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— Forse — disse Danan, ma il suo tono fu di nuovo duro. — Ma le stelle che sono sulla fronte di Morgon hanno origine da qualcosa che accadde qui fra queste montagne; e le stelle sulla sua spada e sull’arpa furono intagliate anch’esse qui un migliaio d’anni prima della sua nascita. Noi stiamo toccando la soglia del nostro destino, e forse il massimo che possiamo sperare è di intuirne vagamente i termini. Io ho scelto di mettere tutte le mie speranze in quelle stelle, e in quel Portatore di Stelle di Hed. Per questo motivo, e su sua richiesta, io non accoglierò più l’arpista del Supremo nella mia casa, e non gli permetterò di mettere piede entro i confini della mia terra. Ho diramato quest’ordine al mio popolo, e anche ai mercanti perché lo trasmettano altrove.

Lyra si volse. Non aveva pianto, ma il suo volto era pallidissimo. — Dov’è lui? Morgon, intendo.

— Mi ha detto che stava andando a Yrye, per parlare con Hàr. Sulle sue tracce ci sono i cambiaforma; è costretto a spostarsi incessantemente da luogo a luogo, ed a mutare forma di continuo per non essere identificato. Quando quella notte a mezzanotte uscì dalla soglia della mia casa, svanì all’istante… un refolo di cenere, un piccolo animale notturno… non so che forma abbia preso. — Tacque un poco, poi aggiunse stancamente: — Gli ho detto di lasciar perdere Deth, visto che i maghi cercheranno sicuramente di ucciderlo, e poiché ha da contrastare i più terribili poteri che esistano al mondo. Ma lui mi ha risposto che talvolta, mentre giaceva esausto in quel luogo, con la mente vuota, quasi distrutto dai continui assalti di Ghisteslwchlohm, aggrappandosi come a un’ancora di salvezza alla sua stessa disperazione poiché non aveva altro che gli appartenesse, poteva sentire Deth che componeva nuove canzoni sulla sua arpa… Ghisteslwchlohm, i cambiaforma, questi poteva in qualche modo almeno capirli. Ma non Deth. Morgon è stato profondamente ferito, ed è amareggiato…

— Credevo che aveste detto che stava bene — sussurrò Tristan. Strinse i denti. — Da che parte è Yrye?

— Oh, no! — stabilì con energia Corbett. — No. Inoltre a quest’ora lui avrà di certo già lasciato Yrye. Nessuna di voi farà un passo più a nord. Ci imbarcheremo e andremo dritti giù per l’Inverno fino al mare, e poi a casa. Tutti quanti. In questa storia c’è qualcosa che puzza più di una stiva piena di pesci marci.

Nella stanza ci fu una pausa di silenzio. Tristan teneva il capo chino, ma nella linea della sua mandibola Raederle lesse un’incrollabile testardaggine. Lyra voltava loro le spalle, e la sua schiena rigida sembrava parlare con altrettanta chiarezza. Corbett prese il loro silenzio per un assenso e sorrise soddisfatto.

Prima che una delle due ragazze aprisse bocca per distruggere le sue illusioni, Raederle cambiò argomento: — Danan, mio padre ha lasciato An oltre un mese fa in forma di corvo, con lo scopo di scoprire chi aveva ucciso il Portatore di Stelle. Avete avuto notizie di lui? Penso che fosse diretto al Monte Erlenstar; potrebbe essere passato di qui.

— Un corvo!

— Ecco, lui… lui è qualcosa di simile a un cambiaforma.

Danan s’era accigliato. — No. Mi spiace. Voleva andare direttamente al Monte Erlenstar?

— Non lo so. È sempre stato difficile dire cosa intendesse fare. Ma perché? Certo Ghisteslwchlohm non sarà ancora in agguato da qualche parte, là sul Passo. — Nella sua mente tornarono le immagini delle grigie e silenziose acque del Fiume Inverno, che scendevano dal Passo trascinando orride cose informi e morte nei loro gorghi. Qualcosa le chiuse la gola. Sussurrò: — Danan, io non capisco. Se Deth è stato con Ghisteslwchlohm per tutto quest’anno, perché il Supremo non ci ha avvertiti di questo tradimento? Se adesso io vi dicessi che domani intendiamo partire, attraversare il Passo e recarci al Monte Erlenstar a parlare col Supremo, voi quale avvertimento avreste da darci?

L’uomo alzò una mano come per placarla. — Tornate a casa — disse dolcemente. Ma evitò di guardarla negli occhi. — Lasciate che Bri Corbett vi riporti a casa vostra.

Quella notte, dopo che ebbero parlato a lungo, ciascuno fu condotto in una stanza della torre di Vert, la figlia di Danan, ma Raederle restò seduta a pensare. Le spesse mura di pietra erano fredde; sulle montagne la primavera non aveva ancora scacciato i rigori dell’inverno, e lei aveva acceso un po’ di fuoco nel caminetto. Con le braccia strette intorno alle ginocchia fissò lo sguardo nel fuoco. Le fiammelle guizzavano nei suoi occhi come pensieri. I frammenti delle sue conoscenze erano le scintille che scoppiettavano fuori dalle braci; nascevano informi, balenavano un attimo e sparivano di nuovo nell’informità. In qualche luogo della sua mente, lo sentiva, legati per sempre alla sua memoria, c’erano i figli morti dei Signori della Terra; il fuoco che le illuminava le mani avrebbe potuto estrarli dalla loro oscurità, ma non sarebbe riuscito a render loro il calore della vita. Le stelle che erano state concepite nella stessa tenebra, che erano state portate alla luce e forgiate nella loro forma finale nella casa di Danan Isig, bruciavano dinnanzi a lei come domande, ma non le offrivano alcuna risposta su quale fosse il loro posto nel grande mosaico degli avvenimenti. Nei suoi ricordi erano oggetti sconosciuti che si limitavano a splendere, come la pietra che Astrin le aveva dato. Di nuovo rivide il volto misterioso che era stato sul punto di sollevarsi, di rivelare la sua identità. Un’altra faccia scivolò sullo schermo della sua mente, quella riservata e altera dell’arpista che aveva aiutato le sue dita incerte a poggiarsi sul suo primo flauto, che con la sua arpa senza eguali e la sua perspicacia era stato per secoli l’emissario del Supremo. Quella faccia era stata soltanto una maschera: l’amico che aveva fatto da guida a Morgon fuori dalla sua isola, portandolo verso la sua distruzione, era stato per secoli null’altro che uno sconosciuto.

Ebbe un brivido. Le fiammelle si abbassarono e tornarono a rialzarsi. Le cose non quadravano, niente le sembrava logico. Le tornò in mente la storia di Ylon e dell’arpa che l’aveva chiamato al mare, quel mare da cui lei stessa e Mathom avevano ricevuto doni di potere, e da cui per poco Morgon non aveva ricevuto in dono la morte. Qualcosa in lei era nato come un ricordo capace di farla piangere, alla vista delle rovine di una città a Pian Bocca di Re; qualcosa in lei aveva strappato via la sua mente dalla pericolosa conoscenza contenuta in una pietruzza azzurra. Morgon aveva cavalcato verso la dimora del Supremo, e l’arpista aveva fatto terminare nell’orrore la sua strada. Un mago aveva estorto dalla sua mente un diritto che gli spettava per nascita, quello del governo della terra, che soltanto il Supremo avrebbe potuto manomettere, e il Supremo non aveva fatto nulla. La fanciulla chiuse gli occhi, sentendo una goccia di sudore scivolarle lungo una tempia. Deth aveva agito in nome del Supremo per cinque secoli, e in quei secoli il reame gli aveva dato la più assoluta fiducia. Seguendo un suo disegno personale, commettendo un atto inconcepibile e senza precedenti, aveva cospirato per distruggere un governatore della terra. Nell’antichità il Supremo, dinnanzi a progetti di quel genere soltanto accennati, aveva distribuito la sua condanna e la morte sui colpevoli. Perché dunque non aveva agito contro l’uomo che aveva tradito tanto lui quanto il Principe di Hed? Perché non aveva agito contro Ghisteslwchlohm? Perché… Riaprì gli occhi, il fuoco la abbagliò, costringendola a sbattere le palpebre, e la stanza le parve piena di fiamme. Perché Ghisteslwchlohm, che avrebbe avuto l’intero entroterra del reame per nascondersi, aveva fatto condurre Morgon verso il Monte Erlenstar? Perché, mentre Deth suonava per se stesso vicino al luogo dove Morgon languiva disperato, il Supremo non aveva udito la musica di quell’arpa? Oppure l’aveva udita?