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— Quale enigma? Tu sei venuta qui, in questo posto, con un enigma?

— In che altro luogo avrei potuto andare? Mio padre era partito. Ho cercato di trovare te e non ci sono riuscita. Tu avresti dovuto sapere che al mondo non c’è niente che non cambi…

— Quale enigma?

— Tu sei il Maestro qui. Davvero c’è bisogno che te lo dica?

La sua stretta si fece più forte. — No — disse, e stavolta il suo silenzio, fra quelle mura impregnate di enigmi, fu quello di chi riflette su ancora un altro di essi. Lei attese, lavorando su quell’enigma con lui, sentendo che la sua identità era in gioco contro il suo passato e contro la storia di An, seguendo stanche tracce di pensiero che non portavano da nessuna parte. Ad un tratto avvertì un tremito nella dita di lui, e capì che stava esaminando un’ipotesi che conduceva ad altre possibilità e poi ad altre ancora. E quando lui alzò lentamente la testa e la guardò negli occhi, desiderò che la Scuola e tutti i suoi enigmi sprofondassero nel mare.

— Ylon! — Morgon lasciò che quel nome aleggiasse in un’altra pausa di silenzio. — È vero, non lo avevo mai visto. Ed era lì. — Bruscamente si alzò, ringhiando fra i denti una vecchia imprecazione di Hed. E nel suo tono ci fu una nota che vibrò nei vetri della finestra irretendoli di una ragnatela di crepe. — Hanno raggiunto anche te!

Come stordita dal vuoto che le era piombato dentro la fanciulla fissò ottusamente le sue mani. Si alzò in piedi per andarsene da lì, senza sapere se al mondo esisteva un posto dove avrebbe potuto andare. Lui la raggiunse con un passo e la afferrò, facendola girare.

— E credi che questo m’importi? — chiese, incredulo. — Pensi una cosa simile di me? Chi sono io per giudicarti? Io sono così accecato dall’odio che se mi mettessero davanti agli occhi la mia terra e la gente che ho amato non li vedrei neppure. Io sto dando la caccia a un uomo che non ha mai impugnato un’arma in vita sua, per poterlo guardare negli occhi mentre lo uccido, malgrado il parere contrario di tutti i sovrani con cui ho parlato finora. E tu cos’hai fatto in vita tua, invece, per meritare di perdere il rispetto di chi ti conosce?

— Io non ho mai fatto niente di niente, in vita mia.

— Tu mi hai dato la verità.

Lei tacque, immobile nella stretta dura delle sue mani, gli occhi fissi sul volto di lui che ora le si rivelava, amaro, vulnerabile, senza legge, così come oltre un ciuffo di capelli le si rivelarono le tre stelle sulla sua fronte. Alzò le mani e anch’ella gli strinse le braccia. Mormorò: — Morgon, ti prego stai attento.

— A che cosa? E perché dovrei? Sai chi trovai ad accogliermi là, quel giorno in cui Deth mi condusse dentro il Monte Erlenstar?

— Sì.

— Il Fondatore di Lungold è stato seduto su quel trono all’apice del mondo per secoli, dispensando la sua giustizia nel nome del Supremo. Dove posso andare a chiedere giustizia? L’arpista è un senzaterra, non ha legami con i Re e con la loro legge; il Supremo sembra del tutto incurante del mio e del suo destino. Importerà a qualcuno se lo uccido? In Ymris o nella stessa An, nessuno troverà mai da discutere su…

— Nessuno vorrà mai discutere ciò che tu fai! Sei tu la tua legge, sei tu la tua giustizia! Danan, Har, Hereu, la Morgol… tutti loro ti daranno sempre ciò che vuoi per rispetto al tuo nome e per la verità che tu porti con te. Ma, Morgon, se tu crei la tua legge, dove potranno andare gli altri se avranno bisogno di chiedere giustizia contro di te?

Gli occhi di lui rivelarono un guizzo d’incertezza. Poi scosse il capo, lentamente, testardamente. — Soltanto una cosa chiedo. Non più di una. E comunque, non c’è dubbio che qualcuno lo ucciderà… i maghi ne hanno il motivo. Forse Ghisteslwchlohm stesso lo farà. Io ne ho il diritto.

— Morgon…

Le mani con cui la stringeva si fecero ancor più dure, adunche. Non stava più guardando lei, bensì qualcosa di orrido e oscuro rimasto nella sua memoria. Alcune gocce di sudore gli si formarono sulla fronte, i muscoli facciali gli s’irrigidirono. Sussurrò: — Mentre Ghisteslwchlohm era nella mia mente, nient’altro esisteva. Ma nei momenti in cui lui… lui mi lasciava, e mi rendevo conto d’essere ancora vivo, disteso in una buia e vuota caverna di Erlenstar, io potevo udire Deth che suonava. Talvolta suonava canzoni di Hed. Mi ha dato qualcosa per cui vivere.

Lei chiuse gli occhi. Il volto elusivo dell’arpista apparve nella sua mente, si confuse e sfumò. Le mani dure e tremanti di Morgon le comunicarono la sua confusione e la sua rabbia, e il tradimento dell’arpista le apparve un enigma assurdo e incomprensibile che nessuna spiegazione avrebbe potuto giustificare, e che nessun Maestro nella quiete della sua biblioteca sarebbe riuscito a districare. Il tormento di lui le diede l’angoscia; la sua solitudine era un immenso vuoto pozzo dove le parole di lei cadevano come pietre per sparire nel buio. Solo allora capì come potesse esser bastata una sua parola per far sbarrare a Deth una Corte dopo l’altra, un regno dopo l’altro, mentre lui seguiva la sua segreta e difficoltosa strada attraverso il reame. In un sussurro ripeté le parole di Har: — Gli avrei dato perfino le cicatrici-vesta che ho sulle mani! — Finalmente la stretta di lui si rilassò. Abbassò gli occhi su di lei e tacque a lungo, prima di dire:

— Tu però non mi riconosci questo unico diritto.

Lei scosse il capo. Parlare le costò uno sforzo. — Tu potrai ucciderlo. Ma anche da morto continuerà a divorarti il cuore, finché non lo avrai capito.

Le mani di lui ricaddero. Le volse le spalle e tornò alla finestra. Sfiorò i vetri che aveva irretito di crepe, poi si girò bruscamente. Nell’ombra lei poté a malapena vedere il suo volto; la voce gli uscì rauca.

— Devo andare. Non so quando potrò rivederti ancora.

— Dove stai andando?

— Ad Anuin. Per parlare a Duac. Sarò già ripartito prima che tu arrivi là. È meglio a questo modo, per entrambi. Se mai Ghisteslwchlohm capisse in che modo può far uso di te, io sarei perduto; potrebbe chiedermi il cuore e io me lo strapperei dal petto con le mie stesse mani.

— E poi dove andrai?

— A cercare Deth. E poi, io non… — Improvvisamente si accigliò. Il silenzio gli si infittì attorno come se stesse ascoltando qualcosa; la sua figura parve tremolare nella debole luce delle candele. Lei tese gli orecchi, ma non udì altro che il sussurro del vento sulle fiammelle oscillanti, e gli enigmi senza parole mormorati dal mare. Fece un passo verso di lui.

— È Ghisteslwchlohm? — L’immobilità di lui le incrinò la voce. Egli non rispose, e la fanciulla non riuscì a capire se l’avesse udito o meno. D’un tratto la paura le strinse la gola; sussurrò: — Morgon! — Lui si volse lentamente a guardarla, trattenendo il respiro. Ma non si mosse finché non fu lei ad avvicinarsi. Poi le passò le braccia attorno con dolcezza, stancamente, e chinò il volto fra i suoi capelli.

— Devo andare. Poi tornerò da te, ad Anuin. Per essere giudicato.

— No…

Lui scosse lievemente la testa, indietreggiando. Mentre le sue mani scivolavano via da lui Raederle sentì la strana, quasi informe, tensione dell’aria intorno al suo corpo. Ebbe l’impressione che sotto la larga toga portasse appesa una spada, ma i contorni di lui si fecero incerti. Lo udì dire qualcosa che non comprese, con voce che si mescolava al mormorio del vento. La figura di lui divenne un’ombra striata di riflessi di luce, e poi fu soltanto un ricordo.

La giovane donna si spogliò e andò a letto, ma restò sveglia a lungo prima di cadere in un sonno tormentato. Qualche ora più tardi si svegliò di colpo, sconvolta, sbarrando gli occhi nelle tenebre. La sua mente era un groviglio di pensieri che si affollavano, di nomi, di desideri, di ricordi, di angosce; era un calderone da cui si rovesciavano fuori avvenimenti, impulsi, voci inarticolate. Sedette sul letto, domandandosi quale cambiaforma avesse attorcigliato la mente dentro la sua; ma in lei ci fu la repentina certezza che tutto ciò non aveva a che fare con loro, e che era invece lei a protendere la mente e gli occhi verso An, come se la sua vista potesse oltrepassare la pietra, la distanza e la notte. Sentì che il cuore ricominciava a batterle. Le sue radici la attiravano; la sua eredità fatta di boschi e colli erbosi, torri semidiroccate, nomi di Re, guerre e leggende, aveva spinto i suoi pensieri verso una terra dove vibrava il caos, una terra che era stata lasciata senza governo troppo a lungo. Si alzò in piedi e si coprì il viso con le mani, riuscendo finalmente a capire due cose: l’intera An si stava agitando e sollevando. E la via che il Portatore di Stelle seguiva lo avrebbe condotto dritto attraverso Hel.