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— Chi era Thanet Ross, e perché suonava un’arpa senza corde?

Lei lo fissò in silenzio, frugando fra i ricordi d’interminabili ore trascorse in gare di enigmi, alla ricerca di quella risposta. Poi si girò per uscire. Prima che la porta sbattesse ancora una volta, alle sue spalle, fece in tempo a sentirlo brontolare: — E stai alla larga da Hel!

Trovò Duac in biblioteca, che guardava fuori dalla finestra. Gli andò accanto e si appoggiò al davanzale, lasciando vagare lo sguardo giù verso la città che dal fianco della collina s’abbassava sempre più e si allargava intorno ai moli del porto. Alcune navi mercantili, le cui vele s’abbassavano piano piano agitandosi al vento, stavano sfruttando la marea di metà mattino per avvicinarsi agli approdi. Un paio di splendidi vascelli avevano la vela bianca e verde di Danan Isig, il Re che governava sul Monte Isig, e in lei sorse la speranza che quel nordico regno avesse mandato anche qualche notizia, oltre alle sue belle navi. Al suo fianco Duac si rilassò, mentre la tranquillità dell’antica biblioteca col suo odore di chiuso, di cera e di copertine di ferro riportava alla calma la sua espressione. Il giovane mormorò: — È il più testardo, incomprensibile, esasperante individuo che ci sia nelle Tre Parti di An.

— Lo so.

— Ha qualcosa in testa. C’è qualcosa che ronza dietro quei suoi occhi come un incantesimo oscuro… e mi preoccupa. Se dovessi scegliere se fare un passo alla cieca verso un precipizio con lui, e passeggiare in un giardino coi più previdenti Nobili di An, chiuderei gli occhi e farei quel passo. Ma cos’è che ha in mente?

— Non so dirtelo. — La fanciulla si passò una mano sulla fronte. — E non so perché ad un tratto ci vuole tutti e tre qui a casa. Gli ho chiesto perché non posso partire, e lui mi ha domandato perché Thanet Ross suonava un’arpa senza corde.

— Chi? — Duac la fissò. — E come poteva… Perché costui suonava un’arpa priva di corde?

— Per la stessa ragione per cui camminava all’indietro, e si radeva i capelli anziché la barba. Per nessuna ragione, salvo quella che era una cosa senza ragione. Era un uomo triste, e fu camminando all’indietro che morì.

— Ah!

— Stava camminando a ritroso, per nessuna ragione, e cadde in un fiume. Nessuno lo rivide mai più, ma la gente lo diede per morto semplicemente perché non ci sarebbe stata nessuna ragione che…

— Va bene, va bene — protestò lui con un sospiro. — Sembra che questa storiella abbia per protagonista lui. Sai a chi alludo.

Lei sorrise. — Vedi che educazione hai trascurato di farti, poiché non eri destinato a sposare qualcuno esperto in enigmi?

— Poi il suo sorriso si spense, e abbassò la testa. — Talvolta mi sento come se stessi aspettando dal nord la conclusione di una favola, e che a portarmela debbano essere le acque delle nevi che si sciolgono in primavera… Poi mi torna a mente quand’era un Novizio, a Caithnard, e si divertiva a pormi la grossa conchiglia all’orecchio, per farmi sentire la voce del mare e… Duac, è a questo modo che mi è entrato dentro la paura per lui. È stato via tanto tempo, e da allora in tutto il reame non si è udita più neppure l’arpa dell’arpista del Supremo. Di certo il Supremo non avrebbe mai tenuto Morgon lontano così a lungo dalla sua terra. Temo che sia loro accaduto qualcosa, sul Passo Isig.

— Per quanto se ne sa, il governo della terra non è ancora passato da Morgon a suo fratello — cercò di confortarla Duac, ma lei fu scossa da un brivido.

— E allora dove può essere? Dopotutto, potrebbe pur mandare un messaggio alla sua terra natale. I mercanti dicono che ogni volta che fanno scalo a Tol trovano là Eliard e Tristan, in attesa sul molo e speranzosi di qualche notizia. Neppure a Isig, con tutto ciò che dicono gli sia successo là, ha fatto avere sue nuove. Raccontano che ora abbia sulle mani cicatrici a forma di corna di vesta, e che possa assumere la forma-albero…

Duac si guardò le palme delle mani quasi che si aspettasse di vedere cicatrici anche sulle sue. — L’ho sentito dire… ma la cosa più semplice sarebbe di andare al Monte Erlenstar a domandare al Supremo dov’è. Siamo in primavera; il Passo è transitabile. Eliard potrebbe farlo.

— Lasciare Hed? Lui è l’Erede della terra di Morgon; la gente non lo lascerebbe partire.

— Forse. Ma si dice che negli isolani di Hed ci sia una vena di cocciutaggine lunga come il naso di una strega. Potrebbe provarci. — D’un tratto si volse verso la periferia della città; i suoi occhi si fissarono su una doppia fila di cavalieri che in lontananza s’avvicinavano lungo i campi. — Eccoli che arrivano. In pompa magna.

— Chi è?

— Non riesco a… vedo dell’azzurro. Azzurro, con dietro delle vesti nere; dev’essere Cyn Croeg. E sembra che abbia incontrato qualcuno che porta il verde.

— Hel?

— No. Verde e crema, con un seguito piuttosto ridotto.

Lei sospirò. — Map Hwillion.

Dopo che Duac fu uscito per andare ad avvertirne Mathom lei restò alla finestra, osservando i cavalieri che svoltavano attraverso i frutteti i cui rami, neri e spogli, sembravano artigliare i vivaci colori delle loro vesti. Riapparvero di nuovo oltre l’angolo delle mura della città vecchia, e lì girarono sulla strada principale che serpeggiava fra gli antichi quartieri, il mercato, le botteghe e l’affastellarsi di case popolari, le cui finestre si sarebbero aperte al loro passaggio, piene di occhi curiosi. Prima ancora che i viaggiatori sparissero fra i tetti delle case, lei aveva deciso cosa fare.

Tre giorni dopo era seduta sotto una quercia con la guardiana dei porci del Nobile di Hel, intrecciando cestelli con strisce di paglia dura. Era un pomeriggio tranquillo, e tutto intorno si udivano i grugniti e lo scalpiccio del grosso branco di porci, che frugavano fra le radici e i cespugli all’ombra delle querce. La guardiana, di cui nessuno s’era mai preoccupato di conoscere il nome, stava fumando una pipa con aria pensierosa. Era una donna alta e ossuta, robusta, con disordinati capelli grigiastri ed occhi color del ferro; badava ai maiali da tanto tempo che nessuno lo ricordava più. Erano imparentate alla lontana, lei e Raederle, attraverso la discendenza della strega Madir, sebbene quel legame fosse così impreciso che non erano mai riuscite a definirlo. Il talento personale della donna era qualcosa che riguardava l’allevamento dei maiali. Verso la gente era scorbutica e scostante. Ma anni addietro la bella e orgogliosa Cyone, che da Madir aveva ereditato l’interesse verso l’allevamento dei maiali, era divenuta amica di quella creatura taciturna. E tuttavia neppure Cyone aveva saputo ciò che Raederle aveva scoperto in seguito, ovvero lo strano miscuglio di antica saggezza, talenti e intuizioni che la guardiana dei porci sembrava aver ereditato direttamente dalla strega Madir.

Raederle infilò un’altra lunga striscia di paglia nel cestello e cominciò a piegarla e intrecciarla lungo l’orlo quadrangolare. — Sto facendo bene, così?

La guardiana dei porci allungò una mano a palpeggiare l’intreccio e annuì. — È così compatto che potresti quasi tenerci l’acqua, come in un secchio — disse con la sua voce rauca e placida. — Per tornare a quel che dicevamo, stavo pensando che il Re Oen aveva un contadino, guardiano di porci anch’egli, e che Madir potrebbe aver avuto una relazione con costui.

— Credevo che fosse innamorata di Oen.

La donna la fissò stupita. — Dopo che aveva costruito quella torre per rinchiudercela dentro? Sei stata tu stessa a dirmi questo. Inoltre lui aveva una moglie. — Ebbe un gesto vago con la mano in cui reggeva la pipa, spandendo il fumo attorno. — Forse ho parlato senza pensare.

— Nessun Re di cui io abbia sentito raccontare ha mai sposato Madir — disse Raederle, continuando a lavorare. — Eppure un po’ del suo sangue è andato nella discendenza dei Re. Lei visse circa duecento anni, e in quel periodo ci furono sette Re. Penso che potremmo escludere Fenel, che fu troppo occupato a combattere per mettere al mondo un erede, anche solo un bastardo. — Si strinse nelle spalle. — È possibile che tu discenda da uno degli altri Re, se Madir ha avuto una relazione segreta con qualcuno di loro.