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Arrivò ad Anuin nove giorni dopo la sua partenza dalle terre di Hellard. I Re cominciarono ad apparire solidi e concreti prima ancora di entrare nelle mura della città: una minacciosa e stupefacente scorta armata chiusa intorno all’uomo che aveva protetto. Raederle, che li aveva raggiunti, cavalcava alle loro spalle. Le strade di Anuin si presentarono loro insolitamente tranquille; non fu molta la gente che si fermò a guardare, fra attonita e spaurita, quel gruppo di cavalieri sui loro nervosi e feroci cavalli da battaglia, le loro teste coronate, le armature e le vesti d’oro e di broccato e le armi ingioiellate, nelle cui diverse fogge era racchiusa quasi l’intera storia della loro terra. Fra quelle scintillanti figure, nascosto in un mantello col cappuccio malgrado la calura, cavalcava l’uomo da essi scortato. Appariva rassegnato alla protezione di quelle guardie ultraterrene; senza neanche dar loro uno sguardo guidò lentamente il cavallo attraverso le vie della città e poi su per la leggera salita che conduceva alla dimora del Re. Il portone era aperto; nessuno li ostacolò quando entrarono nel vasto cortile. Mentre stavano smontando dalle selle ci fu una certa confusione fra gli stallieri subito occorsi: nessun servo né paggio, sotto il peso dello sguardo rovente di Farr, si azzardò ad accostarsi per prendere i loro cavalli. Raederle era rimasta un po’ indietro, e allorché oltrepassò da sola il portone li vide seguire la figura ammantellata su per gli scalini che portavano nel grande salone delle udienze. Le facce pallide e spaurite dei servi che la fissavano esitanti le fecero capire che tutti quanti, probabilmente, si stavano chiedendo se anche lei fosse un fantasma. Poi un paggio si decise a farsi avanti, prese le redini e con mano tremante le tenne ferma la staffa mentre smontava. Staccò l’involto del teschio dalla sella, se lo mise sottobraccio e lo portò con sé nel salone.

Una volta che fu nel grande locale vi trovò Duac, che in piedi dinnanzi a quel consesso di Re li fronteggiava ammutolito. Il giovane aveva la bocca spalancata, e quando s’accorse del suo ingresso le indirizzò uno sguardo vacuo. Il silenzio era tale che ebbe l’impressione di udire il rumore delle palpebre di lui, quando le sbatté. Ma il sangue defluì del tutto dal volto di Duac nel momento in cui vide il teschio di Farr. La giovane donna si accostò all’uomo incappucciato, chiedendosi perché egli non si voltasse a parlare. Giusto allora però lui si girò, quasi che avesse sentito i suoi pensieri, e fu lei a sentire la bocca spalancarsi storditamente. L’uomo che i Re avevano scortato e protetto attraverso Hel non era Morgon, ma Deth.

CAPITOLO DECIMO

Si fermò di colpo e lo fissò, in preda al più completo sbalordimento. L’uomo era pallido, con la pelle tesa sulle ossa del volto; aveva l’aria, dopo esser stato seguito per nove giorni dagli spettri di Hel, di non esser riuscito a dormire molto. Lei ansimò: — Tu! — Si volse a Farr, che stava percorrendo con occhi guardinghi e scrutatori ogni trave e angolo del salone. Duac aveva intanto ritrovato un po’ della sua presenza di spirito, e con una certa cautela si stava facendo strada fra il gruppo dei Re nella sua direzione. Essi non dicevano parola e si guardavano attorno con aria d’attesa, reggendo i loro scudi su cui animali senza nome incisi in metalli preziosi riflettevano la vivida luce che entrava dalle finestre. Il cuore della ragazza balzò in un tambureggiare di pulsazioni improvvise. Farr si volse a guardarla, quando trovò il fiato per esclamare: — Ma cosa stai facendo qui? Eri diretto a Lungold, quando ci lasciammo nell’entroterra!

La voce pacata e familiare dell’arpista suonò scossa, fragile: — Io non avevo alcun desiderio d’incontrare la Morgol o le sue guardie, nell’entroterra. Sono sceso lungo il Cwill fino a Hlurle, e ho trovato un passaggio su una nave diretta a Caithnard. Non ci sono più molti luoghi nel reame che mi siano rimasti aperti.

— E così sei venuto qui?

— È l’unico posto che ancora mi resta.

— Qui! — Disperata e furiosa non aveva saputo trattenere quel grido, che fece fermare Duac a qualche passo da lei. — Tu sei venuto qui, e per colpa tua io adesso ho condotto tutti i Re di Hel in questa casa! — Sentendo la rauca domanda senza parole di Farr nella sua mente, si volse tremando. — Tu hai scortato l’uomo sbagliato! Lui non è neppure un cambiaforma!

— Lo abbiamo trovato in questa forma, ed egli ha scelto di mantenerla — rispose sorpreso Farr, sulla difensiva. — Era lui l’unico straniero che si spostasse segretamente attraverso Hel.

— C’era forse soltanto lui? Che misero modo di mantenere un patto è stato il tuo! Neppure se aveste cercato nei più luridi vicoli e angiporti del reame avreste potuto trovare un uomo che desideravo vedere meno di costui!

— Io ho mantenuto il giuramento che ho fatto — disse Farr, e lei capì dall’espressione di Duac che quelle parole rimbombavano anche nella sua mente. — Il teschio è mio. Il patto che ci legava è sciolto.

— No! — Lei fece un passo indietro, con le mani artigliate sulle nude orbite e sul sogghigno del teschio. — Tu hai lasciato l’uomo che giurasti di proteggere da qualche parte in Hel, incalzato dalla morte ed esposto al pericolo d’essere scoperto da…

— Non c’era nessun altro! — ruggì Farr. Lei vide che quel grido esasperato intimidiva perfino Duac. Il Re venne avanti, fulminandola con occhi torbidi d’ira. — Donna, tu sei legata col tuo nome a un giuramento. Tu hai proposto il patto che m’ha condotto oltre la soglia di questa casa, dove Oen osò portare il mio cranio su una picca, e seguito ancora dalle mie maledizioni mi incoronò Re della sua mensa. Se tu non mi consegni quel teschio, io giuro su…

— Tu non giurerai niente! — Lei raccolse i riflessi di luce dagli scudi, li ravvivò nella sua mente e li trasformò in una fulgida rete di sbarre che fece lampeggiare nell’aria davanti a lui. — E non provare a toccarmi!

— Credi di poterci fermare tutti, strega? — ringhiò Farr. — Provaci!

— Fermo! — gridò Duac. Alzò una mano a palmo avanti, mentre gli occhi di Farr si giravano a dardeggiare rabbia su di lui. — Fermati! — ripeté, e l’autorità disperata che gli vibrava nella voce arrestò l’impulso furente dell’altro. Duac oltrepassò cautamente le sbarre di luce, si accostò a Raederle e le poggiò le mani sulle spalle. Nel guardarlo lei ebbe l’impressione di vedere in parte il volto di Ylon, le stesse sopracciglia arcuate, gli stessi occhi tormentati color del mare. Quel tocco, un tocco umano dopo nove giorni durante i quali era stata attorniata soltanto da esseri inumani, la fece tremare, e vide l’angoscia deformare il volto del fratello mentre egli sussurrava: — Che cosa hai fatto a te stessa? E cos’hai fatto a questa casa?

Restituendogli lo sguardo desiderò disperatamente rivelargli il complicato intreccio degli avvenimenti di quei mesi, e di fargli capire perché tornava a casa coi capelli che le pendevano spettinati fino in cintura, perché altercava con un Re morto sul suo teschio, perché poteva in apparenza trasformare l’aria in sbarre di pura fiamma. Ma di fronte al volto ringhioso di Farr non osò mostrare segni di debolezza. Esibì un tono fermo: — Abbiamo fatto un patto, Farr e io…

— Farr! — dissero le labbra di lui quasi senza suono, e lei deglutì saliva, annuendo.

— Ho convinto Hallard Albanera a darmi questo teschio. La notte stessa, mentre Hel era in sommossa, ho vegliato circondandomi di fuoco, lavorando col fuoco, e all’alba avevo abbastanza potere per contrattare con lui. Il Portatore di Stelle stava venendo ad Anuin attraverso Hel; Farr ha giurato di riunire i Re e di proteggerlo in cambio del teschio. Ha giurato sul suo nome e sul nome di tutti i Re di Hel. Ma non ha mantenuto la sua parte del patto. Non ha neppure cercato di trovare un cambiaforma; ha semplicemente fatto da scorta al primo straniero che ha visto viaggiare per Hel…