«Il tuo più umile schiavo, grande ammiraglio.»
La sua voce, malgrado l’untuosità dei suoi modi, conservava una traccia di arroganza. Troppo piccoli, troppo ravvicinati, i suoi occhi neri brillavano, vigili e spietati.
«Il tuo schiavo invoca su di te il favore degli dei.» La voce rauca era melliflua. «E si addolora molto che la sua triste indigenza lo costringa a menzionare una certa piccola faccenda… e cioè, che oggi scadono di nuovo i tuoi conti, gli impegni che tu hai firmato per la misera somma che non vale neppure la pena di menzionare… e cioè, per cinquecento talenti d’argento. Si compiace il grande ammiraglio di pagare al suo schiavo questo debito insignificante?»
Teseo sostenne lo sguardo di quegli occhi da rettile.
«Il denaro non è pronto, oggi,» disse, «dovrai aspettare. Come sai, le spese che mi impone la mia posizione sono gravi e pesanti.»
«Se lo so bene!» Amur abbandonò la maschera servile e la sua voce diventò un sibilo velenoso. «Le ho pagate io, le tue spese, per questi ultimi dieci anni.» Agitò il pugno. «Ma ho finito di pagarle, Phaistro. Se non pagherai questi conti, Minosse avrà un nuovo ammiraglio… e l’Oscuro un nuovo ospite!»
«Aspetta,» Teseo sollevò la mano, in segno di protesta. «Avrai il denaro.» Cercò di pensare. «Ho saputo dove il pirata Fuoco ha nascosto il suo tesoro. Uno squadrone della flotta salpa oggi, per andare a prenderlo. Ci sarà abbastanza…»
Amur strinse di nuovo il pugno.
«Non riuscirai a giocarmi con queste favole!» I suoi occhi sfavillanti, pensò Teseo, erano simili a quelli di un topo famelico. «Ho già saputo come hai speso i cinque talenti che ti ho prestato… per corrompere la guardia della segreta… e come il pirata ti abbia ingannato con le sue menzogne. Se una sola parola sulla tua follia raggiunge Minosse, non ci vorrà altro per distruggerti, Phaistro!»
«Sono stato uno stupido, questa notte,» ammise Teseo. «Ma ci sono altri modi per ottenere del denaro.»
«Sei sempre stato uno stupido, Phaistro,» sbuffò l’ittita. «Ma hai un solo modo per ottenre il denaro… e, se non ci riuscirai, Minosse saprà tutto quello che deve sapere.»
«Un solo modo?» ripeté Teseo, in tono interrogativo.
«Così la dea esita ancora?» l’ittita rise. «Ti ho avvertito che non sarebbe stata una preda facile, Phaistro… neppure per un amatore della tua fama… aprire le porte del tesoro di Cibele!»
«Ebbene…» disse Teseo, incerto.
«Ti concederò un’altra notte per tentare,» Amur si voltò, deciso ad andarsene. «Se lei ti ride di nuovo in faccia… bene, l’Oscuro è sempre affamato.» Tornò a indossare la sua maschera servile, e si inchinò. «Addio, padrone. Possa la dea favorirti stanotte con molti baci… e con le chiavi del suo tesoro.»
Rimasto solo, Teseo sedette su un divano, e si passò una mano, meditabondo, sul mento, che era quello debole dell’ammiraglio Phaistro. Abbandonò tutti i rimorsi che ancora gli restavano, per avere lasciato quell’idiota nel pozzo dei condannati. Un uomo che faceva all’amore per denaro… Il ciambellano entrò, portando un piccolo rotolo di pergamena, sigillato.
«Padrone, un messaggio per te.» Il suo viso era rigido. «Porta il sigillo di Cibele.»
Teseo ruppe il sigillo, srotolò il papiro. L’ansia gli mozzò il respiro, quando lesse la delicata scrittura minoica:
Mortale… se tu davvero ti senti degno dei favori di una dea… vieni all’antico tempio nel mio bosco d’olivi, dopo che la stella della sera sarà calata, stanotte.
Con un misto d’impazienza e di trepidazione, Teseo aspettò la caduta della notte. Nel pomeriggio, degli ufficiali vennero a fargli visita, per parlare di alcuni problemi navali. Dapprima cercò di licenziarli, temendo di rivelare la sua ignoranza. Ma apparve ben presto evidente che Phaistro si preoccupava ben poco dei problemi della flotta. Gli ufficiali volevano soltanto che lui imprimesse il suo sigillo su certi ordini di sbarco e di requisizione. Il ciambellano portò il piccolo cilindro istoriato, e lui appose il sigillo sui documenti, gli ufficiali lo ringraziarono, si inchinarono e partirono.
Quando se ne furono andati, il ciambellano gli ricordò che avrebbe dovuto recarsi a palazzo al tramonto, per presenziare al ricevimento dell’ambasciata egiziana, venuta in visita di tributo e di ossequio. Teseo disse di sentirsi male. Il ciambellano gli promise con aria cupa una medicina, e obiettò che la sua assenza non sarebbe stata certo gradita né a Minosse né al Faraone.
Teseo si sottopose a un lungo bagno, fu coperto di oli preziosi e di profumi esotici. Gli schiavi acconciarono i suoi lunghi capelli neri, cospargendoli di pomate dal profumo delicato, e gli fecero indossare una stupenda veste di seta purpurea.
E il ciambellano gli portò la medicina… un robusto flacone di potente liquore. Teseo bevve quel poco necessario a profumargli l’alito, e versò il rimanente in un tubo di scarico… meravigliosi davvero questi impianti idrici moderni! Avrebbe potuto essere utile fingersi ubriaco, ma quella non era la notte più adatta… tra tutte le notti!… per ubriacarsi davvero.
Il palanchino lo trasportò davanti alla mole imponente del palazzo di Cnosso. Tremò, come se le pareti di quella costruzione immane avessero potuto, da sole, rivelare il suo travestimento. Quando entrò nel meraviglioso splendore della sala del trono… camminando con passo malfermo, sostenuto dal ciambellano… fu di nuovo terrorizzato dalla vista del volto livido e cadaverico di Dedalo, della maschera gialla e vorace del viso di Amur, del sorriso allegro e del volto roseo di Minosse.
Il ricevimento proseguì, comunque, e nessuno parve trovare strano o insolito che il ciambellano sostenesse sempre il braccio dell’ammiraglio, mormorandogli all’orecchio tutte le parole necessarie.
Gli egiziani, piccoli e bruni, entrarono; erano uomini fieri e superbi. Parlarono amabilmente della grandezza di Minosse, pomposamente dello splendore del Faraone, fervidamente dell’amicizia che esisteva tra i due monarchi.
Teseo disse soltanto quello che il ciambellano gli sussurrava all’orecchio. Mano a mano che la serata proseguiva, però, si concesse qualche osservazione non troppo diplomatica… che certamente l’alcol avrebbe potuto ampiamente giustificare. Cominciava però a divertirsi, della mascherata.
La stella della sera era bassa, quando ritornò alla villa dell’ammiraglio.
Lasciò il ciambellano, andò a svegliare lo spaventatissimo Snish, e gli ordinò di venire con lui al bosco di olivi. Poi chiamò gli schiavi, ordinò loro di portarlo all’antico tempio del sacro bosco di Cibele, la Madre di Tutti.
All’ombra di un olivo, ai margini del bosco, lasciò il palanchino, dicendo ai portatori di aspettare. Snish lo seguì verso la sagoma indistinta del tempio, che pareva un gigantesco alveare, e il piccolo mago protestò:
«Cautela, padrone! Ricorda che un solo bacio può cambiarti!»
Teseo ridacchiò.
«Ma saremo al buio,» disse, «e tu mi aspetterai qui, al ritorno, e mi ridarai le sembianze dell’ammiraglio!»
Camminò con decisione nell’ombra, verso il luogo in cui avrebbe trovato Arianna.
CAPITOLO XV
Il tempio, eretto sulla spaccatura dalla quale Cibele era uscita dalla madre Terra, era un piccolo, antico alveare di pietra diseguale. Il suolo era coperto di sterpi. Le offerte, fiori e frutti, giacevano su un piccolo altare, di fronte a un’apertura dalla quale uscivano zaffate di umidità e un odore di muffa.
Con un senso di profonda delusione, Teseo si accorse che la piccola camera buia era deserta. Aspettò, inginocchiandosi a terra, come per pregare davanti al grembo della terra. Alla fine, un fruscio lo fece voltare. E il suo cuore batté di gioia quando, nel buio, si rese conto che Arianna era giunta.
Per un istante, sull’ingresso, lei si stagliò contro la debole luce delle stelle che veniva dall’esterno. Era alta e orgogliosa, e la luce delle stelle traeva deboli bagliori dai suoi capelli.