«Oh, nuovo Minosse! Pietà per il tuo popolo, e per i suoi bisogni. Vestilo, perché esso è nudo. Dagli cibo, perché esso muore di fame. Ricorda che sei stato umano, un tempo, e risparmia al tuo popolo il terrore del tuo potere!»
Quando arrivarono di fronte alla lunga massa del palazzo, sulla bassa collina, nessuno venne loro incontro. Teseo udì solo dei lontano bisbigli, e dei passi attutiti e frettolosi, e riuscì a distinguere appena delle figure confuse che sparivano in fondo a lunghi corridoi oscuri.
Malgrado l’ansia e la fatica, provò meraviglia, e reverenza, di fronte all’enorme splendore di Cnosso. I suoi corridoi, le sue corti e i suoi saloni, erano un prodigio di complessità e di arte. Ma i soffici tappeti che coprivano il pavimento, gli affreschi alle pareti, l’oro e l’argento che brillavano ovunque… erano dei segni di ricchezza che risvegliarono lo spirito di capitan Fuoco.
«Che bottino,» pensò «in questo luogo!»
Il pavimento scricchiolava minacciosamente, sotto i piedi di bronzo del gigante. Ma Talos guidò Teseo lungo i corridoi silenziosi, attraverso la splendida corte centrale, e gli fece salire una lunga scala, che portava in direzione del fiume.
Dimenticata in parte la sua stanchezza, Teseo guardava con sbalordimento la ricchezza che si vedeva ovunque. Ed era tutta sua! L’aveva vinta, vincendo i giochi. E tutto gli sarebbe stato consegnato formalmente, dopo il tramonto… a meno che non intervenissero gli incantesimi degli stregoni!
Ma questo non sarebbe stato comunque suo per molto tempo, pensò. Perché l’aveva vinto, non per se stesso, ma per il popolo di Creta, e per quello della sua patria, l’Attica, e anche per i popoli di tutto il mondo. Il prossimo passo… se veramente aveva vinto qualcosa!… era quello di schiacciare i sacerdoti e gli stregoni, porre fine al crudele culto dell’Oscuro, e distruggere il regno della magia!
Poi… ebbene, la lunga abitudine del vagabondare era diventata troppo forte, in lui, per poter essere vinta facilmente. C’era l’Egitto, con le sue antiche meraviglie. C’erano le strane e lontane terre d’Oriente. E, senza dubbio, più lontano, c’erano delle altre terre ancora.
Talos si fermò davanti a una porta.
«Queste camere sono tue, padrone,» disse, «gli schiavi ti ristoreranno, ti serviranno in tutte le tue necessità. Riposa, finché il sole non sarà tramontato. Ti aspetterò qui, davanti alla porta.»
E Talos, improvvisamente, divenne perfettamente immobile, tanto da apparire una grande statua di bronzo. Il suo viso semplice era privo d’espressione, e gli occhi fiammeggianti guardavano nel vuoto.
Teseo gli passò accanto, stancamente, ed entrò in un ricco appartamento, illuminato da un’ampia finestra bianca. Le pareti erano coperte di affreschi, che riproducevano scene dei giochi, tori selvaggi e fanciulli e fanciulle che balzavano sulle loro poderose corna. Le stanze, fresche e silenziose, erano arredate alla moda cretese, semplice e ricca a un tempo, con grandi tappeti e bassi divani.
Due schiavi lo condussero nel bagno, e lo misero in una grande vasca di bronzo. L’acqua profumata e calda, dissolvendo lo sporco delle segrete e dell’arena, gli diede una sensazione di grande benessere. Non sentì neppure il bruciore delle sue ferite, che non erano in realtà molto profonde. Cominciava ad avere sonno.
Per qualche istante la sua attenzione fu attratta dalla novità dell’acqua corrente, del tubo di scarico, e dei diversi impianti che si trovavano in quel bagno prodigioso. Ma quando gli schiavi lo sollevarono, tirandolo fuori dalla vasca, aveva gli occhi già chiusi. Gli schiavi lo profumarono, spalmarono degli olii balsamici sulle sue ferite, lo posarono su di un soffice divano. Ma Teseo si era addormentato già prima di toccarlo.
Era già buio, quando Teseo si svegliò, e uno schiavo era entrato nella stanza, con una lampada d’argilla in mano. Teseo si alzò. Il corpo adesso gli doleva, era rigido e le ferite pulsavano, e aveva una fame terribile. Ma non gli fu offerto alcun cibo.
«Vieni, Normanno,» disse la voce profonda di Talos. «Gli dei ti stanno aspettando, nel salone sacro.»
Ancora nudo, Teseo si alzò e seguì di nuovo l’uomo di bronzo. Delle torce fiammeggianti illuminavano la strada. Attraversarono ancora una volta i corridoi e le corti, scesero e salirono lunghe scalinate, e videro degli schiavi, che si inginocchiavano al loro passaggio. Teseo disse a Talos:
«Di’ loro di seguirmi.»
«Questo è proibito,» ruggì l’uomo di bronzo. «Solo la stirpe reale, i nobili, gli stregoni e i più ricchi mercanti possono entrare nel salone della doppia ascia.»
«Non è più proibito,» disse Teseo. «Perché io domando il trono in nome del popolo di Creta, e voglio perciò che il popolo sia presente. Di’ che mi seguano… tutti gli artigiani e gli schiavi.»
Talos si voltò, e il suo viso semplice era la maschera della perplessità.
«Questo a Minosse non piacerebbe.»
«Ma sono io il nuovo Minosse,» disse Teseo, «e te l’ordino.»
Non troppo convinta, la voce roboante di Talos gridò il richiamo. Teseo sentì dei passi soffocati e timorosi, che lo seguivano.
Finalmente essi giunsero nella solenne immensità del sacro salone, le cui enormi colonne quadrate portavano incisi i segni della doppia ascia. Delle fiamme dai colori spettrali danzavano su grandi bracieri, montati su tripodi, a forma di testa di toro. Un altare circondato da tende nere era coperto da un grande drappo bianco, e un’antica ascia di ossidiana era deposta al centro di esso. Dei sacerdoti dalle vesti nere erano inginocchiati accanto all’altare. Davanti a esso, vestiti di bianco e di nero, si ergevano Minosse e Dedalo.
Talos si fermò davanti a loro, ruggendo:
«Ecco Gothung il Normanno, che è stato scelto oggi dall’Oscuro per salire sul trono. Egli è pronto.»
In piedi, accanto al gigante… rendendosi improvvisamente conto di essere nudo e indifeso… Teseo guardò il volto di Minosse. Il sovrano decaduto gli sorrise allegramente, e, alla luce dei bracieri, i suoi occhi scintillavano di gioia. Poi Minosse guardò oltre Teseo, e vide gli schiavi e gli artigiani che scivolavano silenziosamente nel salone. Ridacchiò, e poi disse, con la sua voce femminea:
«Cacciateli fuori!»
Ma Teseo alzò un braccio, in segno di protesta.
«Ferma! Li ho chiamati io, e ho ordinato loro di seguirmi. Perché essi sono il popolo di Creta, e saranno loro i nuovi padroni. Io domando il trono che ho vinto, in nome loro e per loro. E ora ti avverto che il regno degli stregoni e dell’Oscuro è finito!»
L’uomo dalla veste bianca e quello dalla veste nera si guardarono in faccia. Il volto oscuro di Dedalo era imperscrutabile, e così pure quello roseo di Minosse. Parve a Teseo, però, per un istante, che una luce ironica e perversa si fosse accesa negli occhi neri di Dedalo. Ma Minosse sorrise di nuovo.
«Che restino, allora,» disse, piano, «a vedere il loro dio!»
I preti inginocchiati iniziarono un canto basso e solenne, nella loro lingua segreta. Il mago Dedalo, con la sua voce cupa carica di disprezzo, si fece avanti e disse:
«Vieni avanti, Gothung il Normanno. Ricevi le vesti di Minosse, prendi la tua sposa divina, accetta la doppia ascia dell’Oscuro, e assumi il tuo posto tra gli dei.»
Cercando di celare un brivido di apprensione, Teseo si fece avanti, avvicinandosi all’altare. A un segnale di Dedalo, si inginocchiò davanti a esso. Cantando nella lingua segreta, lo stregone tolse la veste bianca dalle spalle di Minosse, e la posò sul corpo di Teseo. I preti tacquero, improvvisamente. Alzandosi, Teseo notò un silenzio carico d’attesa, vide che gli occhi di tutti cercavano una porta nera, dietro l’altare.
Anche lui guardò, e Arianna fece il suo ingresso. Portava una lampada d’argento, e i raggi illuminavano il rosso splendore dei suoi capelli, e danzavano sul suo viso candido, e mandavano riflessi verdi incontrando le pieghe della sua lunga veste color smeraldo. La colomba bianca era sulla sua spalla, e agitava le ali. Lei girò intorno all’altare, e camminò con grazia regale verso Teseo.