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Vagamente, cercò di ricordare cosa stava accadendo. Aveva una speranza vaga e remota di riuscire a sfuggire anche a quest’ultimo pericolo, ma non riusciva a ricordare quello che avrebbe dovuto fare, adesso. Guardò Dedalo, e lo vide immerso in uno schermo di irrealtà.

Lo stregone uscì dal palco, e si tolse la lunga veste nera. Se Minosse era apparso sorprendentemente giovane, Dedalo era molto vecchio… eppure anche incredibilmente forte. Il suo corpo era scuro, peloso, contorto come il tronco di una quercia antica.

Il suo volto era grinzoso, e le rughe gli davano un’espressione cupa. Gli occhi erano fondi, neri, e splendevano di una luce sinistra.

Mentre i corni squillavano di nuovo, dei sacerdoti dalle vesti nere portarono allo stregone una fionda di cuoio, e una lucente palla di rame, piccola e pesante. Guardando la palla con i suoi occhi cupi, Dedalo mormorò qualcosa, e poi sollevò la fionda.

Lo strumento tremò e sibilò. I muscoli tesero la corda, e l’allentarono bruscamente. La palla di rame parti, a velocità fantastica, divenne un bagliore confuso che attraversava l’aria sibilando e gemendo.

Teseo cercò di nuovo di liberarsi dalle corde invisibili che lo tenevano avvinto. Non ci riuscì. Ma ormai era inutile, pensò. Perché nessun uomo avrebbe mai potuto sfuggire a quella terribile palla di rame sibilante.

Arrivò… e gli passò accanto, innocua!

I legami invisibili si ruppero istantaneamente.

Teseo cadde, in ginocchio, sulla sabbia bianca e rovente, e l’intera arena sì rovesciò, cominciò a roteare intorno a lui. Vide la smorfia terribile che apparve sul viso cadaverico di Dedalo, e lo vide ritornare al suo posto, furibondo.

I corni squillarono, e l’araldo si fece avanti di nuovo. Era pallido, e sudava copiosamente. Cercò per tre volte di parlare, per tre volte gli mancò la voce, e alla fine riuscì a gracchiare, debolmente:

«Gothung il Normanno ha scalato i nove gradini che portano al trono di Minosse. Nei suoi tre aspetti, di toro e di uomo e di dio, l’Oscuro ha indicato il suo favore. Le prove sono compiute, e Gothung il Normanno è scelto per salire al trono!»

Benché la voce dell’araldo fosse debole e tremante, ogni sillaba parve esplodere con la furia del tuono, nel silenzio glaciale che era caduto sull’arena. Ci fu un lungo, intollerabile momento in cui la vita parve sospesa. In ginocchio, Teseo guardò il volto di Minosse, che non mostrava alcun sentimento, e aspettò con terrore un altro lampo, e il tuono che sarebbe caduto su di lui, a incenerirlo.

Ma il viso roseo di Minosse si raggrinzì di nuovo in un largo sorriso, i suoi occhi azzurri brillarono d’allegria, e, ridendo amabilmente, il sovrano decaduto disse, con la sua voce femminea:

«Alzati, Normanno, e occupa il tuo trono!»

Il braccio roseo fece un gesto veloce, e Teseo guardò nella direzione indicata da quel gesto, all’estremità opposta dell’arena.

Ciò che vide lo fece tremare. Un sudore gelido gli imperlò la fronte.

Il grande cancello si era aperto di nuovo.

Talos, il gigante di bronzo, stava avanzando verso di lui, sulla sabbia.

CAPITOLO XII

Teseo riuscì a rimettersi in piedi, al centro dell’arena, sulla nera insegna della doppia ascia. Tremava, temendo un nuovo attacco a tradimento. Ma non c’era niente, pensò, che lui potesse fare contro il potere di Talos, il gigante di bronzo.

Aspettò, e sentì che la sabbia tremava, a ogni passo del tremendo Talos. Il gigante si avvicinò a lui. Gli occhi di fuoco si abbassarono su di lui, e la voce profonda tuonò:

«Io ti ricordo, Gothung il Normanno. Io ti ho parlato quando tu sei venuto a riva, fuggendo dalla galera affondata del pirata Fuoco.» Ridacchiò, e la sua risata fu un tuono che scosse l’arena. «E ti conosco ancora. Perché Talos non è uno stupido!»

Teseo pensò che il capitan Fuoco, in quel momento, era un argomento molto pericoloso. Rimase immobile, in attesa. Non aveva idea di ciò che lo aspettava… ma, sicuramente, ci sarebbero stati dei nuovi pericoli. La folla silenziosa e sbalordita non aveva l’aria di un popolo pronto ad acclamare un nuovo sovrano. Pareva pazzesco pensare che Minosse avrebbe volontariamente ceduto il suo trono.

Ansiosamente, in cerca di aiuto, guardò in alto, nella ultima fila dell’arena, dove aveva visto Snish. Ma il piccolo mago, come aveva sospettato, era sparito di nuovo. Se Snish gli aveva dato davvero una mano, durante i giochi, era quello che doveva aspettarsi. Allora abbassò lo sguardo, e incontrò gli occhi fiammeggianti del gigante Talos.

«Ebbene?» la sua voce era debole e rauca. «Che cosa vuoi?»

«Padrone, ora tu sarai il nuovo Minosse.» Le parole di Talos rimbombavano. «E io sarò il tuo schiavo. Sono venuto per servirti.»

«Allora,» mormorò Teseo, «mostrami la strada del trono che ho conquistato.»

«Aspetta, padrone,» disse Talos.

L’arena era ancora immersa in un allucinante silenzio. Non si udiva neppure un sospiro. Gli unici che si mossero furono Minosse, Dedalo e Arianna. Essi avanzarono sulla piattaforma dalla quale avevano sottoposto Teseo alla prova degli dei. Parlarono a bassa voce, nella lingua segreta dei sacerdoti, e alla fine Minosse disse qualcosa all’araldo.

I corni squillarono per l’ultima volta, e l’araldo gridò, raucamente:

«Che ora Gothung il Normanno si rechi al palazzo di Cnosso. Là egli si ristorerà, e riposerà dopo gli ardori delle prove che ha superato. Al tramonto, egli andrà nella sacra sala della doppia ascia.

«Là egli riceverà tutti i favori che l’Oscuro ha inteso accordargli. La veste di Minosse sarà posta sulle sue spalle, ed egli occuperà il suo posto tra gli dei. Cibele sarà sua sposa. Ed egli riceverà la doppia ascia della guerra e della pace, che è il simbolo del reggente dell’Oscuro.»

Teseo richiamò l’attenzione di Talos.

«Di’ loro,» mormorò, «che lo farò.»

La grande voce rimbombò, obbediente.

«Ora,» ansimò Teseo, «guidami a Cnosso! Io ti seguirò.»

Talos si voltò, dirigendosi verso il grande cancello, e Teseo lo seguì, barcollando. Per camminare fu costretto a esercitare un terribile sforzo di volontà. Ma riuscì ad avanzare con aria fiera, a tenere eretta la sua testa bionda. Anche se fosse morto ora, pensò, per qualche trucco degli stregoni, o grazie a una vile lama infilata nella schiena, sarebbe morto nel pieno del trionfo, e questo avrebbe potuto per lo meno scuotere il potere di Minosse.

Quando si mosse, un mormorio percorse la folla. Parve un mormorio di sorpresa. In esso c’era del sollievo, e del timore. E anche, pensò Teseo, una grande delusione.

Il grande cancello si aprì davanti a lui, in fondo all’arena. Teseo si fermò per un istante sulla soglia, e si voltò a guardare il luogo nel quale aveva combattuto. La folla cominciava ad alzarsi, e il mormorio cresceva d’intensità. Minosse, Dedalo e Arianna erano scomparsi.

Teseo seguì l’uomo di bronzo che, a grandi passi, attraversò le strade di Eskoros, verso le poderose colonne di Cnosso. Il quartiere che attraversarono era ricco, molto diverso dalle misere strade nelle quali Teseo aveva incontrato il palanchino di Arianna.

Le strade erano larghe e pulite. Non c’erano fogne aperte, e non c’erano bambini piangenti. Delle grandi muraglie di pietra isolavano le ville dalla strada, e oltre i muri si vedevano solo gli alti alberi dei meravigliosi giardini.

Evidentemente, la notizia dell’esito dei giochi si era già diffusa per la città. Perché la strada era deserta. Le sole persone che Teseo vide erano distese a terra, con la testa nella polvere, nei viali vicini. Un silenzio carico di tensione lo seguiva. Solo una volta udì una voce. Veniva da una donna avvolta in un mantello stracciato: