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— Se devo dire la mia impressione — borbottò Duac nel suo boccale di vino, — mi è sembrata più la partenza per una partita di caccia che per una ricerca: smaniavano di gareggiare per stabilire chi avrebbe riportato a casa la preda. — Qualcosa nei suoi occhi disse a Raederle che lui e Mathom avevano discusso di nuovo. Il giovane fissò il padre. — E tu li hai lasciati volar via starnazzando come un branco di anatre. Dovresti poter esercitare ben altro controllo sui tuoi nobili. Non ho mai visto in vita mia un concilio degenerare in un tale caos, e a volere questo sei stato tu. Perché?

Raederle sedette accanto a Elieu, che le elargì un boccale di vino e un sorriso. Mathom era in piedi, e alle parole di Duac replicò con uno dei suoi rari gesti d’impazienza. — Non concepisci l’eventualità che io possa essere preoccupato per qualcuno?

— Non mi sei parso affatto sorpreso quando ti hanno detto che lei se n’era andata. E non mi hai chiesto di seguirla. L’hai forse fatto? No. Eri molto più ansioso di spedirmi a Caithnard. E intanto tu che avresti fatto?

— Duac! — Mathom schioccò le dita, esasperato, e il giovane chinò il capo. Il cipiglio del Re si spostò sulla figlia. — Ti avevo detto di stare alla larga da Hel. La tua iniziativa ha avuto delle conseguenze poco divertenti, sia sui maiali di Hel che sul mio concilio.

— Mi spiace, padre. Ma ve l’avevo detto che sentivo il bisogno di allontanarmi da casa per un poco.

— Così irrazionalmente? Cavalcando a spron battuto da qui a Hel e ritorno, senza scorta?

— Sì — rispose lei, e l’uomo emise un mugolio.

— Come posso pretendere ubbidienza dal mio popolo, quando non riesco neanche a tenere ordine in casa mia? — La domanda era retorica, visto che finiva sempre per ottenere sia dal popolo che dai suoi familiari tutto ciò che voleva.

Duac osservò, con stanca e ostinata pazienza: — Se tu provassi per una volta nella tua vita a spiegarci quello che pensi, forse le cose andrebbero più lisce. Forse farei lo sforzo di ubbidirti, perfino io. Cerca di tirar fuori due parole per farmi capire perché dovrei riportare Rood a casa, e perché la cosa è tanto imperativa. Tu dimmelo, e io ci andrò.

— State ancora litigando su questo? — chiese Raederle. Fissò il padre, incuriosita. — Perché volete che Duac riporti Rood a casa? Perché volevate che stessi lontana da Hel, quando sapete che nella terra di Raith sono al sicuro come nel mio giardino?

— Quand’è così — disse Mathom, ignorando la domanda, — Tu Duac, puoi scegliere: o vai a Caithnard a prendere Rood, oppure manderò semplicemente una nave con un ordine per lui. Cosa credi che preferirebbe?

— Ma perché…

— Lascia che ci si arrovelli pure le meningi. È stato addestrato per rispondere agli enigmi, e questo gli darà qualcosa a cui pensare.

Duac unì le mani, intrecciando le dita fino a farsi venire le nocche bianche. — Va bene — disse rigidamente. — Va bene. Ma io non sono un Maestro degli Enigmi, e ho bisogno che le cose mi vengano spiegate. E se non mi dici esattamente perché quello che diverrebbe il mio Erede dopo la tua morte deve venire qui, io giuro sulle ossa di Madir che tutti i fantasmi di Hel cavalcheranno attraverso questa porta prima che io riporti Rood ad Anuin.

Sul volto di Mathom ci fu una contrazione così angosciosa che Raederle ne fu sbalordita. Anche Duac la notò, e pur mantenendo la sua espressione ostinata fu scosso da un fremito. Poi allargò le mani, ma solo per afferrare allo spasimo il bordo del tavolo. — Tu vuoi lasciare An!

Il silenzio divenne così pesante che Raederle poté udire in distanza le strida dei gabbiani, sulla costa. Nel suo animo qualcosa di simile a un nodo duro lasciatole dall’inverno si sciolse all’improvviso. I suoi occhi si offuscarono di lacrime, e la figura del padre le apparve confusa e velata attraverso di esse. — Voi vi proponete di andare al Monte Erlenstar! Per domandare del Principe di Hed! Per favore… voglio venire con voi!

— No — rispose l’uomo sottovoce, quasi dolcemente.

Elieu girò la testa, spostando gli occhi dall’uno all’altro. Ansimò: — Mathom, non potete farlo. Perfino un pazzo capirebbe che…

— Ciò che mio padre ha progettato — lo interruppe Duac, — non è soltanto un semplice viaggio al Monte Erlenstar e ritorno. — Si alzò in piedi così bruscamente che la sedia stridette via sul pavimento. — È così?

— Duac, in un periodo in cui anche; muri hanno orecchi io non ho intenzione di rivelare i miei progetti al mondo intero.

— lo non sono il mondo. Io sono il tuo Erede della terra. Tu non ti sei mai sorpreso di niente in vita tua: né quando Morgon vinse quella gara di enigmi contro Peven, né quando Elieu ti ha detto del risveglio dei figli dei Signori della Terra. I tuoi pensieri sono calcolati come le mosse di una partita a scacchi, ma io sono convinto che neppure tu sappia esattamente contro chi stai giocando. Se tu non volessi altro che andare al Monte Erlenstar, non manderesti a chiamare Rood. Tu non sai dove stai andando, non è vero? Né ciò che vuoi trovare, e neppure quando potrai tornare indietro. E sai che se i Nobili delle Tre Parti di An fossero qui a udire queste parole, le loro grida farebbero staccare le travi dal soffitto. Eppure vuoi lasciare me a far fronte al clamore che ci sarà e vuoi sacrificare la pace della tua terra per qualcosa che non riguarda te, bensì soltanto Hed e il Supremo.

— Il Supremo! — La smorfia dura che fece torcere la bocca del Re parve dare un sapore sconosciuto a quel nome. — I sudditi di Morgon si rendono appena conto che al di fuori di Hed esiste un mondo. E se non fosse per alcuni fatti, mi verrebbe quasi da domandarmi se il Supremo sa che Morgon esiste.

— Questo non è affar tuo! Tu sei responsabile verso il Supremo per il governo di An, e se permetti che la tua autorità si sfaldi nelle Tre Terre…

— Non ho nessun bisogno che mi si ricordino le mie responsabilità!

— Come puoi startene lì e dirmi che intendi lasciare An per un periodo indefinito? Come puoi dirmi questo?

— Riusciresti a credermi, se ti dicessi che soppesando le due cose sulla bilancia la più leggera è una momentanea confusione in An?

— Momentanea confusione! — esclamò Duac. — Se tu finissi chissà dove e restassi assente da An troppo a lungo, getteresti questa terra nel caos. Rilassa il tuo controllo sulle Tre Parti di An, e vedrai i fantasmi dei defunti Re di Hel e di Aum prendere d’assedio Anuin, e l’ombra di Peven aggirarsi in queste stesse sale alla ricerca della sua corona. E se tu svanissi nel nulla come Morgon, tutta An precipiterebbe nella confusione e nel terrore.

— È possibile — ammise Mathom. — Ormai da troppo tempo nella sua storia An non ha altri avversari che se stessa. Riuscirà dunque a sopravvivere a se stessa.

— E un tale caos non ti sembra forse il peggiore dei destini? — gridò Duac, disperato e sbalordito dinnanzi all’espressione implacabile del Re. — Come puoi pensare di far questo alla tua terra? Non ne hai il diritto. E se non badi a ciò che fai, rischi di perdere il governo della terra!

Elieu si piegò in avanti, afferrando il giovane per un braccio. Raederle era rigida, incapace di trovare parole per placarli. Poi la fanciulla scorse con la coda dell’occhio uno sconosciuto, che il grido di Duac aveva fatto bruscamente fermare all’ingresso del salone. Era un individuo giovane e robusto, vestito molto semplicemente con panni di lana grezza e giubba in pelle di pecora; i suoi occhi girarono sullo sfarzo del locale uno sguardo meravigliato, quindi si fermarono stupiti sul gruppetto. La fanciulla notò sul suo volto rude ma sensibile una tale preoccupazione e un’angoscia che il suo cuore rallentò i battiti. Subito si mosse verso di lui, d’istinto, con la strana sensazione d’aver fatto un passo nell’irrealtà. Nell’atteggiamento di lei ci fu qualcosa che azzittì la lite del padre e del fratello. Mathom si volse. Lo sconosciuto si agitò a disagio, poi si schiarì la gola.