— L’ignoranza — mormorò il Lupo-Re, — è mortale.
Il Maestro Tel si agitò, la sua tunica spiegazzata frusciò nel silenzio. — Entrambi siete venuti in cerca di risposte; noi ne abbiamo poche da darvi. Qualche volta, tuttavia, girando una domanda si ottiene una risposta. E noi abbiamo molte domande. Prima di tutto una riguardo i cambiaforma. Hanno cominciato a venire allo scoperto quasi senza preavviso nel momento in cui il Portatore di Stelle prendeva a realizzare il suo destino; essi sapevano il suo nome prima di lui; conoscevano l’esistenza della spada stellata nella tomba dei figli dei Signori della Terra a Isig. Sono antichi, più antichi della nostra storia e di ogni enigma, senza origine, senza nome. Dobbiamo dar loro un nome. Solo allora voi conoscerete l’origine del vostro potere.
— Cos’altro avrei bisogno di conoscere di loro, salvo che hanno cercato di distruggere le dinastie reali ad An e a Ymris, che hanno accecato Astrin, che hanno quasi ucciso Morgon, che non hanno pietà per nessuno, non danno tregua a nessuno, non amano nessuno. Diedero la vita a Ylon, e lo portarono alla morte. Non hanno compassione neppure per i loro stessi… — Tacque, ricordando com’era stata colpita dal tono sorprendentemente ricco, vibrante, incisivo, della cambiaforma.
Uno dei Maestri domandò sottovoce: — Vedete forse delle incongruenze in questo?
— Non la compassione, ma la passione… — sussurrò ella. — La cambiaforma mi ha risposto così. E poi ha creato un tale incanto dal suo fuoco bianco che ho come bramato il suo potere. Mi stava spiegando cosa aveva riportato Ylon da loro, a dispetto della fama che hanno d’essere terribili. Mi ha fatto sentire l’arpa che Ylon udì, per farmi capire la sua nostalgia. Poi mi ha detto che quell’arpista era stato ucciso da Morgon. — Fece una pausa, apprezzando il silenzio di quegli uomini abituati alla pazienza e alla meditazione. — Non la compassione, ma la passione. Sì, mi ha dato questo enigma. — La sua voce parve svuotarsi. — Un’incongruenza. Come la gentilezza di Deth, che forse era soltanto un’abitudine o… o forse no. Io non so. Niente… il Supremo, questa Scuola, ciò che era bene, ciò che era male… niente sembra mantenere la sua forma, non più. Questo è il motivo per cui ho cercato Morgon così disperatamente. Almeno lui sa il suo nome. E un uomo che conosce se stesso può vedere altre cose e dar loro un nome.
Quando la voce di lei tacque, nessuno si mosse. I loro volti, nella vacillante luce delle candele, sembravano fatti di ombre e di ricordi.
Infine il Maestro Tel disse dolcemente: — Ogni cosa è se stessa. Noi ne distorciamo la vera forma. Il tuo nome giace nascosto dentro di te, un enigma. Il Supremo, chiunque egli sia, è sempre il Supremo, sebbene Ghisteslwchlohm abbia indossato il suo nome come una maschera.
— E chi o cosa è l’arpista del Supremo? — domandò Har. Il Maestro Tel rifletté un momento, frugandosi nella memoria.
— Ha studiato qui, fra l’altro, secoli or sono… Non avrei mai creduto che un uomo che meritò il Nero potesse tradire i principi basilari dello studio degli enigmi.
— Morgon intende ucciderlo — disse bruscamente Har, e gli occhi del Maestro lo fissarono stupefatti.
— Io non ne avevo saputo…
— Questo non è un tradimento dei vostri principi etici? Un uomo saggio non insegue la sua stessa ombra. In lui non c’è quell’istintivo rispetto per le leggi della sua terra che ora possa fermare la sua mano. Non c’è sovrano, inclusa la Morgol, che voglia rifiutare di acconsentire ai suoi desideri. Gli abbiamo dato la nostra comprensione, abbiamo sbarrato i nostri confini come ci ha chiesto. E aspettiamo il tradimento finale, il suo: un auto-tradimento. — Il suo sguardo duro si spostava da volto a volto, come una sfida. — Il Maestro è un maestro di se stesso. Morgon ha una libertà assoluta in questo reame. Non ha più le restrizioni delle leggi della terra. Il Supremo sembra non esistere in nessun posto salvo che nell’evidenza della sua esistenza. Morgon ha guidato se stesso al suo destino coi principi etici dello studio degli enigmi. E adesso ha un enorme e ancora imprecisato potere. C’è un enigma nelle vostre liste che consenta a un uomo saggio di cercare la vendetta?
— Giudicare — mormorò uno dei Maestri, ma in tono tormentoso. — A chi spetta giudicare e condannare quest’uomo che per secoli ha tradito l’intero reame?
— Al Supremo.
— E in luogo del Supremo…
— Al Portatore di Stelle? — Har lasciò che il silenzio si tendesse come una corda d’arpa, poi lo ruppe: — L’uomo che ha strappato il suo potere da Ghisteslwchlohm perché nessuno, neppure il Supremo, gli ha dato il minimo aiuto? È amareggiato, autosufficiente, e tramite le sue azioni sta perfino mettendo in discussione i forti ma elusivi principi dello studio degli enigmi. Ma io dubito che veda questo dentro di sé, poiché dovunque guardi c’è Deth. Il suo destino è di rispondere agli enigmi, non di distruggerli.
Raederle sentì qualcosa rilassarsi in lei. — E voi glielo avete detto?
— Ci ho provato.
— Avete messo in pratica i suoi desideri, però. Deth mi ha riferito d’esser stato scacciato da Osterland dai vostri lupi.
— Io non voglio vedere più neppure l’orma delle scarpe di Deth sulla mia terra! — Tacque, poi la sua voce suonò meno aspra. — Quando ho rivisto il Portatore di Stelle, gli avrei dato perfino le cicatrici-vesta che ho sulle mani. È stato assai parco di parole su Deth, e anche su Ghisteslwchlohm, ma mi ha detto… abbastanza. In seguito, mentre cominciavo a capire ciò che stava facendo, e quanto più di me fosse ormai cresciuto, le implicazioni delle sue azioni mi hanno spaventato. Ed era più testardo che mai…
— Sta venendo a Caithnard?
— No. Mi ha chiesto di portare il suo resoconto e i suoi enigmi ai Maestri, i quali nella loro saggezza dovranno decidere se il reame è pronto o meno a sopportare la verità circa colui che per tanto tempo abbiamo chiamato il Supremo.
— Questo è il motivo per cui avete chiuso i battenti — disse lei al Maestro Tel, e l’uomo annuì, lasciandole vedere per la prima volta una smorfia di stanchezza psichica.
— Come possiamo autodefinirci Maestri? — chiese l’uomo pacatamente. — Ci siamo ritirati in noi stessi non per sfuggire all’orrore, ma per evitare la necessità di ricostruire quel modo di pensare a cui avevamo dato il nome di Verità. Se nel tessuto stesso del reame, nella sua struttura sociale, nelle storie e leggende, nelle guerre, nella poesia, negli enigmi… se lì c’è una risposta, o un frammento di verità incontestabile e rivelatore, noi lo troveremo. Se i principi su cui si basa lo studio degli enigmi non sono validi, noi lo scopriremo. È questo il messaggio che ci dà il Maestro di Hed con le sue azioni.
— Ha pur trovato il modo di uscire da quell’oscura torre di Aum… — mormorò lei. Har si raddrizzò sulla sedia.
— Pensate che possa trovare il modo di uscire da un’altra torre, da un’altra gara mortale? Questa volta ha ciò che ha sempre voluto: la scelta. Il potere di stabilire lui stesso quali sono le regole del gioco.
Lei ripensò a quella fredda e malridotta torre di Aum, che svettava impenetrabile quanto un enigma sulle chiome verdi e dorate delle querce, e vide un giovane modestamente vestito, fermo sotto il sole di fronte al portone corroso, esitare a lungo prima di muoversi. Lo vide alzare una mano, spingere il pesante battente e sparire nell’interno, lasciando l’aria tiepida e il cielo azzurro dietro di sé. Fissò Har, sentendosi come se egli le avesse proposto un enigma e qualcosa di vitale fosse sul piatto della bilancia in attesa della sua risposta. Disse: — Sì! — e seppe che la risposta era scaturita da qualche posto dentro di lei, al di là dell’incertezza e della confusione, al di là della logica.