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Corbett ritornò a sera, dopo aver preso accordi per l’imbarco di tutti loro, bagagli e cavalli compresi, su due grandi chiatte cariche di merci che si apprestavano a partire per Kraal all’alba. Il pensiero di un altro viaggio giù per il Fiume Inverno le mise tutte di cattivo umore, ma quando furono su quel corso d’acqua la cosa si rivelò molto meno spiacevole che all’andata. La corrente s’era placata, le acque chiare dell’Ose avevano ripreso il sopravvento, ripulendo le rive e il fondale dai detriti e dai tronchi spezzati. Le chiatte filarono lisce al centro del fiume sulla spinta della corrente. Sulla riva settentrionale poterono vedere che gli acquitrini erano scomparsi, e che i contadini di Osterland stavano ricostruendo alacremente stalle e recinti. L’aria che spirava dal sud era odorosa e stimolante, le raffiche di brezza increspavano le acque come se ali di uccelli le sfiorassero; il sole scintillava sul metallo caricato nelle chiatte, scaldando il legno e le corde.

Appoggiata alla balaustra, giorno dopo giorno e senza quasi vedere il panorama che le scorreva davanti agli occhi, Raederle non si rese conto che il suo costante silenzio metteva a disagio gli altri. La sera prima del loro arrivo a Kraal restò immobile a lungo nel crepuscolo, mentre merletti d’ombra creati dagli alberi scivolavano su di lei, e soltanto quando la vegetazione fu divenuta un’unica parete scura nelle tenebre notò che Lyra era venuta a fermarsi accanto a lei. Ebbe un lieve sussulto.

Col volto arrossato dalla debole luce che usciva dalla cabina della chiatta, Lyra mormorò: — Se dopo essere giunte a Corona troveremo che Morgon è stato lì e se n’è già andato, tu cosa farai?

— Non lo so. Lo seguirò.

— Tornerai a casa tua?

— No. — Il tono deciso della sua voce sorprese lei stessa. Lyra fissò lo sguardo nell’acqua scura, accigliandosi, e il suo volto attraente parve simile all’orgoglioso profilo inciso su una moneta. Raederle trovò in lei sentimenti che un tempo erano stati anche i suoi, la sicurezza, la certezza di chi sa a quale posto appartiene, e per un attimo ebbe una disperata nostalgia della sua casa.

— Come fai a parlare così? — domandò Lyra. — Come puoi non tornare nella terra che è tua? Essa è parte di te, e non c’è altro posto per te.

— Per te è così, forse. Tu non puoi appartenere ad altro luogo che a Herun.

— Ma tu sei Raederle di An! Laggiù, e perfino a Herun, tu sei quasi una leggenda. Dove altrimenti potresti andare? Tu sei parte della magia di An, della discendenza dei suoi Re. Dove… Cosa ti ha detto quella donna di tanto terribile da tenerti lontana dalla tua stessa casa?

Lei non disse parola, stringendo forte la ringhiera fra le dita. Lyra attese un poco, e quando vide che Raederle non rispondeva proseguì: — Da quando ti abbiamo trovata nei boschi non hai quasi mai aperto bocca con nessuno. E spesso ti vedo stringere la mano sinistra come se tenessi in pugno qualcosa che… che ti ferisce. Probabilmente io non sono all’altezza di capirlo. Io non ho alcun talento con quelle cose incomprensibili, come la magia e gli enigmi. Ma se c’è qualcosa contro cui io possa battermi, per te, io mi batterò. Se c’è qualcosa che io possa fare per te, lo farò. Te lo giuro sul mio onore… — Tacque, vedendo Raederle volgersi di scatto verso di lei.

Raederle sussurrò: — Io non ho mai pensato all’onore in vita mia. Forse perché nessuno ha mai minacciato il mio, o quello della mia famiglia. Ma mi chiedo se non sia questo che mi sta tormentando. Non devo possederne molto, se ho lasciato An.

— Perché dici questo? — ansimò Lyra, incredula. Raederle tolse la mano sinistra dalla balaustra, la girò e aprì le dita sotto la luce.

Osservando il bianco disegno a dodici sfaccettature inciso sul palmo Lyra sbatté le palpebre. — Che cos’è?

— È il marchio di quella pietra. Quella con cui abbagliai gli uomini delle navi da guerra. È comparso quando strinsi il fuoco…

— Tu… quella donna ti ha costretto a mettere la mano nel fuoco?

— No. Nessuno mi ha costretto. L’ho semplicemente toccato, e poi chiuso nella mano. Sapevo che avrei potuto farlo, così lo feci.

— Tu hai questo potere? — La voce di Lyra era fievole per la meraviglia. — È un potere da mago. Ma perché sei così angosciata? C’è forse qualche altro significato in quel marchio?

— No. Forse non so neppure cosa significa. Ma io so da dove mi viene questo potere, e non l’ho ereditato né da una strega di An né da un mago di Lungold. Mi viene da Ylon, che un tempo fu Re di An, figlio di una Regina di An e di un cambiaforma. Il suo sangue scorre ancora nella dinastia di An. Io ho il suo potere. Suo padre era l’arpista che cercò di uccidere Morgon in casa tua.

Lyra la fissò, senza parole. La luce della cabina si spense all’improvviso, lasciando i loro volti al buio; qualcuno accese una lampada a prua. Chinandosi di nuovo a guardare nell’acqua Raederle sentì Lyra cominciare a dir qualcosa e poi azzittirsi. Pochi minuti dopo, sempre poggiata alla balaustra accanto a Raederle, parve ancora sul punto di parlare. Raederle attese che andasse via, ma la ragazza non si mosse. Mezz’ora più tardi, quando entrambe stavano cominciando a rabbrividire nel vento della notte, Lyra respirò a fondo e finalmente parve trovare le parole:

— A me non importa — disse orgogliosamente, sottovoce. — Tu sei Raederle, ed io so chi sei, ti conosco. Quel che ho detto rimane; l’ho giurato, così come lo avrei giurato a Morgon se non fosse stato così testardo. È stato il tuo onore, e non la mancanza d’onore, a farti partire da An. E se a me non importa, perché Morgon dovrebbe pensarla diversamente? Ricordati chi è l’uomo da cui lui stesso ha tratto almeno metà del suo attuale potere. E adesso rientriamo, prima di congelare qui.

Giunsero a Kraal ancor prima che la nebbia del mattino si fosse alzata dal mare. Le chiatte attraccarono, le ragazze scesero sul molo e attesero che venissero scaricati i loro bagagli, mentre Bri Corbett andava a bordo della nave di Mathom per rimettere al lavoro i suoi marinai e mandarne alcuni a occuparsi dei bagagli. Kia sospirò, senza rivolgersi a nessuno in particolare: — Se non dovrò mettere più piede su un oggetto galleggiante, non chiederò altro alla vita. Io non avevo mai visto più acqua di quella che c’è nelle vasche dei pesci della Morgol.

Corbett fece ritorno con cinque o sei marinai, poi scortò le ragazze sull’ampia e comoda nave regale che oscillava al suo posto d’ormeggio. Dopo le imbarcazioni e le chiatte fluviali essa parve loro un albergo, e furono liete di salire a bordo. Corbett controllò a che punto fosse la marea e ritto sulla prua cominciò ad abbaiare ordini, mentre la ciurma portava a bordo in fretta verdure fresche, impastoiava i cavalli nella stiva e sistemava i bagagli nelle cabine. Infine la tintinnante catena dell’ancora fu estratta dal mare; la nave mollò gli ormeggi, e le maestose vele azzurre e porpora di An scivolarono gonfie e orgogliose fra il traffico fluviale.

Dieci giorni più tardi approdarono al porto di Hlurle. Le guardie della Morgol erano schierate sulla banchina ad aspettarli.

Lyra scese a passi rigidi lungo la passerella, seguita dalle cinque guardie, e andò a fermarsi dinnanzi alla ragazza che comandava le due squadre di colleghe messe in fila. Costei, una bionda alta e dagli occhi grigi, cominciò a dire: — Lyra, tu…

La bruna la interruppe con un gesto brusco, sollevando orizzontalmente la sua lancia e porgendogliela sulle mani aperte, in un gesto d’offerta secco quanto rassegnato. Raederle, che l’aveva seguita, la sentì dire con voce atona: — Trika, vuoi portare tu la mia lancia attraverso la terra di Herun, e consegnarla alla Morgol? Chiedo solo di poter rassegnare le dimissioni al nostro arrivo a Corona.