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Al sorgere della luna sentì che le mandrie di bovini nei recinti di Hallard cominciavano a muggire. Dalle fattorie lontane oltre i boschi si levarono gli ululati lamentosi dei cani, che ben presto divennero un coro allarmante e interminabile. Qualcosa che non era il vento sussurrò fra le querce, e Raederle curvò istintivamente le spalle sentendoselo passare sopra la testa. Il cavallo, che s’era accovacciato al suolo accanto a lei, si alzò di scatto con un tremito violento. Cercò di parlargli per calmarlo, ma le parole le morirono in gola. Nel profondo della boscaglia era nato un forte scalpore, e gli animali che fin’allora erano stati immobili nel silenzio cominciarono a fuggire e a volar via davanti ad esso. Un cervo sbucò ciecamente dalla vegetazione, scalpitò e indietreggiò nel trovarsi dinnanzi il misterioso e lampante circolo di sfere perlacee, girò su se stesso e schizzò via verso i campi aperti. Piccoli roditori, volpi e donnole emersero dal buio e fuggirono disperatamente passandole attorno, seguiti da uno schianto di tronchi e di vegetazione sfondata che s’avvicinava e da un selvaggio, ultraterreno muggito il cui eco rombò fra gli alberi come un tuono. Raederle tremava e i suoi pensieri erano pagliuzze disperse dal vento; con mani gelide aggiunse rami su rami al fuoco finché le grandi perle intorno a lei rosseggiarono nei riflessi delle fiamme. Con uno sforzo di volontà impedì a se stessa di bruciare in una sola volta tutto il legno accumulato, poi sedette accanto al fuoco e si premette le mani sulla bocca, quasi temendo che il suo cuore potesse balzarne fuori, e ad occhi sbarrati attese che l’incubo scaturisse dalle tenebre.

Quando esso apparve, aveva le sembianze del grande Toro Bianco di Aum. L’enorme animale, che Cyn Croeg amava come Raith di Hel amava i suoi maiali, emerse dalla vegetazione galoppando pesantemente verso il fuoco, ed era pungolato e guidato da cavalieri che lo attorniavano in sella ad animali sfiniti, malconci, dagli occhi folli. Armati di lunghi bastoni gli uomini colpivano e incitavano il loro toro in corsa, gridando, strattonando da una parte e dall’altra le loro cavalcature. Coperto di sangue e di sudore, il muso massiccio striato di bava, gli occhi rossi strabuzzati dal terrore, il toro passò così vicino al circolo creato da Raederle che lei poté sentire l’odore acre della sua paura e leggergli la follia nelle pupille. Mentre deviava per evitare il fuoco, i cavalieri che si sforzavano di affiancarlo ignorarono completamente la presenza di Raederle; ma non così l’ultimo di essi, che girandosi a sogghignare verso di lei le consentì di vedere la bianca cicatrice che gli segnava il volto e terminava in un occhio bianco e senza vita.

Tutti i rumori che le stavano risuonando attorno parvero concentrarsi in un unico punto dentro la sua testa, e si domandò vagamente se era sul punto di svenire. Il muggito del toro in distanza la indusse a riaprire gli occhi. Riuscì a vedere l’animale, gigantesco e color cenere nel pallore lunare, che galoppava a testa bassa attraverso i campi di Hallard. All’apparenza i cavalieri, figure nere e biancastre in preda a una spietata agitazione, sembravano decisi a spingerlo dritto verso il portone chiuso del cortile di Hallard. In un improvviso lampo d’intuizione comprese che la loro intenzione era quella di farlo ammazzare là contro il muro di cinta, per lasciarlo come un regalo alla porta di Hallard: l’enorme carogna di un toro, tanto per dargli il problema di spiegare la cosa al Nobile di Aum. Brevemente si chiese cosa stesse accadendo ai maiali di Raith. Ma non ebbe il tempo di rispondersi, perché il suo cavallo nitrì, e nel volgersi con un ansito si trovò faccia a faccia con la furia di Re Farr di Hel.

L’uomo era come lo aveva sempre immaginato: irsuto, poderoso, e la sua faccia era dura e brutale come una maschera di pietra. Aveva la barba e i lunghi capelli color del rame; portava grossi anelli metallici a ogni dito, e la sua spada, sollevata e pronta per abbattersi con irruenza su una delle lune di vetro, aveva una lama larga oltre un palmo alla base. L’individuo non sprecò tempo in parole, ma quando la spada tagliò l’aria dall’alto in basso non trovò null’altro che un’illusione da attraversare, e il fendente andato a vuoto per poco non lo fece cadere di sella. Si raddrizzò, spronò il cavallo per farlo penetrare oltre il cerchio d’immagini sferiche, ma l’animale scalpitò e nitrì spaventato, opponendogli resistenza. A forza di redini lo fece retrocedere, preparandosi a balzare ancora avanti. Raederle afferrò il teschio e lo tenne sollevato sopra il fuoco.

— Bada, lo lascerò cadere! — minacciò, col fiato mozzo. — E poi lo porterò ad Anuin, nero di cenere, e lo getterò nella spazzatura!

— Non vivrai abbastanza per farlo! — ringhiò lui. La sua voce non era fatta di suono, e a udirla fu solo la mente della ragazza. Con un brivido vide il cerchio di carne rossa e sanguinolenta intorno al collo di Farr. L’uomo la maledisse con la sua rauca voce immateriale, metodicamente e selvaggiamente, dalla testa ai piedi, in un linguaggio che non aveva mai udito neppure sulle banchine dei porti.

Quando Farr tacque, il volto di lei era rosso fino alla radice dei capelli. Con un dito infilato in un’orbita del teschio lo fece oscillare sulle fiamme, e a denti stretti disse: — Devo fare quel che ho detto o no? Parla, o ti mostrerò come bruciano le tue ossa.

— Prima dell’alba avrai finito tutta la legna — ruggì quella voce implacabile. — E allora me lo riprenderò.

— No, tu non lo avrai mai. — Pur incrinata dall’ansia la sua voce rivelava una certezza mortale, di cui quasi non si rese conto. — Credi a quanto ti dico. Le tue ossa stanno imputridendo nei campi di un uomo che ha giurato alleanza ad An, e soltanto tu ricordi ancora quali frammenti di costole e vertebre spezzate appartengono a te. Se tu avessi il cranio e la corona potresti seppellirli, e avere la dignità di un sepolcro decente. Ma non potrai mai prendermeli. Solo io posso scegliere se darteli o meno. E questo ha un prezzo.

— Io non faccio baratti come un misero mercante. E non c’è uomo che possa sottomettermi; ancor meno una donna dell’imbelle schiatta dei Re di An.

— La mia schiatta è ancor peggiore di quella. Ti restituirò il teschio se pagherai il mio prezzo. Se dirai una sola parola di rifiuto, lo distruggerò. Quello che pretendo è una scorta di Re, attraverso Hel e fino ad Anuin, per un uomo che…

— Anuin! — Il grido di Farr le rimbombò negli orecchi, facendole fare un passo indietro. — E io dovrei piegarmi a…

— Te lo chiederò una sola volta. Quest’uomo viaggia come un cambiaforma e non conosce An. Ha motivo di temere per la sua vita in questa terra, ed io voglio che sia protetto e nascosto. A inseguirlo c’è il più grande mago del reame; egli cercherà di fermarti, ma tu non dovrai cedere a lui. Se l’uomo dovesse essere ferito o ucciso dal mago nel viaggio fra qui e Anuin, io farò cenere del tuo teschio incoronato. — Fece una pausa, poi aggiunse con più calma: — Qualunque altra cosa vorrai fare lungo la strada fino ad Anuin saranno affari tuoi, a patto che lui sia sempre protetto. Poi, nella dimora dei Re di An, io ti darò il teschio.

L’uomo la fissò in silenzio. D’un tratto lei si rese conto che la notte era divenuta molto tranquilla; perfino i segugi di Hallard Albanera tacevano. Si chiese se non fossero tutti morti. Poi pensò, con ottusa indifferenza, a quel che avrebbe potuto dire Duac quando si fosse visto entrare in casa il rabbioso gruppo dei Re morti di Hel. La voce di Farr vibrò nei suoi pensieri: