La ragazza lo sentiva ancora nelle dita infatti, scorrerle sotto la pelle e su fin nel cuoio capelluto. Con voce rotta per la stanchezza domandò: — Hai riflettuto abbastanza? Qui non troverai mai Oen, le sue ossa giacciono nel Cimitero Reale fuori dalle mura di Anuin. Se riuscirai a sopravvivere al viaggio, potrai prenderti laggiù la tua vendetta.
— E tu tradisci la tua stessa famiglia?
— Vuoi darmi la tua risposta? — gridò irritata. Lo vide tacere indeciso. Ancor prima che parlasse capì che avrebbe ceduto, e sussurrò: — Giura sul tuo nome. Giura sulla corona dei Re di Hel che né tu né nessun altro toccherà me o questo teschio finché non avrai oltrepassato la soglia della reggia di Anuin.
— Te lo giuro.
— Giura che riunirai i Re nel tuo cammino attraverso Hel, per trovare e proteggere la forma usata dallo straniero che viaggia fino ad Anuin, contro tutto ciò che vive e tutto ciò che è morto.
— Lo giuro.
— Giura che non dirai a nessuno, salvo ai Re di Hel, cosa ti sei impegnato a fare.
— Lo giuro. Sul mio nome, su tutti i Re di Hel e su questa corona.
In piedi accanto al suo cavallo nella luce dell’alba, con il sapore acre della sottomissione sulle labbra, l’uomo sembrava quasi vivo. Lei trasse un profondo sospiro. — Benissimo. Io giuro sul nome di mio padre e sul nome dell’uomo che scorterai che quando lo vedrò nella dimora del Re di Anuin ti restituirò il tuo teschio, e non chiederò altro da te. Ogni legame fra noi sarà sciolto. L’unica cosa in sovrappiù che ti chiedo è di farmi sapere quando lo troverai.
Lui annuì brevemente. I suoi occhi si fissarono nel vuoto e derisorio sguardo del teschio. Poi si volse e montò a cavallo. Dall’alto della sella la osservò ancora un istante, e lei vide che aveva un’espressione incredula. Subito dopo si volse e spronò il cavallo, scomparendo fra gli alberi più silenzioso di una foglia spinta dal vento.
Da lì a poco, mentre s’allontanava a cavallo dal limite dei boschi, la ragazza incontrò Hallard Albanera e i suoi uomini che s’avventuravano sui campi più bassi per contare le perdite fra il bestiame. L’uomo la attese in silenzio, e quando riuscì a farsi uscire di bocca la voce essa fece un sussurro stanco.
— Per la mano destra di Oen! Sei proprio tu, o sei un fantasma?
— Non te lo so dire. Il toro di Cyn Croeg è morto?
— Gli hanno fatto sputare la vita… Vieni in casa. — Alla luce del giorno i suoi occhi stavano finalmente ritrovando vita, ma erano ancora a metà preoccupati e a metà spaventati. Alzò una mano a toccarle una spalla, esitante. — Vieni dentro. Sembri… hai l’aria di…
— Me lo immagino. Ma non posso. Devo andare ad Anuin.
— Adesso? Aspetta almeno che ti dia una scorta.
— Ne ho già una. — Lo vide abbassare lo sguardo sull’involto del teschio appeso alla sella e deglutire a vuoto.
— Lui è venuto a cercarlo?
Gli sorrise appena. — È venuto. Ho fatto un patto con lui…
— Per il sangue… — L’uomo non nascose un brivido. — Farr non è mai venuto a patti con nessuno. Cos’hai mercanteggiato con lui? La salvezza di Anuin?
Lei sospirò. — Ebbene, no, non esattamente. — Si tolse di tasca la collanina annerita e gliela restituì. — Ti ringrazio. Senza di questa non avrei potuto sopravvivere.
Quando poi si chinò per aprire il cancello di legno, in fondo al campo, si volse e lo vide fermo accanto al corpo di un vitello, con gli occhi ancora fissi su quella manciata di perline annerite e incrinate.
Attraversò Hel da nord a sud fin quasi all’altezza delle terre di Raith, seguita da un’invisibile scorta di Re che pian piano s’ingrossava. Poteva sentirne la presenza intorno a sé, e con la sua mente cercò le loro finché essi le rivelarono i loro nomi: Acor, terzo Re di Hel, che un po’ con la forza e un po’ con la persuasione aveva portato sotto il suo controllo gli ultimi nobili indipendenti del territorio; Ohroe il Maledetto, che aveva visto sette dei suoi nove figli cadere in sette battaglie consecutive fra An e Hel; Nemir dei Maiali, che sapeva parlare sia nella lingua degli uomini che in quella dei porci, aveva allevato il maiale di nome Hegdis-Noon e aveva avuto come guardiana dei porci la strega Madir; Evern il Falconiere, che aveva addestrato falchi per usarli in battaglia contro gli avversari; e altri che come Farr aveva giurato erano tutti sovrani, e che avevano acconsentito di aggregarsi a lui, l’ultimo dei Re di Hel, nel suo viaggio verso la roccaforte dei Re di An. Talvolta le accadde di vederli; spesso li udiva trottare davanti e dietro a lei, e sentì che le loro menti si univano scambiandosi pensieri, progetti, leggende, complotti, ricordi di ciò che era stato Hel durante la loro vita e dopo la loro morte. Essi erano tuttavia ormai legati alla terra di An, assai più di quanto loro stessi credessero; le loro menti scivolavano sovente in pensieri sorprendentemente inumani, pensieri che corrispondevano alle forme di vita in cui i loro corpi avevano finito per assimilarsi: radici, foglie, insetti, perfino piccoli animali. Ed era proprio attraverso questa profonda conoscenza di An, intuì Raederle, che essi avevano potuto riconoscere e identificare il Portatore di Stelle, l’uomo nella cui forma non era compresa alcuna delle essenze intime di An.
L’avevano trovato quasi subito. Farr aveva rotto il silenzio per informarla, e lei non aveva voluto domandare quali sembianze egli avesse assunto. I Re seguirono il suo cammino standogli attorno, non troppo vicini, e Raederle immaginò con quale batticuore da parte sua allorché sui prati immersi nel lucore lunare avvertiva la loro spettrale presenza, o vedeva un uccello involarsi spaventato, o un topo di campo fuggire fra le stoppie. Aveva capito che lui non osava mantenere la stessa forma a lungo, e fu sorpresa nel constatare che ciò malgrado i Re non perdevano mai le sue tracce. Essi erano però un richiamo per la mente gravida di potere oscuro di cui lei aveva avuto una breve visione, e che si aggirava in quella terra. Nessun uomo di An, e certamente nessuno straniero, avrebbe potuto passare fra di loro inosservato; e il mago, rifletté, indubbiamente scandagliava ogni essere umano da essi incontrato. A sorprenderla ci fu anche il fatto che, sebbene cavalcasse da sola in quelle zone poco tranquille, lui non si avvicinasse a minacciarla. Forse, pensò, nel vederla portarsi dietro un teschio appeso alla sella e accamparsi a dormire nei boschi ignorando del tutto ogni pericolo, il mago aveva deciso che era soltanto una povera pazza.
Evitò di accostarsi ai contadini, cosicché non poté avere notizie di come e dove si estendevano i disordini; ma ovunque vide campi in cui nessuno si avventurava al lavoro, fattorie e granai chiusi e sorvegliati, e nobili che viaggiavano verso Anuin scortati da molte guardie armate. Sapeva che gli umori dei popolani e dei fattori dovevano esser stati inaspriti dalle continue molestie, e che entro breve tempo avrebbero trasformato le loro case in piccole fortezze, richiudendosi in se stessi, isolandosi, e che avrebbero accolto con le armi puntate qualsiasi viandante o sconosciuto. La sfiducia e la rabbia causate dall’assenza del Re sarebbero sfociate in scontri armati, in una guerra a cui avrebbero partecipato i vivi e i morti, tale che neppure Mathom sarebbe riuscito a riprenderla sotto controllo. E in quanto a lei, conducendo ad Anuin i Re di Hel avrebbe potuto far precipitare ancora gli eventi.
La ragazza pensò molto a questi fatti, specialmente la notte allorché distesa accanto al teschio era incapace di chiudere gli occhi. Cercò di prepararsi a quanto la attendeva esplorando i suoi poteri, ma aveva scarsa esperienza su cui basarsi. Era oscuramente conscia di ciò che poteva esser capace di fare, dei poteri intangibili come ombre chiusi in fondo alla sua mente, poteri che ancora non riusciva ad afferrare ed a controllare. Ad Anuin avrebbe fatto quel che avrebbe potuto fare; Morgon, se fosse stato in condizioni di affrontare il rischio, l’avrebbe aiutata. Forse Mathom sarebbe ritornato; forse i Re si sarebbero ritirati da Anuin senza radunare il loro esercito. Forse lei avrebbe trovato qualcos’altro da barattare con loro. Sperava che Duac, almeno in una certa misura, avrebbe capito. Ma ne dubitava.