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— In voi c’è del potere — disse di punto in bianco. — Lo sapete?

— Lo so… ne ho un poco. Ma ora, credo, dentro di me potrebbe esserci qualcosa che io non ho mai… mai sospettato. Mai! — Bevve un sorso di vino, e riuscì a placare il tremito della voce. — Voi conoscete l’enigma di Oen e di Ylon?

— Sì. — Nel suo occhio buono ci fu un lampo. — Sì — ripeté, sottovoce, — Ylon era un cambiaforma.

Lei chinò il capo come per sfuggire a una fitta di dolore. — Il suo sangue scorre nella dinastia dei Re di An. Per secoli quella vicenda non è stata che una storia triste. Ma ora io voglio… io devo sapere. Lui uscì dal mare, come quel cambiaforma che Lyra vide, quello che per poco non uccise Morgon. I suoi occhi, la sua pelle, e la sua indole selvaggi erano gli stessi. Qualunque sia il potere che io ho, mi viene da Madir. E da Ylon.

Lui restò a lungo in silenzio, riflettendo su quell’antico enigma, mentre lei beveva ogni tanto un sorso tenendo il boccale con mani tremanti. Poi le chiese: — Avete ancora gli occhi rossi. Perché piangevate?

— Quella città morta. Laggiù… qualcosa di me è andato laggiù e ha visto… ha saputo che cos’era un tempo.

L’occhio di lui si fece intenso. La sua voce suonò rauca: — Cos’era?

— Io ero… stavo in una di quelle strade. Era come se fossero i ricordi di qualcun altro dentro di me. Ho avuto paura. Quando siete entrato ho creduto che avreste potuto capire.

— Io non capisco voi come non capivo Morgon. Forse anche voi, come lui, siete una tessera di un grande enigma-mosaico, antico e complicato quanto quella città laggiù su Pian Bocca di Re. Tutto ciò che io so di quelle città sono gli oggetti rotti che vi ho trovato, una vaga traccia del passaggio dei Signori della Terra. Morgon ha dovuto brancolare a tentoni alla ricerca del suo potere, come farete forse anche voi. Che cosa egli possa esser diventato adesso, dopo aver…

— Aspettate! — La voce di lei fu un gemito inarticolato. — Aspettate!

Lui allungò una mano e le tolse il boccale dalle dita prima che i tremiti glielo facessero cadere. Poi le strinse le mani fra le sue, con forza. — Voi non potete credere davvero che sia morto, ne sono certo.

— Ho forse qualche altra scelta? Cosa c’è sull’altra faccia della moneta lanciata in aria? La morte o la vita? La morte o la distruzione della mente ad opera di un terribile potere…

— Chi ha spezzato il potere di quell’incantesimo? Per la prima volta dopo sette secoli i maghi sono di nuovo liberi.

— Questo è stato perché il Portatore di Stelle è morto! Chi lo ha ucciso, adesso non ha più motivo di temere i poteri dei maghi.

— È questo che credete? Lo dicono anche Hereu e Rork Umber. Il mago Aloil è stato un albero a Pian Bocca di Re per settecento anni, finché proprio davanti ai miei occhi è tornato se stesso, sbalordito dal trovarsi libero. Ho potuto parlargli soltanto per poco; mi ha detto che non sapeva cosa ci fosse dietro il suo ritorno alla libertà. Mi guardava con occhi che sembravano aver visto la sua stessa distruzione… Gli ho domandato dove sarebbe andato. Lui ha soltanto riso, ed è svanito. Pochi giorni dopo dei mercanti provenienti da Hed portarono notizia del passaggio del governo della terra al fratello di Morgon, cosa che dev’essere accaduta lo stesso giorno della liberazione di Aloil. Ma io non ho mai creduto che Morgon sia morto.

— E allora cosa… cosa ne è rimasto di lui? Ha perduto tutto ciò che amava, perfino il suo stesso nome. Quando Awn di An, ancora vivo, venne privato del governo della terra, si uccise. Non sopportava di…

— Morgon è già stato una volta una creatura senza nome, quando lo presi in casa mia per curarlo. E trovò di nuovo il suo nome nelle stelle che ha sulla fronte. No, io non credo che sia morto.

— Perché?

— Perché non è questa la risposta che stava cercando.

Lei lo fissò, sorpresa. — Non penserete che potesse avere scelta?

— Sul suo destino? No. Ma lui è il Portatore di Stelle. Il suo destino era quello di sopravvivere, ne sono convinto.

— Lo dite come se fosse una condanna — sussurrò. Lui le lasciò le mani, si alzò e andò alla finestra, lasciando vagare un attimo lo sguardo verso la città in rovina e senza nome.

— Forse. Ma è un errore sottovalutare quel biondo contadino di Hed. — Si girò di scatto. — Ve la sentite di montare a cavallo e venire con me a Pian Bocca di Re, per vedere l’antica città?

— Adesso? Credevo che aveste una guerra da combattere.

Un sorriso inaspettato illuminò il suo volto magro. — L’avevo, finché non ho visto la vostra nave. Lasciatemi respirare fino all’alba di domani, quando vi scorterò fuori da Caerweddin. Quella piana non è un posto sicuro. La moglie di Hereu fu assassinata laggiù. Adesso nessuno salvo me osa andarci, e anch’io devo usare prudenza. Ma voi potreste trovare là qualcosa… una pietra, un manufatto mezzo rotto, che forse parlerebbe alla vostra mente.

Raederle lo seguì alle scuderie, poi salì a cavallo ed Astrin la condusse fuori dalla periferia di Caerweddin, su per le scarpate rocciose che portavano a una vasta pianura un po’ soprelevata rispetto al mare. Il vento dell’est la spazzava senza quasi trovare ostacoli, soffiando fra le pesanti pietre disseminate ovunque e le macerie che il terriccio stava ricoprendo da secoli. Una volta smontata Raederle appoggiò una mano d’impulso su una di quelle pietre; la sentì stranamente liscia sotto i polpastrelli, irretita da sottili venature verde smeraldo.

— È così bella… — Si volse ad Astrin. — È da qui che vengono le pietre della vostra dimora.

— Sì. Qualunque disegno fosse inciso sulla loro superficie quand’erano unite, è andato irrimediabilmente in pezzi. Le pietre erano pesantissime e difficili da rimuovere, ma il Re che volle utilizzarle, Galil Ymris, era un uomo tenace. — D’improvviso si chinò a frugare fra le erbacce e la terra nello spazio fra due alte pietre, e quando si rialzò aveva qualcosa in mano. Ripulì l’oggetto dal terriccio, e il sole ne trasse un debole riflesso bluastro. Raederle lo osservò.

— Che cos’è?

— Non lo so. Un frammento di vetro, o una pietra… talvolta è difficile identificare anche la sola natura fisica degli oggetti che si trovano qui. — Glielo poggiò sul palmo di una mano e le fece chiudere le dita intorno ad esso. — Tenetevelo voi.

Lo esaminò, incuriosita da quei riflessi azzurro scuro. — Voi amate queste grandi rovine di pietra, malgrado tutti i loro pericoli.

— Sì. Questo mi ha procurato la fama d’essere un po’ squinternato, a Ymris. Preferirei restarmene qui a frugare fra queste cose dimenticate, un po’ studioso e un po’ eremita, che portare alla guerra quelle sette navi. Ma la guerra sulla nostra costa meridionale è una vecchia ulcera che ogni tanto fa suppurazione e non guarisce mai. Così Hereu ha bisogno di avermi accanto, anche se sa che in questo luogo io annuso l’esistenza di una risposta vitale. E voi? Cosa annusate qui?

Lei distolse lo sguardo dalla pietra che aveva in mano e osservò la distesa di macerie. Sulla pianura non c’erano altro che quei resti, le erbacce dai riflessi argentei e un isolato boschetto di querce, contorte e disseccate dal vento di mare. Il cielo limpidissimo era una cupola che sembrava messa lì a proteggere un’immensità fatta di niente. Si chiese quale forza sarebbe occorsa per riunire di nuovo quelle pietre disperse, estrarle dal terreno, rimetterle l’una sull’altra e ricostruire qualcosa che doveva essere stato enorme, dotato di un suo scopo, e tale da esser visto fin da grande distanza come un simbolo di potere, bellezza e libertà. Ma le pietre ormai giacevano lì, attanagliate alla terra e immerse nel loro sonno millenario. Lei sussurrò: — Silenzio! — e il vento tacque.