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«Andiamo a Cnosso.»

«Ma considera la follia di quest’impresa!» disse Snish, in tono urgente. «Non è la prontezza né il coraggio, e neppure l’abilità guerresca, quello che può far vincere i giochi minoici. È la magia. E Minosse è il più antico e il più grande di tutti i maghi. È un dio lui stesso! Perciò lui vince sempre… e coloro che vogliono conquistare il suo trono periscono sempre, di fronte alla sua magia.»

Teseo guardò il mare tenebroso.

«Vedremo,» disse, «abbiamo già superato la flotta.»

«Ma la flotta è soltanto la muraglia di legno di Cnosso, la città senza muraglie,» si oppose Snish. «C’è Talos, il gigante di bronzo, che i cretesi chiamano la seconda muraglia. E Talos, da solo, potrebbe abbattere le mura di qualsiasi città, e annientare tutti gli eserciti che hanno marciato sotto la luce del sole.

«E anche se riuscissi a superare Talos, c’è il segreto che viene chiamato la muraglia della magia. È conosciuto solo da Minosse e da sua figlia Arianna. Ma il suo strano potere è più forte di quello della flotta, è più forte perfino del gigante di bronzo.»

Snish, tremando per la paura e per il freddo, si aggrappò al braccio dell’alto acheo:

«Ora, capitan Fuoco,» gracchiò, speranzoso, «vogliamo andare in Egitto?»

«Ci andremo, piccolo stregone,» rise Teseo, «dopo aver distrutto Minosse, e spezzato il potere dell’Oscuro.»

«Allora,» disse Snish, con uno strano tono tra l’ironia e lo spavento, e la rassegnazione, «non vedremo mai l’Egitto.»

La notte continuò ad addensarsi intorno alla nave, e il vento del nord continuò a soffiare. Finalmente, a occidente, Teseo vide una luce dallo splendore rosso e verde.

La luce era quella di un faro, un fuoco acceso su di un’alta torre, per guidare le navi di Creta al sicuro, nella rada. Il suo colore, gli avevano detto, era dovuto a magici sali che venivano gettati sulle fiamme.

Svegliò Snish, che era riuscito a prendere sonno, e gli affidò di nuovo il timone; poi andò ad alzare la vela, per dirigersi da quella parte. Il vento era ancora forte, e ostacolava l’impresa.

La galera ondeggiò pericolosamente, e Snish tornò a sentirsi male.

«Non toccheremo mai terra vivi,» ansimò il piccolo stregone. «Il vento ci sta portando verso gli scogli!» Il suo piagnucolio diventò un grido stridulo. «Capitano… davanti a te!»

Teseo vide il riverbero della luce lontana sulle onde che si frangevano spumeggiando. Udì il rumore dell’acqua infuriata, e corse verso il timone. Ma la galera piombò sugli scogli. Dei denti aguzzi di roccia morsero lo scafo, l’acqua entrò nelle fosse vuote degli schiavi. L’albero maestro si spezzò e cadde.

Un istante di silenzio seguì lo schianto, e poi:

«Capitano, è l’incantesimo che mi segue!» piagnucolò Snish. «Nessuna nave, sulla quale io salga a bordo, giungerà mai sana e salva in porto!»

La galera ondeggiò pericolosamente, mentre l’onda si ritirava. L’ondata seguente inondò la prua, e Teseo pensò che, tra un attimo, sarebbero colati a picco. Ma l’onda passò senza provocare altri danni, frangendosi su due denti aguzzi di roccia.

Lo scafo rimase dov’era. Le onde più alte l’investivano, e la stiva cominciò a riempirsi d’acqua. I legni della nave scricchiolavano e gemevano. Teseo sapeva che, tra poco, la nave si sarebbe scomposta nelle parti che la formavano, sfasciandosi. Guardò a sinistra, in direzione del faro a due colori, cercando l’ombra più scura della terra.

Dopo poco tempo, l’alba rivelò le colline di Creta, con le macchie scure delle foreste di cipressi, verso nord. Teseo prese un’asse che si era spezzala, vi legò sopra delle corde, e le spinse in acqua. Snish cominciò a gemere e a piagnucolare, protestando che lui aveva sempre provato un grande terrore per l’acqua, e che non aveva mai imparato a nuotare. Teseo lo sollevò di peso, e lo gettò sull’improvvisata zattera. Il vento e la marea li spinsero lentamente verso la spiaggia.

Voltandosi, e guardando a nord, Teseo vide i raggi del sole illuminare delle vele nere, sparse disordinatamente in mare, molto distanti tra loro, minuscole per la lontananza.

«La flotta!» brontolò. «Phaistro ci sarà presto alle calcagna.»

Il piccolo stregone dava chiari segni di disagio, a cavalcioni com’era sull’improvvisata zattera, e sollevò un braccio per indicare la costa.

«La flotta di Phaistro non è niente,» gracchiò. «Il vero pericolo è davanti a noi. Perché Talos, il gigante di bronzo, vigila sulle coste di Creta.» Abbassò la voce, come se fosse stato preso da un improvviso, nuovo terrore. «Capitano… guarda!»

Teseo guardò.

Molto lontano, verso Cnosso, tra l’azzurro del mare e il verde delle colline, a Teseo parve di intravvedere, per un breve istante, un veloce lampo che aveva il colore del bronzo.

CAPITOLO VII

Snish tremava violentemente. Il suo corpo era percorso da brividi di freddo, e gli occhi erano dilatati, smarriti.

«La mia anima!» mugolò il piccolo stregone. «La mia anima nuda e indifesa! Perché ho permesso al destino di strapparmi dalla mia pacifica Babilonia? Capitan Fuoco, siamo condannati?»

«Non buttarti in mare!» rise Teseo, un po’ nervosamente. «Quel riflesso era molto lontano. Forse si trattava soltanto del sole, che batteva su un paiolo ben lucidato di qualche donna di casa…»

Snish si afferrò alla rudimentale zattera, tremando violentemente.

«Sono abbastanza mago per riconoscere l’apparizione di Talos,» disse, ansiosamente. «L’uomo di bronzo è tanto veloce da perlustrare tutte le coste di Creta dall’alba al tramonto. E la magia guida il suo sguardo, cosicché nessun intruso può sfuggirgli.

«Oh, se fossi rimasto un semplice ciabattino, nella mia lontana Babilonia!»

I suoi occhi fissarono con apprensione la riva. Ma nulla si muoveva, laggiù.

«Ero un ciabattino, a Babilonia,» pigolò. «Ma Babilonia è una città antica. Il suo impero è crollato, e tutta la sua passata grandezza è solo un ricordo doloroso. Le carovane le passano accanto, senza fermarsi. Ed è terribile lavorare, perché gli affari sono veramente miseri.»

Emise un lungo sospiro.

«Perfino i maghi di Babilonia sono poveri, perché non possiedono i poteri degli stregoni di Creta, e perciò non guadagnano molto. C’è stato un mago, che era mio cliente, al quale ho riparato le scarpe per sette anni, e non è mai diventato tanto ricco da permettersi un altro paio di stivali.

«È stato lui a insegnarmi quella misera magia che io conosco. Un giorno, quando mi portò le sue scarpe, gli dissi che non avevo né cuoio né denaro. Si offrì di insegnarmi tutta la magia, se solo gli avessi risuolato le scarpe. E lo feci. Ma avrei fatto meglio a restare un ciabattino! Perché la magia mi ha portato all’esilio, lontano dalla mia Babilonia.» Cominciò a singhiozzare. «Sono stato maledetto da questa crudeltà degli elementi. E adesso, la magia attira su di me la collera del mostruoso Talos!»

«Ma tu sei sempre un mago!» Teseo stava osservando attentamente la linea costiera, alla ricerca di un altro riverbero di bronzo. «E adesso voglio ricorrere ai servigi della tua magia. I cretesi sono stati avvertiti che il capitano dei pirati, il famoso capitan Fuoco, è destinato alla vittoria nei giochi, e tutta la flotta gli sta dando la caccia. Ma non sanno niente di Gothung il Normanno, che è il timoniere di Volpemaestra. Tu l’hai visto… un gigante biondo ed incredibilmente possente, dalla testa quadrata e dalle spalle larghe.