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Un corno suonò, e la voce di Snish tacque. Il silenzio cadde sulla folla, rotto solo da ansiti e da rapidi mormorii di paura. La folla silenziosa cominciò a disperdersi, scivolando in vicoli oscuri e in atrii miserabili. Una donna venne accanto a Teseo.

«Vieni con me,» mormorò. «Nasconditi nella mia stanza, finché le guardie etrusche non se ne saranno andate. Io voglio di nuovo un uomo forte e coraggioso. Una volta ero nel tempio di Cibele. Ma la grande sacerdotessa mi ha cacciata, perché gli uomini dicevano che io ero più bella di Arianna!»

Teseo la guardò. Era un po’ curva, e il suo viso rivelava gli anni; era rugoso e magro.

«Ecco il denaro.» Versò le ultime monete d’argento nella mano di lei. «Ma io cerco Arianna.»

«Tu pensi che io sia troppo vecchia.» L’amarezza incrinò la sua voce, e le sue dita si chiusero come artigli sul denaro. «Ma Arianna è dieci volte più vecchia di me, e anche di più! È solo la magia che le da l’aspetto giovane e bello.» Gli tirò il braccio. «Ma vieni,» lo esortò, «prima che la dea ascolti le nostre bestemmie. Perché lei sta arrivando!»

Poi il corno suonò di nuovo. La donna fuggì nel fango. Come per magia, le strade erano diventate deserte. Era rimasto solo un bambino nudo, che la confusione aveva fatto cadere in un canale di scolo. Il bambino cercò di fuggire, cadde, giacque immobile, come se avesse avuto troppa paura, anche solo per gridare.

«Vieni, Gothung!» disse Snish, terrorizzato. «Questa strada non è luogo per noi.»

Teseo si liberò dalla stretta del mago, e si avviò in silenzio verso il bambino che stava singhiozzando, senza emettere alcun suono. Ma il corno suonò di nuovo, e due stalloni neri apparvero da una svolta della strada. Occupavano l’intera strada, e gli elmi di bronzo dei cavalieri sfioravano le pareti delle case, da entrambi i lati della via.

«Fate luogo!» abbaiò una voce furiosa. «Fate luogo, per il bianco palanchino di Arianna!»

«Scappa!» gridò Snish. «Gli etruschi…»

«Ma il bambino!»

Teseo corse verso il bambino nudo, che giaceva, pietrificato dal terrore, sul ciglio del canale di scolo. Ma era troppo tardi. Il bambino gridò una volta sola, sotto i grandi zoccoli, e giacque immobile.

Tremando, Teseo si gettò avanti, afferrò le redini e fermò il cavallo. Sollevò lo sguardo, per affrontare il cavaliere. Rosso per l’ira, l’etrusco lasciò ricadere sul fianco il corno d’argento, e portò la mano sull’elsa di una lunga spada di bronzo.

«Aspetta,» disse a voce bassa Teseo. «Lascia che la gente si tolga dalla tua strada.»

«Lascia le briglie, topo di fogna!» ruggì l’etrusco. «Per questo oltraggio, sarai gettato nei giochi!»

«È probabile,» disse Teseo, «ma non c’è fretta.»

L’altro cavaliere, nel frattempo, aveva estratto la sua spada. La calò con forza sul capo biondo di Teseo. Ma Teseo si spostò rapidamente. E la Stella Cadente, coperta di fuliggine com’era, tagliò di netto le dita dell’etrusco, e fece cadere nel canale di scolo la spada di bronzo.

L’etrusco ferito lanciò un grido di rabbia e di dolore. L’altro scattò, e spronò la sua cavalcatura, cercando di travolgere Teseo. Ma Teseo si aggrappò alle briglie, e si scostò dagli zoccoli dell’animale. E la spada d’acciaio, con due rapidi colpi, tagliò di netto le briglie e la sella.

La sella scivolò, e l’etrusco cadde all’indietro, nel fango. Le mosche si levarono in volo, disturbate nelle loro abituali occupazioni dalla caduta del soldato. Ma l’etrusco si rialzò subito, coperto di fango, impugnando la spada e lanciando bestemmie infuocate.

Teseo lasciò libero il cavallo, e si preparò ad affrontare l’etrusco. Ma le due lame non si erano ancora scontrate, quando una voce di donna, chiara e armoniosa, giunse ai due uomini:

«Aspettate! Chi ha fermato le mie guardie?»

Teseo vide che uno stupendo palanchino, portato da quattro schiavi muscolosi e ansimanti, era giunto alle spalle dei due cavalieri disarmati. Le tendine bianche si erano aperte, e l’occupante del palanchino si era alzata sui suoi cuscini, a guardarlo: Arianna!

Arianna dalle bianche colombe, incantatrice di serpenti! La donna del palanchino non poteva essere nessun’altra. Figlia di Minosse, e divino ricettacolo di Cibele, la Madre di Tutti.

«Chi osa fermare Arianna?»

La sua voce fiera era una melodia dorata. Toccò profondamente il cuore di Teseo, ed egli rimase immobile, a occhi spalancati, a suggere ogni stilla della sua incredibile bellezza.

La sua pelle era bianca, bianca come la colomba che riposava sulla sua spalla nuda. Le sue labbra erano rosse come il sangue, gli occhi verdi e freddi come il ghiaccio. E i capelli che le scendevano sulle spalle erano una cascata di fuoco.

Quei capelli erano rossi, più rossi dei capelli di capitan Fuoco. Era una splendida cascata di fiamma, dai riflessi incredibili e bellissimi, che le scendeva sul corpo bianco e slanciato.

Teseo cercò di ritrovare le forze. Aveva giurato di conquistare Arianna, come trofeo di vittoria nei giochi. Ora aveva rinnovato con forza incrollabile questo suo giuramento. Capì che essa valeva tutti gli immensi tesori di Cnosso, che la sua bellezza era un potere grande come la magia di Creta.

Teseo si domandò, per un istante, se Arianna fosse davvero vecchia come aveva detto la donna che aveva trovato prima nella strada, e questo pensiero fu confermato dalla luce di saggezza e di astuzia che brillava nei suoi occhi verdi e freddi. E pensò che soltanto una dea avrebbe potuto essere così bella.

Una imprecazione soffocata lo riscosse da questa contemplazione, e scoprì che l’etrusco disarcionato era giunto alle sue spalle. La Stella Cadente lampeggiò, per parare il colpo della spada di bronzo.

«Ferma!» disse la voce dorata di Arianna, per la seconda volta. «Lasciatelo parlare.» I freddi occhi verdi fissarono Teseo. «Il selvaggio è abile con la sua spada. Domandategli il suo nome, e quello che cerca qui a Creta.»

«Anch’io possiedo le orecchie.» Teseo sollevò la sua lama, in segno di sfida. «Ditele che io sono Gothung, un viaggiatore che viene dal nord. Ditele che ero venuto a Creta per offrire la mia spada a Minosse. Ma ditele anche che, dopo avere visto il popolo di Creta, preferisco combattere per esso.»

La dea sollevò il capo, furiosa, e gridò:

«Chiamate un altro distaccamento, e prendete il nordico insolente!»

Stringendosi la mano sanguinante, l’uomo a cavallo spronò l’animale, e sparì in fondo alla strada. L’etrusco disarcionato affrontò Teseo, facendo roteare la sua spada. Ma la Stella Cadente parò il colpo, e colpì a sua volta, tagliando di netto il braccio del disgraziato etrusco.

Teseo balzò avanti, e minacciò i portatori del palanchino.

«Posate il palanchino!» ordinò.

Minacciati dalla punta della spada, rossa di sangue, gli schiavi obbedirono. Teseo strappò le tende bianche, e guardò Arianna. Lei indossava una veste verde, e il suo corpo alto e slanciato era disteso sui cuscini. I suoi occhi verdi sostennero lo sguardo di Teseo, senza tradire alcuna paura.

«Quando il mio cavaliere tornerà con gli aiuti, nordico,» disse lei, piano, «tu rimpiangerai l’insulto fatto a una dea.»

«Nel frattempo, sono io il padrone.» La voce di Teseo era ugualmente bassa. «E la Madre di Tutti dovrebbe almeno mostrare pietà. Scendi.» La sua spada arrossata di sangue si mosse nell’aria. «Raccogli il bambino morto, nel canale di scolo.»

Lei rimase immobile, e i suoi occhi si velarono.

«Nessun uomo oserebbe!» mormorò.

Gli schiavi del palanchino ansimarono per l’orrore, quando Teseo mosse la spada, facendo penetrare la sua punta bagnata di sangue nel palanchino. Poi Teseo allungò la mano, e afferrò il braccio della dea, lasciando su di esso tracce di sangue.

Riuscì a trascinarla nella strada fangosa.