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«Silenzio!» la voce era tesa, spaventata. «Scendiamo da te.»

Non apparve neppure un raggio di luce. Si udì lo scatto debole di una serratura. Degli uomini mormorarono, respirando affannosamente per lo sforzo. Ci fu uno scricchiolio cupo, un’imprecazione soffocata seguì immediatamente, insieme a un tintinnio di bronzo. Capì che la botola era stata sollevata.

Qualcosa scese, vicino a lui. Scoprì che si trattava dell’estremità di una corda, una scala di corda, e qualcuno scese. Strinse un braccio, nel buio, e mormorò:

«Chi sei?»

La risposta fu soltanto un borbottio soffocato, ma riconobbe la voce nasale di Snish. Il corpo del piccolo stregone era freddo e tremava. Il suo respiro usciva da un pesante bavaglio, che gli fasciava completamente la testa.

«Silenzio!» la voce dell’ammiraglio era secca, e tremava per la paura. «E non osiamo far luce, perché gli occhi e le orecchie degli stregoni vedono e sentono molte, troppe cose!»

Scese dalla scala, accanto a loro, e cercò Teseo con mani tremanti.

«Non c’è tempo da perdere,» disse. «I miei marinai hanno trovato questo ciabattino in una bottega. Dice di non essere un mago, e usava un altro nome, non Snish. Ma è babilonese. Gli toglierò il bavaglio.»

«È lui il mago,» disse Teseo, «ma lasciagli il bavaglio. Può usare i suoi incantesimi senza parlare… se vuole evitare di essere torturato, per rivelare il segreto del tesoro dell’isola, e poi, magari, per essere gettato in pasto all’Oscuro.»

Snish tremò più violentemente, e protestò emettendo una serie di suoni nasali.

«Silenzio!» La voce dell’ammiraglio era incrinata dal terrore. «Non parlare di… quello. Non qui! Perché siamo sopra il Labirinto, e pochi metri di pietra ci dividono da esso!»

Strinse ansiosamente con le dita sottili il braccio di Teseo.

«E affrettati!» lo supplicò, raucamente. «Venendo qui, io rischio il nome, la posizione e la vita. Sono anch’io sotto la minaccia dell’… di quello. Così, parla in fretta. Dimmi dove posso trovare il tuo tesoro sepolto. E dove la flotta può prendere in trappola quel dannato, barbuto dorico… perché Volpemaestra mi è già sfuggito di mano molte volte, e di recente, per colmo d’imprudenza, egli ha catturato un altro mercantile.»

«Allora vieni.» Teseo portò l’ammiraglio lontano da Snish, verso l’angolo più segreto dell’umida cella. «Il mago non deve sentire la mia parte del segreto. E il suo incantensimo non ha bisogno di parole.»

«Presto!» Phaistro stava tremando. «L’odore di questo buco darebbe là nausea a un topo! E il pericolo…»

Teseo udì il brusco cambiamento nella voce dell’ammiraglio, che assunse un tono stranamente familiare. L’ammiraglio fu, improvvisamente, più alto di lui. Le sue parole si trasformarono in un’esclamazione di sbalordimento, e si udì un rumore di stoffa strappata. Teseo si liberò bruscamente dalle mani che lo stringevano freneticamente, e indietreggiò, verso la scala.

«Aiuto!» esclamò. «Un trucco… una trappola! Il prigioniero mi ha attaccato, mi ha spogliato!»

La sua voce singhiozzante era la voce dell’ammiraglio Phaistro. Afferrò la scala, che stava già vibrando, perché il piccolo Snish si stava arrampicando disperatamente su di essa.

«Stupidi!» ruggì l’ammiraglio. «Fermatelo! Sta cercando di fuggire!»

Ma l’ammiraglio parlava con la voce di capitan Fuoco. Scivolò sul pavimento umido e scivoloso della cella ancora sconosciuta, cercando disperatamente di afferrare la scala. Teseo raggiunse la botola, e, rapidamente, delle mani ansiose lo issarono nel corridoio.

«Padrone, sei ferito?»

«No, sia lode a Minosse,» disse la nuova voce di Teseo. «Ma il tesoro del pirata è una menzogna… degna di un buon cretese. Mi ha assalito… progettando, senza dubbio, di uccidermi con il favore delle tenebre, e poi di fuggire indossando i miei abiti.»

Degli uomini angosciati e invisibili stavano lavorando freneticamente. La pesante grata di bronzo ricadde sulla cella, attutendo le grida e le imprecazioni che venivano dal basso. Una serratura scattò. Uno schiavo avvolse Teseo nel mantello che l’ammiraglio aveva messo da parte, prima di scendere nella cella.

«Presto!» mormorò Teseo. «Dobbiamo fuggire, prima che le sue grida richiamino l’attenzione delle altre guardie! O dovremo affrontare tutti… quello! Il tesoro di capitan Fuoco era una menzogna… ma provvederò ugualmente, affinché tutti voi siate ricompensati. Usciamo di qui!»

Delle guardie spaventate lo scortarono lungo corridoi bui, scale tetre, sale minacciose, e finalmente uscirono in una delle cantine del palazzo, piena di giare d’olio e di vino. Finalmente una porta laterale li condusse in un vicolo, sotto la massa di Cnosso, alla luce delle stelle, dove un palanchino li stava aspettando.

Teseo si calmò e, tremando, si distese sui cuscini profumati del palanchino.

«A casa,» disse, ansiosamente, «prima che ci scoprano!»

Il suo corpo tremava ancora… per l’emozione e la fatica, ma soprattutto per il senso di cupa esultanza che lo aveva invaso.

«Ma adesso non c’è pericolo,» disse il servo che lo aveva aiutato a salire sul palanchino, con il tono di chi gode della confidenza del suo padrone. «Siamo stati in giro abbastanza spesso, di notte. Gli uomini si limiteranno a ridere, e mormoreranno che l’ammiraglio sta corteggiando di nuovo la sua dea.»

Il servo ridacchiò. Fu una risata cupa e sgradevole, che rimase sospesa nell’aria, come una sottile, impalpabile minaccia.

«È un peccato che il pirata abbia mentito, ma, per lo meno, gli inganni non erano tutti dalla sua parte. Se sapesse che tu avevi catturato i suoi vecchi compagni due lune or sono… e, dopo aver venduto i suoi uomini ad Amur l’Ittita, avevi già spedito Volpemaestra a precederlo, ad aprirgli la strada verso la perdizione laggiù, nel Labirinto dell’Oscuro!»

Il servo rise cupamente, nel buio.

CAPITOLO XIV

Teseo giaceva tra lenzuola profumate, di finissimo lino egiziano.

Aprì gli occhi, e si trovò in una grande, ricca camera. Le pareti erano coperte di affreschi, che mostravano delle graziose fanciulle che danzavano nei campi. Le grandi finestre, adorne di preziosi tendaggi ricamati, erano aperte, e mostravano un giardino al cui centro sorgeva un grande albero, uno splendido melograno, sul quale un uccello cantava.

Il lusso e la ricchezza lo circondavano, ma Teseo non riuscì a reprimere un freddo brivido di paura e di apprensione.

Si mosse, tra le lenzuola profumate, e affondò di nuovo il capo nel soffice guanciale, temendo di svegliarsi, da un momento all’altro, nell’umida oscurità del terribile pozzo.

Perché il successo del suo piano disperato gli pareva tuttora un sogno.

Non riusciva ancora a credere, neppure adesso, allo splendore di quella lussuosa villa alla sommità della collina, la villa nella quale gli schiavi spaventati lo avevano portato.

Il banchetto che il ciambellano gli aveva preparato, a mezzanotte, gli sembrava un sogno della sua mente sconvolta dalla fame… e adesso aveva di nuovo una fame terribile.

Ma ricordò la risata del ciambellano, quando aveva parlato in tono beffardo della cattura dei suoi vecchi compagni, e dello stesso Volpemaestra… che era già stato sottoposto al giudizio dell’Oscuro, nelle terribili grotte e negli spaventosi antri segreti del Labirinto. Questo fece scomparire l’illusione del sogno, e lo riportò alla fredda realtà, raffreddò la sua gioia incredula. Era sveglio, certo, e aveva molte cose da fare…

Cirone doveva essere vendicato!

Sedette sul letto. Uno specchio, su un tavolino di marmo, gli mostrò il viso magro e affilato dell’ammiraglio Phaistro. Sogghignò. Quel viso quasi effeminato non gli piaceva, certo… ma ringraziò ugualmente il talento di Snish, con tutto il cuore.

«Hai chiamato, padrone?»