Poi disse, con voce così lieve che lei non trasalì neppure: — Mi sarei potuto aspettare che a comparire di notte presso il mio fuoco fosse Morgon, o uno qualsiasi dei cinque maghi, ma ben difficilmente la seconda donna più bella della lontana An.
Lei si contemplò distrattamente le mani e le ginocchia. — Non sono più molto all’altezza di questo titolo. — Un attimo di sofferenza la costrinse a deglutire saliva. Abbassò la ciotola di carne e sussurrò: — Anch’io ho cambiato forma. E anche tu.
— Io sono sempre stato me stesso.
Lei osservò quel volto fine, elusivo, trovandovi l’insolita ombra di un sorrisetto scherzoso. Allora chiese, benché sia le domande che le risposte le apparissero remote, addirittura impersonali: — E il Supremo? Per chi hai suonato la tua arpa in questi lunghi secoli?
Lui si piegò in avanti così bruscamente da far oscillare il fuoco. — Sai quali domande formulare, dunque conosci le risposte. Il passato è passato. Io non ho alcun futuro.
Lei si schiarì la gola. — Perché? Perché hai tradito il Portatore di Stelle?
— È una gara di enigmi, questa? Ti darò risposta per risposta.
— No. Non c’è nessuna gara.
Fra loro cadde ancora il silenzio. La giovane bevve, e mentre il vino e il calore del fuoco riportavano la vita nelle sue membra avvertì il dolore dei graffi e delle contusioni. Quando il suo boccale fu vuoto lui glielo riempì di nuovo. Per qualche motivo, forse perché entrambi sedevano avvolti in un alone di tristezza, si sentì più a suo agio e infine mormorò: — Lui ha già ucciso un arpista.
— Cosa?
— Morgon. — Strinse le spalle, come per scacciare il brivido che al ricordo di quella oscura nostalgia l’aveva pervasa. — Il padre di Ylon. Morgon ha ucciso il padre di Ylon.
— Ylon — ripeté lui in tono strano, costringendola a fissarlo sorpresa. Poi ebbe una risata, stringendo forte il boccale fra le dita. — Così è stato questo a spingerti fuori nella notte. E tu credi che, in mezzo a questo caos, la cosa abbia qualche importanza?
— Ha importanza! Io ho ereditato un potere dai cambiaforma… posso sentirlo! Se toccassi il fuoco, potrei prenderlo e tenerlo chiuso nella mia mano. Guarda… — Qualcosa, il vino, la disperazione, l’indifferenza di lui, la rese avventata. Allungò una mano, curvandola in una lenta carezza sopra un’ardente lingua di fiamma. Il fuoco si rifletteva negli occhi di Deth, la luce si spezzava nelle linee e nelle cavità del macigno alle sue spalle, si allargava a sciogliere gli intrecci dei rami che il buio aveva annodato in una massa amorfa. Lasciò che i bagliori del fuoco penetrassero nei suoi pensieri, riempiendoli di colore e di movimento, saturandoli col suo svanire e rinascere di guizzi che erano fatti di niente e di mistero. Il fuoco era una creatura aliena che divorava le tenebre e se ne nutriva, mai sazio, mai uguale a se stesso. Il suo linguaggio era più antico della storia degli uomini. Era un cambiaforma, e mentre lo guardava le scivolava nella mente brancolando alla ricerca di una forma, abbacinandole le pupille finché tutto ciò che si vide intorno fu fuoco: fuoco le pietre, fuoco gli alberi, fuoco le foglie che scintillavano come lacrime di luce sul terreno di fuoco. E dal profondo della sua anima, scaturendo dal segreto di un’eredità inumana addormentata in lei, balzò fuori la viva consapevolezza di una conoscenza occulta. La sfavillante realtà senza parole che era la pura nozione del fuoco la pervase; il suo morbido crepitio divenne un linguaggio, il suo incessante ondeggiare uno scopo, il suo colore il colore del mondo, il colore della sua mente. Toccò la fiamma, allora, e la sollevò sul palmo della mano come un fiore. — Guarda!… — ansimò. E chiuse le dita intorno ad essa per estinguerla, prima che la sua stessa meraviglia spezzasse il legame che era nato fra loro e le separasse, e la fiamma ferisse la sua carne. La notte ricadde più intensa attorno a loro quando il piccolo fiore di fuoco morì. Vide il volto di Deth rigido e imperscrutabile. Poi l’uomo mosse appena le labbra.
— Un altro enigma — sussurrò.
La fanciulla si sfregò le mani contro le ginocchia, perché malgrado ogni sua attenzione s’era un po’ scottata. Un refolo d’aria fredda proveniente dalle montagne le sfiorò il volto e le schiarì la riente; rabbrividì a un altro ricordo improvviso e disse: — Lei voleva che io prendessi in mano il fuoco, il suo fuoco…
— Lei chi?
— La donna. La donna bruna che fu Eriel Ymris per cinque anni. È venuta a dirmi che siamo della stessa razza, ma io l’avevo già capito.
— Mathom ti ha istruita bene — commentò lui. — Ti ha istruita per fare di te la sposa di un Maestro degli Enigmi.
— Tu eri un Maestro. Lo hai detto a lui, una volta. Sono proprio tanto brava con gli enigmi? Ma a cosa portano, se non alla tristezza e ai tradimenti? Guardati. Tu non hai soltanto tradito Morgon, ma anche mio padre e chiunque altro nel reame aveva fiducia in te. E guarda me. Quale nobile di An sprecherebbe un’oncia di fiato per chiedermi in sposa, se sapesse quale creatura mi ha riconosciuto sua consanguinea?
— Tu stai fuggendo da te stessa, e io sto fuggendo dalla morte. È troppo, per mantenere ancora i principi etici richiesti a un Maestro. Solo un uomo con il cuore e la mente implacabili, freddi come i gioielli sepolti nelle viscere dell’Isig, potrebbe aderire ad essi. E sul valore degli enigmi io presi le mie decisioni cinque secoli fa, quando Ghisteslwchlohm mi convocò al Monte Erlenstar. Pensavo che nulla nel reame avrebbe potuto contrastare il suo potere. Ma ero in errore. Egli si è spezzato i denti contro i rigidi principi etici del Portatore di Stelle, ed è fuggito, lasciandomi solo, senza protezione, senza arpa…
— Dov’è la tua arpa? — domandò lei, stupita.
— Non lo so. Ancora al Monte Erlenstar, presumo. Ora non ho il coraggio di suonarla. È stata l’unica cosa che Morgon ha udito, oltre alla voce di Ghisteslwchlohm, per un anno.
La fanciulla provò la tentazione di alzarsi e fuggire via da lui, ma il suo corpo non volle saperne di muoversi. Quasi in un singhiozzo disse: — La tua musica era un dono per i Re! — Lui non rispose, sollevò il boccale rigirandolo fra le dita e il fuoco ne strappò alcuni riflessi. Quando parlò fu in un sussurro.
— Io ho suonato per la rovina di un Maestro; egli si prenderà la sua vendetta. Ma rimpiango la perdita della mia arpa.
— Come Morgon rimpiange la perdita del governo della terra? — La voce di lei tremava. — Questo m’incuriosisce. Come ha potuto Ghisteslwchlohm strappare da lui quell’istinto… quel legame con la terra, che era noto soltanto a Morgon stesso e al Supremo? Quale frammento di conoscenza il Fondatore si aspettava di trovare, in mezzo alle nozioni di quando l’orzo comincia a germogliare, o di quale albero del frutteto nasconde una malattia nelle radici?
— È cosa fatta. Lascia perdere…
— E come posso? Credevi di tradire soltanto Morgon? — Tu mi hai insegnato a suonare sul flauto «L’amore di Passero e Allodola» quando avevo nove anni. Stavi dietro di me e aiutavi le mie dita di bambina a muoversi sullo strumento. Ma questo è ancora nulla, in confronto a ciò che proveranno i regnanti di tutto il reame, quando ripenseranno agli onori che hanno concesso all’arpista di Ghisteslwchlohm. Hai ferito Lyra, ma cosa proverà la Morgol quando Morgon le racconterà ciò che hai fatto? Tu… — La donna tacque. Deth non s’era mosso, sedeva nella stessa posizione in cui lo aveva trovato li, con la testa china e una mano su un ginocchio, il boccale stretto fra le dita. Lei sentì che in qualche modo l’angoscia che le stava riempiendo l’anima la intorpidiva. Sollevò la testa, annusò l’aria fredda gravida d’odore di pino che spirava dalla parte dell’Isig, si accorse che la notte creava troppe ombre anche dentro di lei. Era lì, rifletté, seduta davanti a un focherello, perduta in quell’immensa tenebra, coi vestiti laceri, i capelli sporchi e spettinati, la faccia graffiata, così malridotta che probabilmente nessun nobile di An l’avrebbe riconosciuta. Aveva messo una mano nel fuoco e lo aveva tenuto fra le dita; qualcosa del suo splendore sembrava ancora bruciarle nella mente. In un sussurro chiese: — Pronuncia il mio nome.