Per nulla sorpresa da quelle parole, Raederle annuì. — Immaginavo qualcosa di simile. Bene, c’è ancora una notizia che devo darti.
Lui esaminò stancamente il proprio boccale. — Quale?
— Nostro padre ha lasciato An cinque giorni fa esattamente per lo stesso motivo. Lui… — Tacque, perché Rood aveva abbattuto un pugno sul tavolo con tale violenza che un mercante seduto lì accanto rischiò di rovesciare la sua birra.
— Ha lasciato An? E per quanto tempo?
— Lui non… Ha giurato sulle ossa di tutti i nostri antenati di scoprire chi o cosa ha ucciso Morgon. E non ritornerà prima di quel momento. Rood, ti prego di non gridare così.
Il giovane inghiottì d’un sorso il contenuto del boccale, e per un poco fissò la superficie del tavolo. — Il vecchio corvo!
— Sì… ha lasciato Duac ad Anuin, per spiegare la situazione ai nobili. Nostro padre era intenzionato a mandarti a chiamare perché tu aiutassi Duac, ma non voleva dirne il motivo. E il suo desiderio di farti interrompere gli studi ha reso furioso Duac.
— Duac ti ha mandato qui per riportarmi a casa?
Lei scosse il capo. — Non voleva neppure che ti parlassi. Ha giurato che non ti avrebbe mandato a chiamare neanche se tutti gli spettri di Hel avessero attraversato la porta del nostro palazzo.
— Ha detto questo? — sbottò Rood, meravigliato e disgustato. — Sta diventando irrazionale come nostro padre. Vorrebbe che io stessi seduto qui a Caithnard, a studiare per ottenere un titolo ormai di scarso significato, mentre lui cerca di mettere ordine fra i vivi e i morti delle Tre Parti di An. Piuttosto preferirei tornarmene a casa e fare gare di enigmi con tutti i defunti Re.
— Lo faresti?
— Che cosa?
— Tornare a casa? È una cosa di… di minor valore che chiedere a te stesso di andare al Monte Erlenstar, ma Duac ha bisogno di te. E nostro padre…
— È un vecchio corvo dannatamente astuto e abile… — Tacque, accigliato, picchiettando con le unghie sull’orlo del boccale. Infine si rilassò contro lo schienale della sedia e sospirò. — Va bene. Non posso lasciare Duac a sbrogliarsela da solo. Almeno potrò dirgli contro quale dei Re morti ha a che fare, se non altro. A Monte Erlenstar non c’è niente che io possa fare meglio di nostro padre. Mi sarebbe piaciuto prendere il Nero dei Maestri, per mostrargli che riesco a vedere il mondo coi miei occhi. Ma se si metterà nei guai, non prometto che non andrò a cercarlo.
— Meglio così, perché c’è un’altra cosa che Duac ha giurato che non avrebbe fatto mai.
Lui ebbe una smorfia. — Duac deve aver smarrito tutto il suo autocontrollo. Non che io me la senta di biasimarlo.
— Rood… non hai mai sospettato che nostro padre possa sbagliarsi?
— Centinaia di volte.
— No. Non parlo dei suoi modi irritanti, frustranti, incomprensibili ed esasperanti. Intendo il fatto di essere in errore.
— Perché?
Lei rabbrividì appena. — Quando ha saputo della sorte di Morgon… è stata la prima volta in vita mia che l’ho visto sorpreso. Lui…
— A cosa ti riferisci? — Rood si piegò in avanti. — Parli di quel voto, e del fatto che fu Morgon a ottenere il diritto di sposarti?
— Sì. Allora non si meravigliò affatto, come avesse sempre saputo che ero destinata a sposare Morgon. Ho sempre sospettato che abbia il dono della precognizione. Credo sia per questo che la notizia della sua morte lo ha sbalordito.
Gli occhi di lui la esaminarono pensosi, speculativi e oscuri, in uno sguardo che le ricordò quello di Mathom. — Non saprei. È una cosa che stupisce anche me. Ma se fosse vero…
— Se fosse vero, allora Morgon è ancora vivo!
— Ma dove? E in che situazione si trova? E perché, in nome di tutte le radici del mondo, il Supremo non vuole aiutarlo? Il più grande di ogni enigma è proprio questo: l’incomprensibile silenzio che aleggia intorno a quella montagna.
— Bene. Se nostro padre è andato là il Supremo non potrà più restare tanto silenzioso. — Stancamente scosse la testa. — Io non so. Non so cosa devo sperare. Se fosse vivo, puoi immaginare che razza di sconosciuto sia diventato perfino per se stesso? E certo si starà chiedendo… si chiederà perché nessuno di noi, che gli abbiamo voluto bene, stia cercando di aiutarlo.
Rood aprì la bocca, ma la risposta che stava per darle parve rimanergli appiccicata alla lingua. Sì passò una mano sugli occhi. — Già. Sono stanco, sai? Ma se lui fosse vivo…
— Lo troverà nostro padre. Tu hai detto che vuoi aiutare Duac.
— Benissimo. Però… e sia pure. — Tornò a fissare il suo vino, lo finì in un sorso e spinse indietro la seggiola. — Meglio andare, adesso. Ho dei libri da imballare.
La fanciulla lo seguì all’esterno. Ma era appena uscita che ai suoi occhi la strada parve ricolma di un’affascinante e inattesa teoria di forme e colori sgargianti, e si arrestò. Rood le mise una mano su una spalla. Subito capì che per poco non era andata a immergersi in una piccola quanto elegante processione. Dinnanzi a tutti incedeva una donna. Costei montava un alto e bellissimo stallone nero, portava le trecce ritorte sopra la testa e simili a una scura corona ingioiellata, e indossava un abito di stoffa verde così fine e leggero che il vento glielo faceva aleggiare attorno come una nebbia. Le sei giovani donne che Raederle aveva già visto sul molo, la seguivano in doppia fila, in sella a cavalli dalle ricchissime e variopinte bardature, e ciascuna impugnava una lancia intarsiata d’argento. Una di esse, quella che cavalcava appena dietro la Morgol, aveva gli stessi capelli corvini e le somigliava moltissimo nei fini tratti del volto. Alle spalle di quella singolare guardia femminile venivano otto uomini appiedati, che portavano due grandi cestoni chiusi rinforzati con fasce di rame cesellato in oro. Costoro erano scortati da otto studiosi della Scuola, a cavallo come conveniva al loro rango e vestiti con le toghe rivelanti il grado: rosse, dorate, blu e bianche. La donna, che malgrado la ressa della strada cavalcava con l’olimpica calma con cui avrebbe attraversato un prato, abbassò improvvisamente lo sguardo su Raederle nel passare di fronte alla taverna; e al fugace tocco di quegli occhi d’oro la fanciulla avvertì come in uno scossone, insolito e profondo, la presenza di uno strano potere che penetrava dentro di lei.
Al suo fianco Rood mormorò: — La Morgol di Herun.
Quando però i sette cavalli furono passati la agguantò per un polso, trascinandola avanti così all’improvviso che lei vacillò qua e là sbilanciata. — Rood! — protestò, mentre il giovane quasi travolgeva alcuni stupefatti spettatori. Ma anch’egli stava gridando.
— Tes! Tes! — chiamò. Un po’ più avanti riuscì finalmente ad afferrare per le redini uno dei cavalli della Scuola, senza mollare Raederle che ansimava irritata. Tes, elegante nella sua nella toga rossa, abbassò lo sguardo su di loro.
— Che ti è capitato? Hai cercato di tuffarti dentro una bottiglia di vino senza accorgerti che era vuota?
— Tes, lasciami prendere il tuo posto. Fammi il favore. — Cercò di riprendere le redini, che l’altro gli aveva subito strappato di mano.