Raederle, che scrutava le loro espressioni, non riuscì a capire chi fosse il più sorpreso fra Tristan e Astrin. Poi la fanciulla, che già aveva aperto la bocca per protestare, s’accorse della presenza di Raederle e un lampo d’indignata comprensione le balenò negli occhi. Prima che potesse dir qualcosa, Astrin si fece avanti: — Occorreranno due giorni per l’andata, e un altro giorno per tornare dinnanzi a Meremont… e tu hai bisogno di questa nave per la sorveglianza costiera!
— Per tre giorni posso farne a meno. Se i ribelli hanno mandato a chiedere carichi di armi essi verranno dal nord, e potrò cercare di intercettarli all’altezza di Caerweddin.
— Le armi — puntualizzò Astrin, — non sono l’unica cosa che i ribelli stanno aspettando. — Spostò lo sguardo dal volto di Hereu a quello di Raederle. — Di chi è stata questa idea?
— La decisione l’ho presa io — disse Hereu, spiccio. E al suo tono Tristan, che aveva di nuovo aperto bocca, la richiuse con una smorfia.
Astrin continuava a scrutare Raederle, fra insospettito e perplesso. Infine si volse a Hereu. — Va bene. Quando sarò di nuovo davanti a Meremont ti farò avere un rapporto.
— Ti ringrazio. — Il Re gli poggiò una mano su una spalla. — Sii cauto.
Raederle salì a bordo e s’incamminò fino a prua, mentre alle sue spalle la voce di Bri Corbett risuonava in ordini misti a colorite imprecazioni diretti alla ciurma. La prima delle navi da guerra salpò verso il centro del fiume spiegando le vele come un enorme uccello scuro. La brezza si rafforzava, facendo roteare refoli di nebbia sulle placide acque grigie, ed i primi raggi del sole ruppero la foschia schiarendo le alte mura della dimora del Re.
Lyra venne alla balaustra a fianco di Raederle. Nessuna delle due disse parola. La nave che aveva a bordo Tristan scivolò avanti oltre la loro, e Raederle vide sulla poppa la figura di Astrin, magro e bianco come un fantasma, intento a controllare la posizione delle altre navi che salpavano dietro la sua. Bri Corbett, sapendo d’avere lo scafo più goffo e lento, si mise in coda alla flottiglia, mentre sulle vele già spiegate al massimo cominciava a risplendere il sole.
Bri Corbett si accostò al timoniere. — Tienti pronto a invertire la rotta appena ti faccio un cenno. Se quelle navi riusciranno a virare di bordo e a circondarci in mare aperto, ci converrà raggiungere la riva a nuoto e filarcela a piedi verso Kraal. E questo è proprio ciò che intendo fare se ci fermeranno, perché dopo che sarò passato per le mani di Hereu e di Astrin Ymris potrò prendere quel che resta della mia reputazione e aprire una bancherella di pesce nel porto di Anuin.
— Non preoccupatevi — mormorò Raederle. La piccola pietra luccicava come un gioiello fra le sue dita. — Corbett, è necessario che io lasci questo oggetto a galla sul mare dietro di noi, o ci accecherà tutti. Avete un pezzo di legno o qualcos’altro?
— Vi troverò un legno. — Il tranquillo fruscio della marea che entrava nell’estuario sembrava volerli rassicurare. L’uomo alzò lo sguardo oltre la prua. La prima delle altre navi stava già uscendo in mare aperto. Innervosito studiò la forza del vento salmastro che gonfiava le vele. — Vi troverò qualcosa. Voi fate ciò che dovete fare, qualunque cosa sia.
Raederle abbassò gli occhi sulla pietra. Ripulita dal terriccio si mostrava di forma misteriosamente regolare, con una dozzina di sfaccettature lungo il bordo. Di nuovo si chiese cosa mai avesse potuto essere, e scoprì di poterla immaginare come il castone di un grosso anello, o addirittura la gemma frontale di qualche antichissima e strana corona, o il pomello di un pugnale magico e prezioso che in presenza di un pericolo si scuriva per avvertire il suo proprietario. Ma cose simili erano davvero state in possesso dei Signori della Terra? E poi, era veramente appartenuto a loro oppure a perderlo era stato una cortigiana di Ymris durante una cavalcata? O era caduto dalla borsa di un mercante che stava tagliando per Pian Bocca di Re, diretto a Isig? Se bastava un debole raggio di sole per farlo brillare sul suo palmo, era certa che l’illusione creata da esso avrebbe trasformato il mare in una distesa ardente, tale da accecare chiunque se pure qualcuno avesse osato avventurarvisi. Ma che oggetto era in realtà?
I suoi riflessi le penetrarono negli occhi accendendo qualcosa nelle profondità della mente, scacciandone i sogni e le preoccupazioni. D’improvviso in lei nacque nitida l’immagine della grande piana dove lo aveva trovato, costellata di rovine simili a corrosi monumenti funebri che vegliavano le ossa di un popolo scomparso. Vide il sole del mattino scivolare lungo la venatura colorata di una di quelle pietre massicce, e fermarsi sullo spigolo come un minuscolo bagliore d’argento. Con lo sguardo della mente fissò quel nodo di luce, trascinandovi sopra altra luce attraverso l’intreccio di venature, e sul palmo della sua mano nacque un bagliore. La nutrì con quella che i suoi pensieri vedevano spandersi sulle rovine e scacciarne le ombre, e il calore di quella luminosità le riempì la mano, le scaldò il volto, le penetrò il sottile sipario delle palpebre chiuse. Adesso l’immagine della piana era invasa da un candore abbagliante che le saturava la mente, divorava i contorni delle rovine, si spandeva nel cielo come dentro di lei, sfavillando in modo insopportabile. Come da una distanza enorme udì Bri Corbett protestare qualcosa con voce sbigottita. La luce della piana divenne un sole che le bruciava i pensieri e le attraversava la mente, riversandosi nella mano in un fiotto improvviso. Alle sue spalle si levarono grida, commenti stupefatti e rauche esclamazioni inarticolate. La nave beccheggiò, facendola vacillare, e per cercare qualcosa a cui aggrapparsi fu costretta a riaprire gli occhi; il bagliore che le scaldava la faccia le penetrò come un pugnale nelle pupille.
— Va bene! — rantolò Corbett. — Va bene, l’avete fatto. Ora mettetelo qui dentro. Questo gli permetterà di galleggiare. — L’uomo teneva il volto girato e gli occhi quasi chiusi, cercando a tentoni di afferrarla per un polso.
La fanciulla si lasciò guidare dalla mano di lui, e udì il ticchettio della pietra che rotolava nella ciotola di legno trovata da Corbett. I marinai usarono una piccola rete per lasciare l’oggetto a galla oltre la poppa, non appena il timoniere ebbe fatto rotta a nord, e parve che stessero calando in mare il sole, fra loro e il resto della flotta. La ciotola s’allontanò ondeggiando dolcemente nella scia. Ma l’oggetto non era uscito dalla mente di Raederle: roteava in lei come un vortice di luce, sfaccettatura dopo sfaccettatura, guizzando di linee e di superfici, finché le parve che il suo cervello fosse diventato una gemma all’interno delle ossa del cranio, e guardando dentro di esso cominciò a intuire la natura di quella pietra.
Ciò che vedeva si solidificò nella figura di un uomo, in piedi come dinnanzi a lei; e sulla sua mano destra c’era la pietra. L’individuo si trovava al centro di una spianata, in un luogo indefinibile e in un tempo indefinibile, e mentre la pietra brillava sul suo palmo tutto ciò che aveva l’impressione di scorgere attorno con la coda dell’occhio parve muoversi, confluendo verso quel centro. L’uomo era un perfetto sconosciuto per lei, e tuttavia provò la strana certezza che un solo gesto di lui, un solo particolare del suo volto se avesse appena alzato la testa, le avrebbe rivelato la sua identità. Incuriosita attese che questo accadesse, fissando lui come egli fissava la pietra, perduto in quel momento senza tempo della sua esistenza. Ed ad un tratto Raederle avvertì la presenza di una mente sconosciuta entro la propria, una mente che guardava e attendeva come lei.
La curiosità di quell’entità aliena era bramosa, disperata, pericolosa. Cercò di scacciarla, spaurita, ma la sconvolgente certezza di avere una mente estranea dentro la sua si fece ancor più netta. Seppe che l’entità agognava anch’essa un movimento dell’uomo, uno scatto delle dita o l’alzarsi del capo, per apprendere come lei la sua identità. Al pensiero di quel riconoscimento provò un terrore istintivo e irragionevole: non voleva apprendere il nome dello sconosciuto per poi rivelarlo a quell’entità oscura in attesa dentro di lei. Fece uno sforzo terribile per cancellare l’immagine dell’uomo dalla sua mente prima che egli si muovesse. Ma l’entità stregonesca glielo impedì: non riuscì a scacciare né a modificare l’immagine, come se quelli della sua mente fossero occhi senza palpebre costretti a fissare il cuore stesso di un impenetrabile mistero. Poi davanti a lei balenò una mano, e uno schiaffo secco e duro le fece girare la testa di lato. Vacillò indietro e cadde fra due braccia robuste che la sostennero.