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— E dopo?

— Dopo?

— Dopo che saremo ad Anuin. Quali pretese, quali altre clausole aggiungerai al patto, quando saremo nella tua casa?

Lei trasse un lungo respiro, conscia che non le restava neppure un filo di coraggio per pretendere altro. — Se quell’uomo sarà salvo, nessuna. Se lo avrai protetto. Ma io voglio per lui soltanto una scorta di Re, non tutto l’esercito della morte.

Ci fu un’altra lunga pausa di silenzio. Mise un altro ramo sul fuoco, e vide gli occhi socchiusi di lui farsi freddi e calcolatori. Poi egli chiese, inaspettatamente: — Chi è quest’uomo?

— Se tu non conosci il suo nome, nessun altro potrà saperlo da te. Tu conosci le forme di Heclass="underline" gli alberi, gli animali, il terreno, e fai parte di tutto ciò poiché vi sei radicato. Trova lo straniero la cui forma esterna è di An, ma il cui cuore non è di An.

— Se non fa parte di An, allora cos’è per te?

— Tu cosa credi? — disse stancamente lei. — Perché starei seduta qui nella notte della rivolta di Hel, a contrattare su un teschio con un Re morto, per la sua salvezza?

— Perché sei pazza.

— Forse. Ma siamo in due a contrattare su questo.

— Io non contratto. An ha usurpato la mia corona, e An deve restituirmela. In un modo o nell’altro. Ti darò la mia risposta all’alba. Se il tuo fuoco si spegnerà prima di allora, attenta a te. Per te non avrò più pietà di quella che Oen ebbe per me.

L’uomo si sedette ad aspettare nelle tenebre, col volto che incorniciato dalla barba incolta appariva duro e tragico nei riflessi del fuoco. Per un attimo la ragazza fu tentata di gridargli che lei non aveva niente a che fare coi suoi feudi e con la sua morte, che egli era sepolto da secoli e che la sua vendetta personale era insignificante nel turbine di eventi che stravolgeva An. Ma il cervello di lui viveva nel passato, e il trascorrere dei secoli su Hel non doveva sembrargli un intervallo più lungo di una notte. Sedette davanti al fuoco, con la bocca amara e secca per le preoccupazioni. Si chiese se all’alba l’uomo l’avrebbe uccisa, o invece non avrebbe deciso di mercanteggiare con Duac per la sua vita, come lei aveva mercanteggiato sul suo teschio. La dimora di Hallard Albanera, al di là dei campi, aveva molte finestre illuminate malgrado l’ora tarda, ma sembrava lontana come un miraggio. Mentre guardava sconfortata da quella parte nella zona risuonò un rumore nuovo, dal tono però diverso; era il clangore metallico delle armi, che si stavano scontrando in una battaglia notturna sui pascoli di Hallard. I segugi abbaiavano con furia e decisione contro gli avversari, sonori come corni di battaglia. Gli occhi del Re si fissarono in quelli di lei attraverso le illusioni che circondavano il fuoco, fermi e implacabili. Ella abbassò i suoi fra le fiamme e osservò la collana che era il cuore di quella illusione, le cui perline di vetro stavano cominciando a sgretolarsi al calore.

Le urla lontane scivolarono in un angolo della sua mente. Negli orecchi ebbe soltanto il crepitio del legno e il sibilante linguaggio delle fiamme. Aprì la mano sinistra, sfiorò la fiamma e ne sentì il riflesso immediato nella mente. Il fuoco cercò a tentoni l’identità di lei, mentre lo teneva dentro di sé e nel cavo fra le dita, ma bloccò i suoi pensieri creando nella propria mente un vuoto dove il fuoco continuò a guizzare ed a crescere. Lo lasciò ardere e crescere a lungo, seduta al suolo, immobile come gli antichi alberi che la circondavano, tenendo aperta la mano su cui una fiammella ballava seguendo senza sosta l’emblema a dodici linee tracciato sul suo palmo. Poi un’ombra cadde sulla sua mente estinguendo il fuoco dentro di essa: era un’altra mente che attraversava la notte, trascinando entro i suoi vortici la conoscenza dei vivi e dei morti di An. Essa passò sul cielo come un’immensa ala nera, che coprì la luna e le fece fare un balzo indietro, tremante e indifesa. Chiuse subito la mano intorno alla fiammella e alzò lo sguardo, incontrando il primo accenno di vera espressione negli occhi di Farr.

— Che cos’era quello? — Pur senza suono la voce di Farr fu rauca e bassa nella testa di lei.

Inaspettatamente captò i pensieri dello spettro e seppe che stava per sbalordirlo. Rispose: — Quello era colui contro il quale tu proteggerai il Portatore… lo straniero.

— Quel mago?

— Quel mago. — Dopo un istante aggiunse: — Lui spegnerebbe la tua furia come una candela se capisse cosa stai facendo, e di te non resterebbe davvero altro che ossa sparse e vecchi ricordi. Sei sempre tanto deciso a riprendere il tuo teschio, adesso?

— Lo voglio — ringhiò lui. — O qui oppure ad Anuin, strega. Fai la tua scelta.

— Io non sono una strega.

— Cosa sei allora tu, con quegli occhi pieni di fuoco?

Lei rifletté un poco. Poi si limitò a rispondere: — Io sono senza nome. — E quelle parole le riempirono la bocca di un sapore amaro e triste. Tornò a dedicarsi al fuoco, vi aggiunse, altra legna, e i suoi occhi seguirono il disordinato volo delle scintille che fluttuavano a spegnersi nell’aria. Poi sollevò ancora due fiammelle, stavolta una su ogni mano, e cominciò lentamente a plasmarle.

Durante quell’interminabile notte fu interrotta più volte: dalla fuga del bestiame rubato a Hallard Albanera, che muggiva terrorizzato attraversando i campi di grano; dal sopraggiungere di uomini armati che si radunarono intorno a Farr, e dall’urlo di rabbia che l’uomo le fece esplodere nella mente allorché essi risero di lui; e quindi dal clangore delle spade che si levò fra di loro. A un certo momento sollevò lo sguardo e vide soltanto le sue nude ossa in sella al cavallo, bianche nei riflessi del fuoco; poco più tardi vide invece che l’uomo si teneva la testa sottobraccio, come un elmo, e l’espressione di lui restò immutata mentre gli occhi della ragazza si spostavano a osservare lo spazio vuoto sopra il suo collo. Verso l’alba, quando la luna tramontò, aveva dimenticato Farr, aveva dimenticato ogni cosa. Era riuscita a plasmare le fiammelle in un centinaio di forme diverse, fiori che si aprivano e poi si disfacevano lentamente, e uccelli vivaci che dispiegavano le ali balzando dalle sue mani. Aveva dimenticato perfino la forma del suo stesso corpo: le mani, ondeggiavano e ardevano di luce liquida. Qualcosa d’indefinito e d’inatteso stava accadendo dentro la sua mente. Barlumi di poteri e di conoscenze elusive come il fuoco passavano sullo schermo dei suoi pensieri, quasi che avesse destato in sé memorie facenti parte della sua ereditarietà. Facce ed ombre, irriconoscibili, nascevano e svanivano prima che avesse il tempo di sondarle. Intravide strane piante, sentì sussurranti linguaggi marini fluttuare oltre la portata del suo udito. Un vuoto nelle profondità del mare, o nel cuore della terra, tagliò un varco nella sua mente; vi spinse lo sguardo con curiosità, senza timore, troppo presa nei suoi giochi di fiamma per chiedersi che oscuro pensiero fosse. Creò una lontana stella di fuoco anche in quella cava immensità sconfinata, e mentre quel buio fremeva subito sentì che non era un vuoto, bensì un groviglio di memorie e di poteri ancora oltre l’orlo della sua consapevolezza.

Quel miscuglio di sensazioni-rivelazioni causò in lei l’anelito di tornare al semplice caos di An. Stanca di viaggiare dentro se stessa cercò di riposare un poco. Sui campi di Hallard scivolava la nebbia del mattino; l’alba color cenere si espandeva fra gli alberi senza che un solo cinguettio la salutasse. Tutto ciò che restava del suo fuoco notturno era un mucchietto di rami carbonizzati. Si stiracchiò rigidamente, insonnolita, e fu allora che scorse con la coda dell’occhio una mano che si protendeva verso il teschio.

Svelta creò intorno alle ossa di quel cranio un’illusione di fuoco che scaturì dalla sua mente e lingueggiò alto; Farr balzò subito indietro. Lei raccolse il teschio, e si alzò, fronteggiandolo. L’uomo sibilò: — Tu sei fatta di fuoco…!