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«Consegna la tua spada,» mormorò Phaistro, duramente. «O farò cenno ai miei arcieri di tirare… e ti seppellirò in mare, come ha ordinato Minosse.»

«Scegli!» gracchiò l’ittita. «La vita, la vittoria e il trono di Minosse… oppure la morte!» I suoi occhi guardarono con ansia l’orizzonte settentrionale. «E decidi in fretta. Perché gli stregoni stanno mandando una tempesta, per affrettare il nostro ritorno in patria.»

Teseo vide la lama rabbiosa di un lampo uscire dalla nera parete di nuvole, a nord. I suoi occhi si posarono di nuovo su Tai Leng, che era ferma al timone, rigida e pallidissima, come se fosse stata in preda al terrore. E il corpo agile di Teseo si tese, in una decisione ferma e incrollabile.

«Se tu vuoi la Stella Cadente,» disse all’ittita, e sorrise anche all’ammiraglio, «dovrai venire a prenderla!»

Il viso di Amur si trasformò in un’orribile maschera di sdegno. Nero per la collera, l’ammiraglio si voltò, come se intendesse fare un cenno ai suoi arcieri in attesa. Ma Teseo lo fermò, indicando con un gesto le nubi temporalesche.

«Aspetta un momento, ammiraglio… se speri ancora di rivedere la terraferma!»

I due osservarono con diffidenza Teseo, il quale fece un cenno a Tai Leng. Muovendosi con la pigra grazia di una regina, la donna gialla lasciò il timone, e si avvicinò a Teseo. Una ventata fredda sollevò i lembi della sua veste strappata.

«Snish,» ordinò Teseo, «riprendi il tuo vero aspetto.»

Il volto dorato diventò pallido di paura. «Ma… padrone mio…»

«Obbedisci,» ordinò Teseo. «Oppure verrò io a toccarti.»

«Padrone,» singhiozzò Tai Leng, «la mia vita e la mia arte sono sempre tue!»

Bruscamente, allora, il piccolo Snish, con la sua faccia di rospo, apparve al posto della principessa del lontano Catai, e la veste di seta ricadde, formando buffe pieghe, sulla sua figura magra e deforme.

Lontano, un altro lampo squarciò la massa delle nubi.

CAPITOLO VI

Il viso di Snish era pallido quanto lo era stato quello della principessa, e i suoi occhi sporgenti erano l’immagine stessa del terrore. Debolmente, pigolò:

«Capitan Fuoco, che cosa desideri dal più insignificante dei tuoi schiavi?»

In piedi accanto a lui, Teseo mormorò:

«Credo che le tue difficoltà col tempo salveranno la vita a entrambi!»

Si rivolse ad Amur e all’ammiraglio. Entrambi avevano già tradito con l’espressione dei volti il timore per le arti dello stregone. Ora il viso di Phaistro era pallido e rigido. Amur, esangue, stava mormorando rapidamente un incantesimo.

«Temo proprio che vi siate ingannati,» disse loro Teseo. «Perché la tempesta che si sta avvicinando non è affatto opera di Minosse… né di nessuno, ammiraglio, che consideri con molta tenerezza la tua flotta.»

Indicò la valanga furiosa di nuvole nere che giungevano da nord, e poi indicò Snish, che stava visibilmente tremando.

«Questo è il mio mago,» annunciò, e alzò la voce, per farsi intendere al di sopra di un cupo mormorio di tuono che giungeva dalle nuvole tempestose. «È un grandissimo incantore babilonese, molto famoso in quelle lande remote, ed è lui il responsabile di questa tempesta. Dillo, Snish.»

Il piccolo mago annuì, con aria spaventata. Fece un breve inchino ad Amur e all’ammiraglio.

«Padroni, questo è vero,» gracchiò, mentre il vento ululava più forte. «La tempesta mi segue!»

Dando una rapida occhiata alla tempesta ormai vicina, l’ammiraglio si irrigidì, rabbioso.

«È assurdo!» disse, immediatamente. «Si vede benissimo che questo nanerottolo è spaventato a morte. Non cederò a un trucco così evidente. La tua spada, capitan Fuoco, oppure la tua vita!»

Ma Amur gli stava tirando il braccio, spaventato a morte, quasi quanto il mago:

«Tutti i maghi sono vigliacchi e codardi,» mormorò l’ittita. «Sta’ in guardia!»

«State in guardia!» ripeté Teseo, e il mare, a nord, si coprì di alte creste di spuma bianca. Improvvisamente, delle grosse gocce di pioggia si infransero sul ponte, e il vento sibilò con furia selvaggia. La galera rollò più velocemente.

«Tagliate i cavi,» gridò Teseo, al di sopra dell’ululato del vento e del ruggito del tuono, «finché siete in tempo!»

Amur e l’ammiraglio corsero sul ponte, e saltarono a bordo della nera ammiraglia. I marmai colpirono disperatamente le corde che tenevano unite le due galere, facendo balenare le asce. I vascelli si separarono, e il mare li fece scontrare di nuovo, con un terribile frastuono che imperversava ovunque, mentre gli elementi scatenati facevano udire ciascuno il suo grido.

Correndo ad aiutare Snish, al timone, Teseo si buttò a terra, per evitare un nutrito lancio di frecce. Ma quasi tutti i cretesi erano troppo occupati a sostenere l’assalto della tempesta, per preoccuparsi troppo di lui.

Teseo si appoggiò al timone, e la galera fu assalita dalle onde tempestose. Il fianco della galera si alzò, a causa del rollio, e il legno assorbì il secondo lancio di frecce. Poi la vela nera della nave ammiraglia si ruppe, con un rumore lacerante, e la sagoma nera del vascello cretese rimase indietro.

«Capitan Fuoco!» ansimò Snish, che non aveva ripreso le sue sembianze femminili. «Sciogli la vela! O ci rovesceremo!»

Teseo si aggrappò al timone, con tutte le sue forze, e il vascello avanzò in un’oscurità terrificante. Snish divenne verdastro, e si piegò sulla fiancata della nave.

Nella luce irreale della tempesta, si allontanarono dalla flotta, spinti dai venti turbinosi. La luce di un lampo rivelò gli scafi neri, disseminati sul mare, con le vele abbassate e gli uomini ai remi che cercavano di contrastare la furia degli elementi scatenati. E poi quelle immagini furono nascoste da una cortina di pioggia.

La notte scese sopra le nuvole, e il crepuscolo azzurrino s’incupì, e l’oscurità fu completa.

La galera si lamentava, scricchiolando e gemendo, sotto l’impeto degli elementi, e sobbalzò e affondò, mentre l’acqua percorreva il ponte. Ma Teseo rimase accanto a Snish, al timone, e la pilotò attraverso la tempesta, fino a quando la violenza degli elementi non si fu parzialmente placata.

«Raggiungeremo la costa di Creta,» gridò Teseo, «prima che questo vento cada.»

Snish gli venne vicino. Il suo viso era verdastro.

«Possiamo farlo, capitan Fuoco,» gracchiò, debolmente. «Possiamo arrivarci, portati dalle onde, nel buio, ed essere scagliati sulla terribile scogliera.» Un lampo lontano illuminò per un attimo la scena, che apparve cupa e livida. «Andiamo a est,» suggerì raucamente il mago. «Questo vento ci farà superare Creta all’alba. E più oltre, c’è l’Egitto che ci aspetta.»

«Ma Creta è la nostra destinazione.»

Snish ebbe un nuovo attacco di nausea.

«L’Egitto è una destinazione migliore,» borbottò, dalla fiancata della galera. «È una terra antica, capitan Fuoco, e ricca. I suoi dei abitano altrove, e disturbano raramente gli uomini, e i loro preti non possiedono i poteri maligni degli stregoni di Cnosso.»

Ritornò, barcollando, vicino a Teseo.

«Con la tua spada, capitan Fuoco, e le mie misere arti,» gracchiò, speranzoso, «potremo guadagnarci fama e ricchezza in Egitto. Potremo avere terre, e schiavi, e grandi onori.»

«Può darsi,» ammise Teseo, «ma noi andiamo a Creta. Hai udito bene l’ordine. Tu sai che lo stesso Minosse ha previsto che io vincerò i giochi. E lo manderò nel Labirinto, a supplicare pietà proprio dal suo dio nero! E potrò avere per me il trono di Creta e gli incantesimi dei suoi stregoni, e le grazie della bella Arianna… che potrò godere fino a quando non riuscirò a rovesciare l’Oscuro, e a porre fine al regno della magia!»

La mano tremante di Snish gli strinse il braccio, nell’oscurità. «Ma Minosse è forte, sul suo trono,» protestò lo stregone. «E lo ha conservato per mille anni. Mentre i tempi sono incerti in Egitto, e lo stesso Faraone trema davanti alla pressione degli invasori, alle frontiere settentrionali. Perché non unirci a questi invasori, capitan Fuoco? Tu potresti perfino diventare il nuovo Faraone.»