Выбрать главу

Teseo, l’alto acheo, era in piedi, vicino all’alta insegna che si ergeva sulla prua, e raffigurava una testa di lupo. Teneva le gambe divaricate, per sostenere il rollio della galera, e i suoi lunghi capelli rossi si muovevano nel vento. I suoi occhi azzurri si strinsero, ed egli guardò, con Cirone, lo stretto che si apriva davanti a loro, e oltre.

Danzando sull’azzurro dai riverberi bianchi, tra le due punte di terra, scorse due puntini neri e uno giallo. Li studiò attentamente, e guardò il cielo a occidente, dove apparivano delle lunghe nuvole bianche, e poi fissò il mare, seguendo il movimento delle onde sollevate dal vento.

Alla fine il suo corpo abbronzato si raddrizzò. Egli indossava soltanto un perizoma di lino egizio, frutto di un bottino raccolto a bordo di una nave catturata. Scostò con la mano i capelli rossi che gli cadevano sul volto, e la sua voce decisa risuonò al di sopra della stanca cantilena monotona degli schiavi rematori e allo scricchiolio delle vele e del sartiame e al fruscio dei remi.

«Il vento è con noi, Volpemaestra,» disse, «sono soltanto due, contro la nostra galera… possiamo dimenticare il mercantile finché non avremo affondato le galere da guerra. E il nostro becco di bronzo ci rende più forti di tre navi… l’hai detto tu stesso, quando abbiamo speronato l’ultima nave egizia.»

«Sì, capitan Fuoco,» disse l’ansioso dorico. «Ma quella era una nave egizia…»

Il peloso pirata rabbrividì, e serrò ancor più intorno al corpo il fastoso mantello purpureo dai ricami di perle che aveva appartenuto a un ufficiale della flotta cretese. Ma Teseo estrasse dalla cintura la sua lunga spada, e guardò nello specchio dell’acciaio azzurrino.

«Gli uomini hanno fame di bottino,» disse a Cirone, «e la Stella Cadente è assetata di sangue.» Un sorriso nervoso gli illuminò il viso duro. «Io leggo i miei auspici nello specchio della Stella Cadente,» disse, «e li trovo sempre favorevoli.»

Salì sulla plancia di prua, e gridò, rivolgendosi al gigante che sorvegliava gli schiavi, impugnando la lunga frusta:

«Una cadenza più veloce! Dobbiamo tagliar loro la strada prima che riescano a superare lo stretto!»

«Sì, capitan Fuoco!»

La frusta del miceneo sibilò e schioccò. Quarantaquattro schiavi si piegarono sui ventidue remi, undici per fianco. La loro interminabile canzone divenne più veloce, e la galera balzò avanti, seguendo il ritmo.

«Viva, capitan Fuoco!» Giunse il grido dei ventiquattro marinai e guerrieri che riempivano il ponte, a poppa, oltre la fossa dei rematori. «Combatteremo di nuovo?»

Teseo si portò le mani alla bocca, e gridò.

«Combatteremo! E quando la battaglia sarà finita, avremo da dividere del bottino venuto dalle coste di settentrione. Oro, ambra e pelli… e forse anche delle bionde schiave del nord!»

Gli risposero delle grida di giubilo, ed egli ordinò:

«Tutti gli uomini si preparino all’attacco e all’abbordaggio!»

Delle lame di bronzo cantarono. Gli arcieri provarono le corde dei loro archi, un fromboliere provò la sua arma. La squadra d’abbordaggio indossò gli elmi di cuoio, e preparò i lunghi scudi. Davanti al suo focolare, il cuoco guercio, un uomo di Tirinto, cominciò a riscaldare dei paioli di zolfo.

Ma Cirone scosse il capo, cupo e a disagio. Si avvicinò a Teseo, passandosi nervosamente le mani sul volto, e protestò, con un mormorio rauco:

«Ma quelle vele maestre sono nere, capitan Fuoco!»

«Lo vedo anch’io che sono nere, Volpemaestra.»

«Le vele nere significano che si tratta delle galere da guerra della flotta reale di Minosse,» gracchiò l’apprensivo pirata. «Sono protette dagli strani artifizi dello stregone Dedalo, e dalla magia dello stesso Minosse. A bordo ci saranno i sacerdoti neri dell’Oscuro, per annientare i nostri corpi e le nostre anime con la loro mortale magia.»

Con aria d’urgenza, toccò il braccio bronzeo di Teseo:

«Voltiamoci, e fuggiamo verso le isole, capitan Fuoco,» supplicò, «prima che i loro magici trucchi mettano il vento contro di noi, per farci sbattere contro qualche costa ostile!»

In tono rauco, proseguì la sua supplica:

«Aspettiamo qualche galera egizia,» disse. «Protetta solo dagli dèi lontani e sonnolenti del Nilo. O magari un mercantile d’oriente, che confidi nelle divinità polverose della morta Babilonia. O forse potremmo incontrare un altro mercantile, che abbia con sé i deboli semidei di Troia.»

La sua mano pelosa tremò.

«Capitan Fuoco, noi non oseremo certo sfidare gli dei e gli stregoni di Creta… i tuoi attacchi devono averli già adirati, e la loro magia è la più forte del mondo. Un prete egiziano mi ha detto una volta… prima che io lo sbudellassi… che dall’inizio del tempo, tutta la magia viene da quell’isola malefica. Dobbiamo tornare indietro, capitano?»

Teseo toccò la splendente guaina d’oro e d’argento che copriva l’elsa della Stella Cadente.

«Non fino a quando io sarò il capitano che tutti voi avete eletto, Volpemaestra,» disse, seccamente. «Sono venuto sulla tua nave, un anno fa, perché i pirati sono gli unici uomini al mondo che sfidano la magia e le tracotanti flotte di Creta. Anche il grande Faraone si inchina a Minosse, e gli manda molti doni, argento, schiave nere e scimmie.»

Cirone guardò l’alto acheo, con un’espressione di inquieta e riluttante ammirazione.

«So che tu hai compiuto formidabili imprese, capitan Fuoco,» disse, «perché le storie ti seguono. So che tu hai ucciso molti animali selvaggi, e massacrato fuorilegge e tiranni, e combattuto contro gli uomini di lande remote. Ma le tue imprese non sono abbastanza grandi, che tu non debba concederti qualche tempo di riposo? Devi dunque muovere guerra ai maghi e agli stregoni, per attirare su di te l’ira degli stessi dei?»

Teseo annuì lentamente, e il suo volto era molto grave.

«Lo devo fare,» disse, «Perché ho lottato contro i nemici degli uomini. E il nemico più grande non è l’animale predatore, non è il fuorilegge, non è il capo delle tribù barbare. Il nemico più grande non vive nelle lande selvagge, non alberga tra gli alberi, ma regna nel cuore della più grande città!»

Le sue dita si strinsero sull’elsa della Stella Cadente.

«Il più grande nemico dell’uomo è la magia, Volpemaestra. È la stregoneria di Creta, che ha reso schiavo il mondo. Perfino nelle tende del deserto, gli uomini nascondono il capo tra la polvere, atterriti, di fronte a un talismano che porti la doppia ascia di Minosse.» Il suo viso abbronzato si era fatto lievemente pallido. «Tutte le nazioni inviano un tributo di fanciulli e fanciulle, che vengono istruiti per i giochi crudeli di Cnosso. Perfino la mia Attica è soggetta a Minosse… mio padre, ad Atene, deve inginocchiarsi davanti al governatore cretese, e inviare tributi all’Oscuro.»

Respirò più forte, con rabbia.

«La magia di Cnosso è un nero serpente le cui spire si avvolgono intorno agli spiriti degli uomini,» disse in tono amaro. «Il crudele dominio di Minosse è sostenuto, per terra e per mare, dalla paura dell’Oscuro.»

La spada uscì dalla fondina, e brillò sotto i raggi del sole.

«Ebbene, Volpemaestra… Minosse e l’Oscuro devono essere distrutti!»

Cirone strinse il braccio di Teseo, disperatamente.

«Taci, capitano!» ansimò, angosciato. «Questo è un parlare blasfemo… e le orecchie e le corna dell’Oscuro sono lunghe!» Trattenne il respiro, per un istante. «Tu ci fraintendi, capitan Fuoco. È vero che noi siamo pirati, è vero anche che la pirateria è contro le leggi di Minosse. Ma, finché tu non sei venuto tra noi, abbiamo cercato le nostre prede solo tra le navi d’Egitto e di Tirinto, e altri rivali di Creta… cosicché i capitani di Minosse ci strizzavano l’occhio, con benevolenza.»

«Ma ora,» gli ricordò Teseo, «io sono il capitano che avete scelto.»