— Raederle.
Anch’ella chinò la testa. Per un poco cercò di rilassarsi, mentre il nome pulsava dentro di lei al ritmo dei battiti del cuore. Infine trasse un profondo respiro. — Sì. Quella donna per poco non me lo ha fatto dimenticare. Sono fuggita da Isig nel mezzo della notte, per cercare Morgon qui nell’entroterra. Sembra sciocco, non è vero, che sperassi di trovarlo in questo modo.
— Un poco.
— E nella dimora di Danan nessun sa se sono viva o morta. Sembra un’azione sconsiderata. Ho dimenticato che, pur avendo i poteri di Ylon, ho tuttavia ancora il mio nome. Quello, da solo, è un potere molto grande. Il potere di vedere…
— Sì. — Finalmente lui sollevò la testa, parve sul punto di portarsi il boccale alle labbra ma poi lo appoggiò con cautela sul terreno. Il sorrisetto ironico non aleggiava più sul suo volto. Vedendola stringersi le ginocchia sul petto disse: — Tu hai freddo. Prendi il mio mantello.
— No.
Un angolo della bocca di lui ebbe un fremito, ma mormorò soltanto: — Cosa sta facendo Lyra sul Monte Isig?
— Eravamo venute per porre al Supremo alcune domande, Lyra, Tristan di Hed e io, ma Danan ci ha detto che Morgon era vivo, e che non era consigliabile che qualcuno valicasse il Passo. Per ore e ore mi sono domandata il perché di questo. E poi, per un giorno e una notte, non ho fatto che pensare a un’altra domanda. Ma non c’è nessuno che possa rispondere, a parte Morgon e te.
— Pensi di poterti fidare della mia risposta?
Lei annuì stancamente. — Io non riesco a capirti più. Il tuo volto sembra cambiare forma ogni volta che ti guardo; ora è quello di uno sconosciuto, ora una faccia che esce dai miei ricordi… Ma chiunque tu sia, tu conosci forse meglio di ogni altro ciò che sta accadendo nel reame. Se Ghisteslwchlohm ha preso il posto del Supremo al Monte Erlenstar, allora dov’è il Supremo? Qualcuno continua a mantenere l’ordine nel reame, questo è chiaro.
— Vero. — Tacque un poco, con una strana piega dura sulle labbra. — Io feci la stessa domanda a Ghisteslwchlohm cinque secoli fa. Lui non seppe rispondermi, cosicché persi interesse alla questione. Adesso, con la morte che mi pende sulla testa, la mia curiosità è ancora minore. Comunque il Supremo, sia dove sia, non pare occuparsi per niente dei problemi del reame.
— Forse non è mai esistito. Forse è una leggenda nata dai misteri della città in rovina, e trasmessa attraverso i secoli finché Ghisteslwchlohm non le ha dato una forma più concreta.
— Una leggenda come quella di Ylon? Talvolta le leggende hanno un modo spiacevole di trasformarsi in verità.
— Allora perché non ti ha impedito di spacciarti per il suo arpista? Dovrebbe esserne stato al corrente di certo.
— Io non lo so. Non c’è dubbio che abbia le sue ragioni. Se la morte mi verrà da lui oppure da Morgon, farà poca differenza. Il risultato non cambierà.
— Non c’è un posto dove tu possa andare? — chiese lei, sorprendendo se stessa quanto lui. Deth scosse il capo.
— Morgon mi precluderà l’accesso a ogni angolo del reame. Anche a Herun. Comunque là non andrei mai, in nessun caso. Sono già stato scacciato da Osterland, tre notti fa, quando mi hanno fatto passare l’Ose. Il Lupo-Re ha parlato ai suoi lupi… un branco di essi mi ha scoperto accampato in una zona remota della sua terra. Non mi hanno toccato, ma mi hanno fatto capire che non ero il benvenuto. Quando la cosa si risaprà a Ymris, sarà lo stesso anche là. E ad An… Il Portatore di Stelle mi costringerà ad andare dove vuole che io vada. Ho visto lo squarcio che ha aperto nella dimora del Supremo, quando infine è riuscito a liberarsi… a vederlo, sembrava che il Monte Erlenstar fosse troppo piccolo per trattenerlo dentro di sé. Prima di andarsene si è fermato a strappare le corde della mia arpa. Io non contesto l’opinione che ha di me, ma… quella è stata la sola cosa della mia vita che ho saputo far bene.
— No — sussurrò lei. — Sono molte le cose che hai fatto bene. Pericolosamente bene. Non c’era un uomo, né una donna né un bambino in tutto il reame che non si fidasse di te. Questo lo hai fatto bene. Tanto bene che io sono ancora qui a sedere con te, e parlo con te, anche dopo che tu hai fatto del male a uno che io amo più della vita. E non ne capisco il perché.
— No? È semplicemente perché, da soli in questa desolazione sotto un cielo nero come l’interno della tomba di un Re, non ci resta niente salvo la nostra onestà. E i nostri nomi. Nel tuo c’è una grande ricchezza — aggiunse con un sospiro. — Nel mio non c’è un filo di speranza.
Dopo un poco Raederle si addormentò accanto al fuoco, e l’uomo continuò a bere in silenzio e ad alimentare le braci. Quando la ragazza si svegliò, a mattino inoltrato, Deth era andato via. Sentendo fruscii e voci fra i cespugli trasalì, e spaventata si tolse di dosso il mantello che la copriva. Poi si controllò, si sedette. Soltanto allora le accadde di guardarsi la mano, quella dove aveva tenuto l’ardore del fuoco la notte prima. Sul palmo, bianche come cicatrici, c’erano le sfaccettature e l’impronta a dodici lati della pietra che Astrin le aveva dato a Pian Bocca di Re.
CAPITOLO SETTIMO
Proprio allora Tristan, Lyra e le guardie della Morgol sbucarono a cavallo dagli alberi che racchiudevano la piccola radura dove Raederle aveva trascorso la notte. Appena Lyra si accorse della sua presenza fermò la cavalcatura e smontò, senza una parola. Anch’ella appariva alquanto in disordine, scarmigliata e stanca. Si accostò a Raederle e si inginocchiò al suo fianco. La giovane donna fece per dirle qualcosa, ma non trovò la voce. Lyra aprì una mano e lasciò cadere davanti a lei tre sporchi e aggrovigliati intrecci di filo d’argento.
Raederle li fissò sbattendo le palpebre, poi li toccò. — Dunque eri tu a seguirmi — mormorò. Si raddrizzò, togliendosi i capelli dalla faccia. Le ragazze erano scese di sella. Tristan, in groppa al suo cavallo, la guardava con occhi spalancati e colmi di preoccupazione. Si lasciò scivolare al suolo anch’ella e corse verso di lei.
— Come ti senti? — domandò con voce tesa. — Stai bene? — Con mani tremanti tolse dai capelli di Raederle alcuni aghi di pino e pezzetti di corteccia. — Qualcuno ti ha forse… ferita?
— Da chi stavi scappando? — chiese Lyra. — Da un cambiaforma?
— Sì.
— Ma cosa ti è successo? Io ero appena al di là del pianerottolo, e sono stata sveglia a lungo. Non ti ho sentita andar via. E non ho sentito… — Tacque, come se ancora cercasse di ricordare, accigliata. Raederle si tolse di dosso il mantello sotto cui aveva dormito; era caldo di sole, spesso e pesante. Sollevò le ginocchia e vi appoggiò il mento, con le ossa che le dolevano a ogni movimento. Le altre la fissavano senza parlare, ma con aria d’attesa, cosicché dopo qualche istante disse:
— È venuta… nella mia stanza è entrata una cambiaforma, e mi ha parlato. Poi è uscita, e io sono stata presa da… un desiderio impellente di cercare Morgon, per parlare con lui. Non riuscivo a pensare chiaramente. Ho lasciato la casa di Danan e ho camminato tutta la notte finché la luna è tramontata. Ho dormito qualche ora e ho ripreso a camminare, e infine… sono arrivata qui. Mi dispiace per le trappole.
— Cosa ti ha detto? Cos’ha potuto dirti per farti scappar via a questo modo?
Raederle sollevò la testa. — Lyra, adesso non posso parlarne — mormorò. — Te lo dirò, ma non ora.