Выбрать главу

— Signori, io… sono Mastro Cannon. Sono il fattore che si occupa delle terre del Principe di Hed. E ho un messaggio per il Re di An da parte di… del Principe di Hed.

— Io sono Mathom di An.

Raederle fece un altro passo avanti. — E io sono Raederle — sussurrò, deglutendo un improvviso groppo di saliva che le s’era formato in gola. — Morgon è… Chi è il Principe di Hed?

La domanda fece ansimare Mathom. Mastro Cannon la fissò come ammutolito per qualche istante, poi rispose: — È Eliard.

Nell’incredulo silenzio che era piombato nel salone l’esclamazione del Re risuonò come una frustata: — Com’è successo?

— Nessuno… signori, nessuno lo sa esattamente. — Tacque, e parve vacillare. — Tutto ciò che Eliard sa è che Morgon è morto cinque giorni fa. Noi non sappiamo come, né dove, soltanto che è accaduto in circostanze misteriose e terribili. Eliard ha sognato molto spesso di Morgon l’anno scorso, e ha sentito che qualcosa… qualcosa come un potere senza nome opprimeva la mente di Morgon. E lui non… non sembrava in grado di liberarsi da esso. Alla fine, anzi, non sembrava neppure conoscere se stesso. Noi non sappiamo fare la minima supposizione su ciò che gli stava accadendo. Ma cinque giorni fa Eliard ha sentito che il governo della terra passava su di lui. Di conseguenza, ricordando quale fu il motivo per cui Morgon partì da Hed l’anno scorso, Eliard ha deciso… — Fece una pausa, mentre un flusso di rossore gli saliva alle guance. Si rivolse a Raederle, esitante e accigliato: — Signora, noi non sappiamo se voi avreste voluto decidere di venire a Hed. Voi sareste stata… più che benvenuta. E abbiamo pensato che fosse vostro diritto sapere questo. Io ero già stato una volta a Caithnard, così mi sono offerto di fare il viaggio fin qui.

— Vedo. — La fanciulla cercò di placare i tremiti che le avevano chiuso la gola. — Riferitegli… che io sarei venuta. Che sarei stata lieta di venire.

L’uomo chinò il capo. — Vi ringrazio d’aver detto questo, signora.

— Un anno! — sussurrò Duac. — Voi sapevate cosa gli stava accadendo. Lo sapevate. Perché non l’avete detto a nessuno? Perché non ci avete informati prima?

Mastro Cannon strinse i pugni. Con voce angosciata rispose: — È quello che… che anche noi ci domandiamo, adesso. Solo che… continuavamo a sperare. A Hed nessuno aveva mai chiesto aiuto ad altri, fuori dell’isola.

— Vi è giunto qualche messaggio dal Supremo? — chiese Elieu.

— No, niente. Ma non c’è dubbio che l’arpista del Supremo verrà a esprimerci le sue condoglianze per la morte di… — Si raddrizzò, cercando di scacciare l’amarezza dalla sua voce. — Mi spiace. Noi non possiamo… non possiamo neppure seppellirlo nella sua terra. Signori, io fuori da Hed sono ignorante come una pecora; uscendo da qui mi sarà perfino difficile ritrovare la strada per tornarmene a casa. Così vorrei domandare a voi se, qui sul continente, la morte di un governatore della terra è cosa tanto comune che il Supremo non se ne preoccupi neppure.

Duac fece per parlare, ma Mathom lo prevenne: — Niente affatto! — sbottò, secco. Incoraggiato dall’espressione dei suoi occhi Cannon fece qualche passo verso di lui. La sua voce si fece rauca:

— Allora cos’è successo, signore? Chi l’ha ucciso? E dove, se il Supremo stesso non si cura di dirci una parola, a chi possiamo rivolgerci per avere una risposta?

Il Re di An parve sul punto di cacciare un Urlo che avrebbe potuto far esplodere via le finestre del salone. In un sibilo disse: — Io ti giuro, su tutte le ossa dei miei antenati, che ti porterò questa risposa, dovessi tornare fuori dalla tomba per farlo!

Duac si premette i pugni sulla fronte. — E sarà quel che accadrà! — gridò, guadagnandosi un’occhiata sbigottita di Cannon. — Ma se te ne andrai vagando per il reame come un venditore ambulante, e quell’ombra che ha ucciso Morgon annienterà anche te, non venire a tormentare i miei sogni perché io non vorrò guardarti!

— E allora guarda la mia terra — disse Mathom sottovoce. — Duac, nel reame c’è qualcosa che divora la mente degli uomini, qualcosa che si agita nelle viscere della terra e che dentro di sé ha più odio di quanto ce ne sia nelle ossa dei morti di Hel. E quando verrà alla luce non ci sarà un filo d’erba di questa terra che non ne sarà sconvolto.

L’uomo uscì dal salone con tale rapidità che Duac ebbe un sussulto. Sbatté le palpebre, fissando il punto dove fino a qualche attimo prima Mathom era stato in piedi. Cannon disse, come annichilito: — Mi dispiace… signori, mi dispiace. Io non avrei mai creduto di…

— Non è stata colpa tua — disse gentilmente Elieu. Era pallido. Sfiorò una mano di Raederle, che lo guardò senza vederlo, e si volse a Duac. — Tornerò a Hel e resterò là. Farò tutto ciò che potrò.

Duac si passò una mano sulla faccia e fra i capelli. — Ti ringrazio. — Guardò Cannon. — Puoi credere a mio padre. Scoprirà chi ha ucciso Morgon e perché, e lo riferirà a voi anche se dovesse davvero uscire dalla tomba. Ha giurato di farlo, e i suoi giuramenti lo legano fin oltre la morte.

Cannon ebbe un brivido. — A Hed le cose sono molto più semplici. Le cose che muoiono restano morte.

— Vorrei che fosse così anche in An.

Raederle aveva girato gli occhi verso il cielo ormai scuro fuori dalle grandi finestre. Gli poggiò una mano su una spalla. — Duac…

Un vecchio corvo stava volando sopra il giardino. Indugiò un poco, poi si lasciò portare dal vento verso i tetti di Anuin. Duac lo seguì con lo sguardo, come se qualcosa in lui fosse legato al volo libero e lento dell’uccello nero. Con voce stanca disse: — Spero che non si trovi ad essere abbattuto da un cacciatore e messo in pentola per la cena.

Cannon lo fissò stupefatto. Raederle, con gli occhi ancora incollati al volatile che s’allontanava nel viola cupo del tramonto, sospirò: — Qualcuno dovrà recarsi a Caithnard per dirlo a Rood. Andrò io. — Poi si coprì gli occhi con le mani e pianse per quel giovane studente con la toga bianca dei Novizi che un giorno le aveva appoggiato una conchiglia all’orecchio, per farle sentire la voce del mare.

CAPITOLO SECONDO

La giovane donna giunse a Caithnard quattro giorni più tardi. Il mare verdastro e spumeggiante le faceva pensare agli occhi e alla pelle di Ylon, e la nave fu spinta nel porto dalle onde che la facevano rullare e beccheggiare. Quando venne ormeggiata alla banchina ne sbarcò con sollievo. Si fermò a osservare i marinai che scaricavano da un vascello lì accanto sacchi di granaglie, cavalli da tiro, pelli di pecora e balle di lana. Da una nave dipinta in arancione e oro vide portare a terra cavalli di razza diversa, dai grandi zoccoli e col pelame dorato. Anche il suo bel cavallo da sella venne fatto sbarcare. Bri Corbett, il comandante della nave al servizio di suo padre, percorse la passerella continuando a gridare istruzioni all’equipaggio, e scese per farle da scorta fino alla Scuola. L’uomo diede un’occhiataccia a uno scaricatore che, da sotto il suo sacco di grano, fissava Raederle con ammirazione troppo evidente, facendolo ammutolire. Prese i due cavalli per le redini e cominciò a farsi lentamente strada sui moli affollati.

— Quella dev’essere la nave di Joss Merle, arrivato adesso da Osterland, ci scommetterei — disse, indicandole un panciuto vascello dalle vele verdi. — Carico fino a scoppiare di pelli. Come fa a navigare dritta una tinozza così rotonda non l’ho mai capito. Ed ecco laggiù Halster Tull, ritto sulla poppa della nave, quella arancione. Ah, scusatemi signora. Per un uomo che una volta faceva il mercante, venire a Caithnard in primavera è come essere nelle cantine di vostro padre con un boccale vuoto in mano: non so quale botte guardare per prima.