei parlare un momento con voi di… di Morgon. Ma posso tornare più tardi.

Lei scosse il capo. — No, vi prego, entrate pure. Stavo soltanto… Io… — Tacque, incapace di trovare le parole e chiedendosi se comunque lui l’avrebbe capita. D’istinto alzò la mano e lo afferrò per un braccio, quasi che stesse per perdere l’equilibrio, e s’accorse che le lacrime tornavano ad accecarla. Mormorò: — La gente dice che voi vivevate fra le rovine di un’altra epoca, che voi conoscete cose ultraterrene. E ci sono cose… ci sono cose che io devo domandarvi.

Lui entrò e chiuse la porta. — Sedetevi — disse, e sistemò una seggiola per lei davanti al caminetto spento. Quando furono seduti entrambi le versò un boccale di vino. Vestito ancora dell’uniforme reale e con la cotta di maglia aveva l’aspetto di un guerriero, ma la sua espressione pensosa rivelava una mentalità di ben altro genere.