— Il nome di chi? — chiese Duac. Raederle, scossa dall’orrore, immerse il viso contro una spalla di Morgon.
— Non si è preso la briga di dirmelo.
— Se vogliono la pietra, possono ritrovarla da soli — disse Raederle stancamente. Lui non aveva risposto alla domanda di Duac, ma avrebbe risposto a lei, più tardi. — Nessuna ha… la cambiaforma non ha potuto sapere niente da me. Adesso è in fondo al mare, con la corona di Peven… — Rialzò la testa, volgendosi di scatto a Duac. — Io credo che nostro padre sapesse tutto del Supremo. E di… probabilmente anche di me.
— Non ne dubito. — Duac ebbe una smorfia pensosa. — Talvolta penso che sia nato sapendo già tutto. Salvo come ritrovare la strada di casa.
— E nei guai? — domandò Morgon. Duac lo fissò un attimo, sorpreso, poi scosse la testa.
— No… almeno, non credo. L’avrei sentito, se fosse così.
— Allora so io dove può essere andato. Lo ritroverò.
Rood attraversò il salone e si accostò a loro. Il suo volto era rigato di lacrime, ma esibiva la stessa altera e placida espressione che si portava dietro nei suoi anni di scuola e nelle risse da taverna. A bassa voce disse a Morgon: — Io ti aiuterò.
— Rood…
— Lui è mio padre. Tu sei il più grande Maestro del reame. E io sono un Maestro Apprendista. E possa io essere sepolto accanto a Farr di Hel se ti lascerò uscire da questa casa nello stesso modo in cui ci sei entrato: da solo!
— Non ne ha bisogno — disse Raederle.
Duac protestò con tono basso e deciso: — Rood, tu non puoi lasciarmi solo con questi Re. Non so neanche i nomi di metà di loro. Quelli che sono riusciti ad arrivare fin qui potranno esser tenuti sotto controllo per un poco, forse, ma per quanto? Aum si solleverà, e anche l’ovest di Hel. In tutta An ci sono soltanto cinque persone che non si lasceranno prendere dal panico, e tu ed io siamo in questo numero.
— Io ci sono davvero?
— Nessuno spettro — tagliò corto Morgon, — entrerà ancora in questa casa. — Soppesò il teschio fra le mani, sotto lo sguardo degli altri, e poi lo gettò a Farr. Il Re lo prese al volo senza alcun rumore, vagamente stupito, come se avesse dimenticato che cosa fosse. Morgon fronteggiò l’immobile gruppo dei fantasmi, con le mani sui fianchi. — Volete una guerra? Io posso darvene una. Una guerra fatta di disperazione, per la terra stessa. Se la perderete, state certi che vagherete come ombre lacrimevoli da un capo all’altro del reame senza mai più trovare un luogo dove riposare in pace. Quale specie di onore, sempre che i morti si preoccupino dell’onore, avete trovato facendo fuggire il toro di Cyn Croeg fino ad ammazzarlo?
— Quella è stata una vendetta — puntualizzò Farr.
— Sì, lo è stata. Ma io sigillerò questa casa su di voi pietra su pietra, se dovrò farlo. Agirò secondo come voi mi costringerete ad agire. E io non mi preoccupo molto dell’onore. — Fece una pausa, poi aggiunse lentamente: — Non ho neppure gli scrupoli che potrebbero avere i morti o i vivi di An, legati alla vostra stessa terra.
— Tu non hai nessun potere sui morti di An — intervenne Oen. Ma il suo tono era quello di una domanda. Negli occhi di Morgon apparve una luce dura come la roccia del Monte Erlenstar su cui era stato disteso.
— Io ho imparato da un maestro — disse. — Voi potete combattere le vostre battaglie prive di significato, cadute nel dimenticatoio. Oppure potete battervi contro coloro che hanno dato a Oen quel suo erede, che vogliono distruggere Anuin, ed Hel, e anche la terra a cui siete legati, se li lascerete fare. Ed è una cosa — aggiunse, — che riguarda tutti voi.
Evern il Falconiere chiese: — E che possibilità abbiamo?
— Io non so dirvelo. Forse nessuna. — Morgon strinse i pugni e mormorò: — Ma giuro sul mio nome che, se potrò, vi darò una possibilità.
Fra i vivi e i morti tornò a cadere il silenzio. Quasi con riluttanza si volse a Duac con una domanda negli occhi. Il giovane ne comprese l’essenza, grazie all’istinto che lo legava alla terra di An.
La sua voce suonò decisa: — Tu puoi fare ciò che vuoi in questa terra. Chiedimi tutto quello di cui avrai bisogno. Io non sono un Maestro, non ho compreso bene ciò che hai fatto e detto in questa dimora. Non posso neppure cominciare a capire. E non so come tu possa avere un qualche genere di potere sulle leggi della terra di An. Tu e mio padre, quando lo avrai ritrovato, potrete parlarne fra voi. Tutto ciò che so è che in me c’è un istinto che mi spinge a fidare ciecamente in te. Al di là della ragione, e al di là della speranza.
Sollevò la spada e la porse a Morgon. Le stelle rifletterono i raggi del sole al tramonto con inaspettata dolcezza. Morgon fissò Duac senza muoversi. Fece per parlare ma non ci riuscì. D’improvviso volse gli occhi sulla soglia vuota; osservandolo Raederle si chiese cosa stesse guardando oltre il cortile, oltre le mura di Anuin. Infine le dita di lui si chiusero sull’elsa stellata, e sollevò l’arma dalle mani di Duac.
— Grazie. — Sul suo volto gli altri videro sciogliersi il tormento dei ricordi, come un velo che stesse cadendo, e i lineamenti gli si distesero. Alzò l’altra mano, sfiorò il volto di Raederle e sorrise. Poi ebbe un sospiro incerto. — Io non ho niente da offrirti. Neppure la corona di Peven. Neppure la pace. Te la sentiresti di attendere il mio ritorno, come già hai atteso, ancora per un po’? Non sono in grado di dirti quanto. Dovrò passare da Hed, e poi dovrò andare a Lungold. Io cercherò di… cercherò di…
Il sorriso di lei si spense. — Morgon di Hed — disse, secca. — Se oserai fare un passo oltre quella porta senza di me, io metterò un incantesimo sul tuo secondo passo, e poi sul terzo, e su tutti gli altri, finché da qualunque parte tu voglia andare essi ti riporteranno qui dentro!
— Raederle…
— Posso farlo. Vuoi sfidarmi a provarci?
Lui tacque, lottando coi suoi desideri e con il timore che aveva per la sorte di lei. Poi sbottò: — E va bene! Vuoi aspettarmi a Hed, allora? Credo di poter fare in modo di arrivare fin là con te senza difficoltà.
— No!
— Allora preferisci…
— No!
— D’accordo. Vuoi forse…
— No!
— Allora desideri venire con me? — sussurrò lui. — Vuoi? Perché io non potrei sopportare di lasciarti.
Lei gli passò le braccia intorno al collo, e nel farlo si chiese quale strano e pericoloso futuro stesse scegliendo. Ma quando una mano di lui le scivolò dietro la schiena, stringendola stavolta senza nessuna gentilezza e con fiero atto di possesso, alzò gli occhi a fissarlo con aria di sfida. — Meglio così. Perché ti giuro, sul nome di Ylon, che tu non mi lascerai mai più!