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Nelle sembianze del viaggiatore normanno, Teseo parlò ai viandanti che incontrarono, e ai contadini che lavoravano nei campi e nelle vigne, lungo la strada. Trovò la gente del luogo laboriosa e simpatica; gli parve, però, che tutti fossero ossessionati dall’incessante terrore delle forze oscure che governavano Creta.

Il terrore appariva negli occhi dei cretesi, quando passava un prete minoico, portato da schiavi silenziosi, a bordo di una portantina dalle tende nere. L’ombra livida della fame appariva su molti visi, e alcuni parlarono, oscuramente, di tasse e balzelli incessanti. Tutti i giovani si nascondevano, quando passava una fila di lancieri neri, per non venire catturati e mandati a morire nei giochi di Cnosso.

Quella notte, Teseo e il mago raggiunsero la strada che andava verso sud, da Ekoros a Bandos, la seconda città di Creta, i cui appannaggi venivano goduti dal nobile Phaistro. Dormirono in una locanda, lungo la strada.

Quando uscirono dalla taverna, il mattino dopo, Snish deglutì, e guardò un avviso che uno scriba stava dipingendo sulla parete. Lo scriba lo firmò con la doppia ascia di Minosse, e Teseo lesse:

Una ricompensa di venti talenti d’argento sarà pagata dal Tesoro Imperiale per la testa di un certo pirata acheo, chiamato Fuoco, che è stato di recente gettato sulle coste di Creta. La corporazione dei maghi, inoltre, offre mezzo talento d’argento per la testa di un mago minore di Babilonia, che si crede si trovi in compagnia del pirata.

Snish era diventato verdastro. Teseo gli prese il braccio tremante, e lo fece allontanare dal piccolo circolo di stallieri e di viandanti e di contadini, per riprendere la strada che portava a Cnosso.

CAPITOLO VIII

Cnosso, la dimora di Minosse, era già una città. Il più grande, il più antico e il più splendido palazzo del mondo sorgeva su una collinetta, davanti al fiume Kairatos, tre miglia a monte della città marittima. Costruito e ricostruito per mille anni, esso copriva sei acri di terreno, e la sua massa si alzava per cinque piani, sopra la grande corte centrale. Le sue meraviglie erano note in ogni paese, e i magazzini rigidamente sorvegliati dalle guardie, sotto di esso, contenevano, secondo la voce popolare, il più grande tesoro del mondo.

A valle di Cnosso, verso il mare, sorgeva la città di Ekoros, che era la metropoli di Creta. Sulle collinette circostanti erano disseminate le ville dei nobili, dei grandi mercanti, e dei maghi più potenti; erano ville splendide, dalle pareti colorate, circondate da boschi d’olivi e di palme.

La città portuale, sotto Ekoros, copriva la foce del fiume con una serie ininterrotta di moli e di depositi. Là sostavano le navi mercantili che andavano in Egitto, e giungevano a Troia e a Micene e a Tirinto e su cento altre coste, trasportando vino e olio e stoffe purpuree e attrezzi di bronzo e le meravigliose opere d’arte di Creta, per riportare in cambio argento, oro, ambra, stagno e pelli dal nord, rame e porpora dalle isole, papiro, incenso e grano dall’Egitto, e perfino seta, giada e perle dal lontanissimo Oriente.

Teseo e Snish si fermarono per qualche tempo là dove la strada superava la cima di una collina, e guardarono lo splendore abbagliante del palazzo, e le case e le strade della grande Ekoros, e i mercati affollati del porto. Alla periferia della città, sotto il palazzo, videro un grande anfiteatro ovale, che pareva una grande ciotola, con ai lati file e file di sedili.

«Deve essere il luogo in cui si tengono i giochi,» mormorò Teseo. «Io combatterò laggiò. E, quando avrò vinto, tutto questo sarà mio!» Fece un ampio gesto, che comprendeva il palazzo e la città e il porto, e anche il mare. «E il regno degli stregoni e dell’Oscuro avrà finalmente termine.»

«Parole facili,» rispose Snish, in tono cinico. «Ma per realizzarle ci vorrà qualcosa di più.» Sorrise. «Come hai intenzione di partecipare ai giochi?»

«Essi sono aperti a chiunque voglia conquistare il trono di Minosse.»

«Ma nessuno lo fa, mai,» disse Snish. «Ora Minosse sta cercando il famoso capitan Fuoco, perché ha saputo leggendo le tavole del futuro ciò che potrà accadere durante i giochi. Se ti offri volontario per i combattimenti, non ci vorrà certo uno stregone, per scoprire il segreto del tuo travestimento!»

Teseo si accarezzò la barba dorata.

«E allora, non mi offrirò come volontario.»

Un taglialegna passò loro accanto, guidando due asini carichi di fagotti. Parlarono per qualche tempo con lui, facendo le domande che ogni straniero avrebbe fatto, e dopo un po’ di tempo il taglialegna indicò un oliveto che si trovava su di una bassa collina.

«Quello è un bosco sacro,» disse il taglialegna. «Al suo centro sorge un piccolo tempio, che copre il più antico tempio di Creta.» Abbassò la voce, e fece un rapido gesto propiziatorio. «Perché è laggiù che dal grembo della Madre Terra è uscita Cibele, nelle sue sembianze umane, per diventare madre dell’umanità.»

Fece schioccare la frusta nell’aria.

«Io ho visto Arianna,» si vantò. «Con la sua colomba e il suo serpente, ella viene al tempo in un palanchino dalle tende bianche. Arianna è la figlia di Minosse, ed è in lei che alberga Cibele. È un’incantatrice e una dea, e la sua bellezza è accecante come il sole.»

Sogghignò.

«Quando avrò venduto la mia legna,» disse loro, «berrò tre coppe di vino forte, e poi andrò al tempio di Cibele.» Sogghignò, e colpì con la frusta il dorso di un asino. «Tre coppe di vino, e anche la più orrenda sgualdrina diventa bella come Arianna.»

Teseo fece un rapido cenno allo stregone babilonese, e lui e Snish ripresero il cammino.

«Forse Arianna è una dea,» disse, piano. «Ma, in ogni modo, sarà mia… perché fa parte del premio che spetta al vincitore dei giochi.»

«O fa parte dell’esca,» gracchiò Snish, «che gli stregoni usano per attirare gli stolti tra le braccia della morte!»

Superarono un ponte di pietra, e giunsero a Ekoros. Quella era la parte povera della città, dove albergavano i piccoli artigiani, i piccoli mercanti, e i lavoratori del porto. Degli edifici miseri, di tre soli piani, davano un’aria triste alle strade squallide.

Le strade erano coperte di fanghiglia, di immondizie e di detriti. Le mosche ronzavano dappertutto. Il loro ronzio era un sottofondo incessante.

Delle donne magre camminavano nel fango, tenendo in testa delle giare d’acqua. Dei mercanti offrivano frutta e verdura, in un nugolo di mosche e di altri insetti. Mendicanti ciechi gridavano, chiedendo la carità. Delle donne affacciate ai balconi conversavano da una casa all’altra, gridando con voci stridule. Dei bambini nudi, nel fango, gridavano senza alcun motivo apparente.

O forse, pensò Teseo, guardando i loro corpi scheletrici, gridavano perché avevano fame.

«Creta è uno splendido impero!» disse. «Cnosso è il palazzo più bello della terra, ricolmo di tesori e di opere d’arte. I nobili e i mercanti e gli stregoni abitano nelle loro splendide ville. Ma questo è il popolo di Creta!»

«E non è in buone condizioni!» disse Snish, annusando. «Perfino le catapecchie di Babilonia sembrano giardini di rose, in confronto. Noi abbiamo del denaro; andiamo in un quartiere migliore.»

Affrettò il passo, ma Teseo lo fermò.

«Dammi il denaro.»

Riluttante, Snish consegnò la borsa che conteneva le monete d’argento. Teseo cominciò a comprare le merci degli sbalorditi mercanti, e passò i frutti e le torte ai mendicanti e ai bambini urlanti. La notizia di questa incredibile generosità si sparse in fretta, e ben presto l’angusta strada fu piena di gente. Snish tirò il braccio di Teseo, e il suo viso era verdastro per la paura.

«Attenzione, Gothung!» gracchiò, debolmente. «Gli uomini che hanno una taglia sulla loro testa non devono radunare delle folle intorno a loro. Andiamo…»