— Lo straniero non ha fatto obiezioni — disse la voce di Evern il Falconiere fredda come una lama nella sua mente. — Gli davano la caccia, e ha usato la nostra protezione.
— Certo che gli davano la caccia! — Lui… — s’interruppe, mentre cominciava a capire solo allora la vera entità del pericolo che aveva portato nella sua casa. Le mani le si fecero di ghiaccio sulle ossa del teschio. Sussurrò: — Duac… — Ma lui s’era voltato a fissare l’arpista.
— Perché siete venuto qui? Il Portatore di Stelle non è ancora giunto ad Anuin, ma voi dovevate sapere che i mercanti avrebbero raccontato ovunque ciò che gli avete fatto.
— Pensavo che vostro padre potesse essere tornato.
— E cosa vi aspettavate che mio padre vi dicesse, in nome di Hel? — chiese Duac, più meravigliato che irritato.
— Molto poco. — Deth li fronteggiava con la solita calma, ma sul suo volto c’era un fremito di preoccupazione, quasi che con un orecchio stesse ascoltando qualcosa al di là del loro udito. Raederle sfiorò un braccio del fratello.
— Duac! — La sua voce tremò. — Duac, credo di aver portato ad Anuin qualcos’altro, oltre i Re di Hel.
Lui chiuse gli occhi con un borbottio. — E cosa? Due mesi fa hai rubato la nave di nostro padre e sei svanita da Caithnard, lasciando Rood senza la minima idea di dove tu fossi e costringendolo a tornare a casa da solo e a cavallo. Adesso torni come sbucata dal nulla, accompagnata dai Re morti di Hel, da un arpista fuorilegge e con un teschio incoronato. E mi metti in guardia su qualcosa. Se il tetto di questo palazzo mi cascasse sulla testa fra un minuto, dubito che la mia sorpresa aumenterebbe. — Tacque un attimo, stringendole le spalle fra le mani. — Ti senti bene, almeno?
Lei scosse la testa. — Non importa. Oh, Duac! — mormorò. — Io stavo cercando di proteggere Morgon da Ghisteslwchlohm.
— Ghisteslwchlohm?
— Lui è… lui ha seguito Deth attraverso Hel.
L’espressione parve morire sul volto di lui. Girò gli occhi su Deth, poi le sollevò le mani dalle spalle, lentamente, come se sollevasse due pietre. — E va bene — disse, ma la sua voce era disperata. — Forse possiamo…
L’arpista lo interruppe in tono secco e duro: — Il Fondatore è ad An in questo momento.
— Io l’ho sentito! — ansimò Raederle. — Era dietro di te alle porte di Anuin. Ho sentito la sua mente cercare in tutti gli angoli di Hel; è passato attraverso i miei pensieri come un vento nero, e ho potuto sentire il suo odio, la sua rabbia…
— Quello non era il Fondatore! — disse Deth.
— E allora chi… — S’interruppe. Gli uomini che le stavano intorno, i vivi e i morti, erano immobili come figure di legno su una scacchiera. Scosse il capo, ammutolita, stringendo forte le bianche ossa che aveva fra le dita.
Con inattesa intensità l’arpista disse: — Non sarei mai venuto qui per mia scelta. Ma tu non mi hai lasciato alternative.
— Morgon? — disse. Stupita ricordò la silenziosa e improvvisa partenza di lui da Caithnard, ripensò alla mente che aveva trovato la sua come un’ala oscura e senza legge e che tuttavia non l’aveva minacciata. — Io… sono stato io a portarti qui, perché lui potesse ucciderti? — Il volto esausto e disperato dell’uomo bastò a farle intuire la risposta. Dalla gola le emerse un singhiozzo dove si mescolavano lo stordimento e l’angoscia. Fissò Deth ansimando, mentre un caldo flusso di lacrime le annebbiava la vista. — Ci sono cose per cui non si deve uccidere. Tutti noi saremo dannati per questo: tu per aver fatto di lui ciò che è, lui perché non vede quel che è diventato, e io per avervi portati faccia a faccia. Tu lo distruggerai perfino con la tua morte. Quella è la porta! Finché hai tempo trova una nave e fuggi da Anuin!
— Dove?
— Dovunque! Sul fondo del mare, se non c’è altro posto. Vattene a suonare l’arpa sulle ossa di Ylon, non m’importa. Basta che tu te ne vada, così lontano che lui dimentichi il tuo nome e ciò che hai fatto. Vai via…
— È troppo tardi. — La voce di lui suonò quasi dolce. — Tu mi hai portato qui in casa tua.
Sentendo un rumore di passi dietro di sé la ragazza si girò. Ma era soltanto Rood che, spettinato e rosso in viso dopo esser balzato giù da cavallo, si stava precipitando nel salone. Il suo sguardo stupito abbracciò quel gruppo di spettri, usciti dai loro sepolcri come a rendere solidi gli incubi di rivincita e di vendetta con cui da secoli tormentavano i regnanti di An, e si arrestò con uno scivolone. Il lampo che ebbe negli occhi rivelò a Raederle che li aveva riconosciuti. Il più vicino a lui era Ohroe il Maledetto, il cui volto era orrendamente squarciato dal colpo di spada che l’aveva ucciso, e costui afferrò Rood per il colletto della tunica tirandolo indietro verso di sé. Il suo braccio sinistro rivestito di maglia metallica uncinò il giovane attorno alla gola, mentre un pugnale balenava nell’altra mano levata in alto; la punta aguzza si premette sotto la mandibola di Rood. — E adesso — esclamò l’uomo, — faremo un patto d’altro genere!
Il guizzo di terrore e di furia che nacque nei pensieri di Raederle s’impadronì del riflesso sulla lama del coltello e lo trasformò in un’abbagliante freccia di luce bianca, che si conficcò negli occhi di Ohroe. L’individuo ansimò, lasciando cadere l’arma. Le rabbiose gomitate con cui Rood cercava d’ammaccargli le costole attraverso la cotta di maglia sembrarono aver poco effetto, ma quando l’altro si trovò con la testa avvolta da un piccolo sole di fuoco fu costretto a portarsi le mani al viso. Rood lo spinse via e corse alla parete destra del salone, staccando dal muro la grossa spada di bronzo antico che era appesa lì fin dalla morte del Re Hagis. Agitandola ferocemente andò a mettersi al fianco di Duac, che però alzò le mani in un gesto rabbioso: — Vuoi abbassare quest’arma, per favore? L’ultima cosa che voglio è un torneo alla spada in questa casa!
I Re di Hel s’erano riuniti compatti, senza produrre alcun rumore ma più solidi che mai. Davanti a loro l’arpista, lo sguardo perso nel vuoto come se la sua attenzione fosse focalizzata su tutt’altri avvenimenti lontani, sembrò risaltare per la sua immobilità assoluta; nel vederlo Rood imprecò fra i denti. Impugnò la spada saldamente e disse: — Non mi fanno paura. Male che vada ci troveremo ad essere fantasmi anche noi, e ci batteremo come si battono loro. Chi li ha portati qui? Deth?
— Raederle.
Rood si volse di scatto. Solo allora parve accorgersi della presenza della sorella, seminascosta dalla figura di Duac. Vide i suoi capelli scarmigliati, il viso stanco, il teschio fra le sue mani, e la punta della spada si abbassò sul pavimento con un lieve tintinnio. Un fremito di sorpresa gli increspò la bocca.
— Raederle? Ti ho guardata senza neanche riconoscerti, così conciata! — Gettò la spada sui mosaici del pavimento e le si avvicinò, tendendo le braccia, ma le sue mani ricaddero prima di toccarla. Nello sguardo stranito che le diede ella lesse che dentro di lui qualcosa si torceva, esitava, avvertendo i suoi nuovi e insoliti poteri. Rood mormorò: — Cosa ti è successo? Cos’è che accade a tutti quelli che tentano di fare questo dannato viaggio al Monte Erlenstar?
Lei deglutì a vuoto. Tolse una mano dal teschio per sfiorargli un braccio. — Rood…
— Dove hai preso questi poteri? Sono molto diversi da qualsiasi cosa tu abbia mai avuto in passato.
— Li ho sempre avuti.
— E da cosa li hai avuti? Io sono qui che ti guardo, e mi sembra di non sapere neanche chi sei!
— Tu sai chi sono — sussurrò lei, con la gola secca. — Io appartengo ad An e…
— Rood! — lo chiamò Duac. Nella sua voce c’era una nota d’apprensione così strana che il fratello fu indotto a distogliere gli occhi dal volto di Raederle. Duac stava fissando la soglia del salone; annaspò con una mano dietro di sé come per invocare Rood accanto a sé. — Rood… quell’uomo! Chi è quell’uomo? Non dirmi che quello che sto pensando è vero…